di Carlo Fanelli

1503

Coriolano Martirano nacque a Cosenza nel 1503, da Giovan Battista Martirano (non si conosce il nome di sua madre). Ricevette la prima educazione nella città natale dal maestro Lattanzio, sconosciuto precettore ricordato dallo stesso Martirano nel suo epistolario. Posteriore alla sua prima formazione nella città natale è il trasferimento a Napoli nel 1529, dove raggiunse suo fratello Bernardino, poeta e segretario di stato dei viceré spagnoli, per intraprendere gli studi di legge e filosofia. Qui i due fratelli risiedettero in una villa a Portici, battezzata «Leucopetra» (oggi Villa Nava) che divenne ritrovo di amici e letterati, e per tale motivo da alcuni definita «Accademia Martirano».

La villa di Portici fu anche il luogo in cui i Martirano raccolsero una preziosa biblioteca. Coriolano era venuto in possesso dei manoscritti classici di Sannazaro e Bernardino ricevette l’incarico di testimone per la controversa questione della sparizione di volumi posseduti dal Parrasio e donati per testamento ad Antonio Seripando. Gli stessi, in seguito, divennero parte delle acquisizioni del bibliofilo ungherese Giovanni Sambuco, che tra il 1562 e il 1563 soggiornò a Roma e a Napoli, il cui patrimonio è oggi alla Nationalbibliothek di Vienna.

1530

Alla fine degli anni venti Martirano si trasferì a Roma dove intraprese la carriera ecclesiastica. Dopo avere ricevuto la nomina a Doganiere del maggior fondaco di Gaeta nel 1529, per intercessione di Bernardino, il 3 giugno del 1530, «anno 27° aetatis suae», fu nominato «nullo supplicante» vescovo di S. Marco Argentano (presso Cosenza) da Clemente VII, in sostituzione del deceduto Ludovico de Amato. Differì la nomina sino al 1535 e rimase a Roma dove strinse rapporti di amicizia con numerosi umanisti come Bernardino Telesio, Marcello Cervini, Claudio Tolomei, Francesco Maria Molza, Pietro Bembo, Luigi Tansillo.

1545/1547-1551/1552

Nel 1545, in virtù della sua carica vescovile, Martirano prese parte al Concilio di Trento (la sua presenza è attestata anche in alcune sedute conciliari degli anni 1545-1547 e 1551-1552). Pur essendo uno dei quattro cardinali designati da Pedro de Toledo a rappresentare l’episcopato napoletano, pertanto allineato con le direttive del cardinale Pacheco, reggente della delegazione spagnola, il porporato calabrese ebbe modo di partecipare attivamente ai dibattimenti conciliari, non solo in qualità di esponente della commissione preposta alla discussione sulle questioni teologiche, ma assumendo posizioni individuali in difesa della Fede e della moralità, come si evince dai testi delle sue orazioni.

L’incontro con Juan de Valdés

Connessa all’aspetto dottrinale che traspare dalle orazioni a Trento è la probabile affiliazione del Martirano al circolo napoletano riunito da Giulia Gonzaga tra il 1529 e il 1533, intorno a Juan de Valdés, nel quale si professavano le prime idee di riforma spirituale della Chiesa, connesse al pensiero di Erasmo. Il cenacolo era frequentato da noti esponenti del clero e della nobiltà partenopea, cui lo stesso Martirano fu vicino. Valdés era giunto in Italia nell’agosto del 1531 per ricoprire la carica di cameriere segreto di papa Clemente VII e segretario imperiale. Suo fratello Alfonso fu segretario di Stato di Carlo V dal 1524 al 1532. Fissata sede a Napoli, dopo la morte di Clemente VII, mantenne contatti stabili sia con la corte imperiale che con il viceré Pedro de Toledo. Ambienti e frequentazioni comuni rendono plausibile la conoscenza diretta tra i due.

Ad ulteriore sostegno dell’autenticità di tale incontro è l’ipotesi avanzata da Edward Bohemer nel 1860, il quale aveva indicato Martirano e suo nipote come due degli interlocutori del Diálogo de la lengua di Juan de Valdés, scritto a Napoli tra il 1535 e il 1536 e venne diffuso in forma manoscritta sino alla sua pubblicazione avvenuta nel 1737, per poi essere ristampato nel 1873 e nel 1895. Sebbene tale riconoscimento sia stato negato da Croce, altri studiosi del teologo spagnolo hanno proposto il riconoscimento di Martirano e di suo nipote Mario nel “Coriolano” e nel “Marcio” presenti nel Dialogo valdésiano.

1548

Nel 1548 Coriolano fece ritorno a Napoli per la morte del fratello Bernardino, sostituendolo nella carica di segretario del Viceregno sino al 1554.

1548-1556

Martirano fu anche un apprezzato cultore delle lettere classiche. Al 1556 risale la pubblicazione di alcuni suoi scritti che il nipote Marzio aveva sottratto all’oblio al quale lo zio li aveva destinati, poiché non del tutto convinto dell’opportunità di darli alle stampe. Ciò che è stato edito, infatti, è il frutto degli interessi eruditi del Martirano e del suo lavoro filologico su alcuni testi classici che Marzio consegnò allo stampatore napoletano Simonetta. Si tratta delle traduzioni in latino delle tragedie Medea, Baccanti, Fenicie, Ippolito, il dramma satiresco Ciclope di Euripide; Prometeo di Eschilo; Elettra di Sofocle; le commedie Pluto e Nuvole di Aristofane; i primi dodici libri dell’Odissea, la Batracomiomachia e il primo libro delle Argonautiche di Apollonio Rodio. Questa raccolta comprende anche una tragedia composta dalla stesso Martirano e di soggetto sacro intitolata Christus.

Le traduzioni di testi classici

Non si conosce il periodo durante il quale Martirano lavorò alle sue traduzioni, la cui analisi filologica richiede l’individuazione delle fonti utilizzate. Da ipotizzare, in primo luogo, l’utilizzo, da parte dell’autore, delle edizioni a stampa edite tra la fine del Quattrocento e la prima metà del Cinquecento. La prima edizione di tutte le tragedie di Euripide risale al 1558 circa, pubblicata a Francoforte ex officina Burbachii. Precedentemente a questa il corpus euripideo poteva essere parzialmente ricomposto attraverso l’editio princeps delle tragedie Medea, Ippolito, Alcesti e Andromaca, pubblicata a Firenze nel 1494 circa da Giano Lascaris, insieme all’edizione di tutte le opere stampata a Venezia nel 1503, con l’esclusione delle precedenti quattro. Per quanto riguarda Sofocle le edizioni cinquecentesche cui fare riferimento, vista la relativa datazione, sono l’aldina del 1502, la giuntina del 1522 (ristampata nel 1547), infine quella del Camerarius del 1534. Insieme a questa vi è da annoverare anche l’aldina di Eschilo del 1508. L’editio princeps di nove commedie di Aristofane è l’aldina del 1494, alla quale seguì a Firenze nel 1516, la stampa di altre due opere. Le Argonautiche di Apollonio Rodio furono pubblicate in greco nel 1496 a Firenze, a cura di Giano Lascaris. Un’altra edizione fu pubblicata a Venezia nel 1521 dagli eredi di Aldo Manuzio, seguita dall’edizione di Francoforte del 1546 e da quella svizzera del 1550. Più complesso risulta un percorso a ritroso sulle edizioni a stampa cinquecentesche di Omero, poiché se ne conta un numero maggiore rispetto ai precedenti autori.

Non è da escludere, tuttavia, che Martirano possa essersi servito anche di fonti manoscritte e più precisamente quelle in possesso di Parrasio, passate dalle mani del Martirano e che comprendevano manoscritti greci di Euripide, Eschilo, Sofocle, Aristofane, nonché di Omero e Apollonio Rodio.

Sulle traduzioni di Martirano è stato espresso un giudizio fondamentalmente favorevole da parte degli studiosi. Gli è stata riconosciuta fedeltà agli originali, con eccezioni legate alla difficoltà nel rendere alcuni vocaboli particolarmente complessi, oppure l’utilizzo di espressioni poco aderenti agli originali ma che evidenziano l’inventiva poetica del traduttore. Le sue versioni non appaiono meccaniche, si ritrova in esse un discreto spazio riservato all’originale apporto poetico, suggestionato dalle ripetizioni, allitterazioni e ripetuti superlativi. Esclusa da queste traduzioni la tensione all’attualizzazione dei drammi, così come qualsiasi giudizio moralistico su soggetti o personaggi. Martirano segue lo schema originale dei drammi, non aggiunge o elimina scene o personaggi, la sua mano marca soltanto una più insistita vena poetica che è il vero tratto distintivo di tutte le traduzioni. La sua erudizione non è messa in discussione, né la sua capacità di trasporre i testi greci in versi latini; ciò che risulta tuttavia è che più che opera filologica, si tratti di una raccolta di «belle infedeli». 

Il Christus

L’esibita propensione verso la tragedia si conferma ed evolve nel Christus, dramma latino incentrato sulla Passione di Cristo, di cui non conosciamo l’anno di composizione, anch’esso compreso nell’edizione napoletana dei suoi scritti. Con quest’opera Martirano si confronta con una tradizione drammaturgica strutturata sulla contaminazione fra il tema religioso e la tragedia classica. È stato ipotizzato, infatti, che nel concepimento della sua opera Martirano abbia ricevuto l’influenza di altri scritti di simile concezione, come il Christus Patiens erroneamente attribuito a Gregorio di Nazianzo (in verità, centone di autori classici di epoca bizantina), il De partu Virginis di Jacopo Sannazaro e la Cristiade di Marco Gerolamo Vida. Altra ipotesi avanzata è quella dell’incrocio tra il Christus di Martirano e il Theandrothanatos del bresciano Giovan Francesco Conti. Con questa tragedia cinquecentesca, tra le prime a sviluppare il tema biblico della Passione attraverso le forme drammatiche classiche, quella di Martirano non ha in comune elementi filologici e stilistici. Rispetto all’«impianto narrativo a quadri sceneggiati», suddivisione in cinque atti e struttura congegnata su nessi tra elementi classici e forme medievali e rinascimentali della tragedia contiana, il Christus si mostra stilisticamente contiguo al modello aristotelico. L’influenza di Seneca e la conseguente propensione all’orrore, che in Conti esaltano le immagini del corpo martirizzato di Cristo, nella tragedia di Martirano lasciano il posto ad una maggiore tensione lirica.

Nondimeno, unitamente alla distanza col dramma bizantino, l’inconsistenza del confronto con il poema vidiano e le differenze con la tragedia contiana, appare di maggiore plausibilità che l’ispirazione nella scrittura della sua tragedia sia pervenuta all’autore dal carme De morte Christi domini ad mortales lamentatio scritto da Jacopo Sannazaro tra il 1500 e il 1505; componimento di certo compreso nel patrimonio librario del Sannazaro acquisito, come già detto, dai Martirano alla morte del poeta. Nonostante la difformità di genere e il senechismo sannazariano – apparentemente stridente con il grecismo del Christus – fra i due scritti si riscontrano affinità filologiche e semantiche. In aggiunta, Martirano sviluppa drammaturgicamente la visionarietà e la sintesi fra lamentazione e classicismo del carme sannazariano.

Si può senz’altro affermare, pertanto, che il Christus di Martirano resta concretamente uno degli esempi più originali di sincretismo tragico-cristiano rinascimentale, poiché il nesso fra tema biblico e tragedia classica non è risolto ricorrendo al modello di Seneca, come più diffusamente avviene nel dramma passionistico o in altri testi dello stesso genere, né accostandosi al canone poetico virgiliano e lucreziano, bensì mantenendo fede, con alcune eccezioni, al modello aristotelico.

Edizioni e rappresentazioni settecentesche

Nel 1781, presso il Collegio dei Nobili di Parma, la versione latina delle Nuvole di Martirano fu tradotta in italiano, col titolo Il Socrate. Il testo tradotto fu anche messo in scena dagli allievi del collegio, per i quali l’attività teatrale era parte integrante, sul modello gesuitico, dello studio umanistico e retorico. Anni dopo, nel 1786, anche il Christus fu trasportato «in versi toscani» e pubblicato da Bodoni nel marzo 1786, per poi essere messo in scena in italiano, in quella che resta la sua unica rappresentazione.

Caduta nell’oblio dopo la sua morte, la figura di Coriolano Martirano fu riconsiderata solo nell’Ottocento. Il Christus non viene menzionato nella Drammaturgia di Leone Allacci ma è Napoli-Signorelli che riporta attenzione sugli scritti del prelato giudicandoli positivamente: «Quel secolo non ebbe un drammatico latino maggiore del Martirano. Parve egli nato a trasportare con somma grazia e pari giudizio nella latina favella quanto ebbe di più bello l’antica greca, né gli Eruditi contemporanei sentirono di lui meno altamente» aggiungendo altrove: «Fu adunque il Martirano il Seneca del teatro Napoletano in quanto allo studio di rendere latine le ricchezze dei greci». Luigi Settembrini loda il traduttore, sebbene giudichi non troppo positivamente la sua libera interpretazione dei testi. Il Christus è menzionato da Alessandro D’Ancona per il particolare modo di rappresentare la scena della Crocifissione. Infine, Giuseppe Toffanin rivaluta l’opera del Martirano, definendolo: «Il Vida dell’Ellenismo […] [al quale] riesce di fondere la materia sacra nella forma d’una tragedia greca».

Le Epistolae familiares

Insieme ai componimenti letterari di Coriolano, Marzio Martirano consegnò allo stampatore Simonetta una raccolta di epistole latine che, nell’edizione pubblicata nello stesso anno delle tragedie, compone un frammentario ed oscuro epistolario in latino che prende il titolo di ispirazione ciceroniana Epistolae familiares. In questa selezione, probabilmente parziale, si conserva la corrispondenza del Martirano col fratello Bernardino e con alcuni esponenti di rilievo della cultura coeva come Johann Albrecht Widmanstetter, Vincenzo Pontieri, Antonio Telesio, Antonio Perrenot de Granvelle, Marcello Cervini, Francesco Franchini, Giano Anisio, Antonio Guidoni, Antonio Guido Martirano. L’epistolario, scritto in latino, eccetto per due lettere in greco, non reca in nessuna delle missive l’indicazione della data e del luogo. La più nota di esse è la sesta nella quale Coriolano raccomanda a suo fratello di intercedere presso l’imperatore per la pronta scarcerazione del giovane Bernardino Telesio, preda a Roma dei Lanzichenecchi durante il Sacco del 1527.

Corrispondente e amico di Coriolano fu il poeta Giano Anisio. Il legame fra i due fu duraturo e basato su reciproca stima, tant’è che quest’ultimo gli inviò in lettura un suo testo teatrale dal titolo Protagonos (1532-1536).

Fra gli interlocutori presenti nell’epistolario di Martirano ritroviamo il citato umanista tedesco Widmanstetter, studioso di testi orientali, che nel­le missive si firma con l’epiteto ellenizzante Lucretius Oesiander. Giunto in Italia nel 1527 «per perfezionarsi negli studi classici e iniziare quelli delle lingue orientali», Widmanstetter è ricordato, nelle ricerche di Hubert Jedin, Hans Striedl e Carlo De Frede, come «conoscitore dell’arabo, dell’ebraico, del siriaco […] la cui opera più meri­toria fu la pubblicazione del Nuovo Testamento nella redazione siriaca». L’incontro fra i due potrebbe essere avvenuto in occasione dell’arrivo a Napoli del tedesco, nella primavera del 1530, allorquando «si legò di profonda amicizia con il Seripando, con i fratelli Giano e Cosimo Anisio, con Giovanni Minadois, con Giovanni Angelo Pisanelli e con Agostino Nifo». Molto probabilmente i contatti proseguirono a Roma, dopo il trasferimento di Co­riolano in seguito all’investitura vescovile, e l’incarico del Widmanstetter presso il cardinale Nikolaus von Schönberg, arcivescovo di Capua, nel 1535.

Le opere inedite

Oltre a quelli editi, esistono altri scritti di Coriolano Martirano, noti agli studiosi ma tutt’ora inediti o irreperibili. Ne fa cenno Sertorio Quattromani (1541-1603) in una lettera a Ottavio Martirano, nipote di Coriolano, che ebbe «permesso di guardare liberamente tra le carte e i libri del vescovo di San Marco, affinché desse un’edizione delle opere ancora inedite». Quattromani fu allievo di Onorato Fascitelli, uno dei corrispondenti del Martirano e grande amico di Ottavio. Insieme a questi scritti, Quattromani ricorda anche una traduzione di sette libri dell’Iliade, di cui una versione manoscritta si conserva presso la Biblioteca Nazionale di Napoli; una traduzione degli Inni di Omero, scritto del quale, annota Quattromani, Martirano «si compiacea assai più, che in qualunque altro de’ suoi: ma questo è perduto, o è rattenuto in carcere da persona che non crede, che monti molto che si perdano i tesori della lingua latina». Un’altra lettera a Giovanni Battista Vecchietti, sebbene priva di riferimenti precisi, attesterebbe il ‘passaggio’ del Quattromani dalla biblioteca Martirano, e la meraviglia destata nel visitatore dal suo contenuto. Di ciò rende conto un passo di un altro scritto del Quattromani, Di Giano Parrasio e di altri autori cosentini del xvi secolo (ms 20187 della Biblioteca Civica di Cosenza, foll. 69r-76v). Dalla sua ricognizione possiamo concludere con certezza che, presso il Quattromani, si trovavano i lavori inediti del Martirano, del cui destino successivo nulla al momento si conosce.

L’epistolario comprende anche una lettera indirizzata a Claudio Tolomei, resa nota da Francesco Fiorentino nel 1872, unico testo in volgare del Martirano. Il suo contenuto conferma l’adesione di Martirano all’Accademia (o Regno) della Virtù che il Tolomei ospitò in Roma. L’amicizia con l’autore de Il cesano de la lingua toscana (1525), condivisa col fratello Bernardino, risale ad anni precedenti quelli della lettera – certamente successiva al 1530, visto che il Martirano vi si firma «Vescovo di S. Marco» – e precisamente al 1525, come ha dimostrato Tobia Toscano. Lo proverebbe la menzione di un «Signor di Martinano [sic]», col soprannome di «Travagliato», nei «Tabelloni» dell’Accademia degli Intronati di Siena, insieme a quella del Tolomei («Il Sottile»). Toscano ritiene che lo pseudonimo accademico celi Bernardino Martirano, tuttavia alcuni motivi ci inducono a pensare che il segnalato «Signor di Martinano», nella lista degli affiliati del 1525, sia invece proprio Coriolano, non ancora eletto vescovo. Nota è la stima del Tolomei verso quest’ultimo, comprovata dalla lettera del senese a Girolamo Ruscelli. L’adesione all’Accademia della Virtù è un altro indizio dell’amicizia fra i due. In aggiunta, in una lettera a Bernardino, Coriolano informa il fratello di avere sottoposto al Tolomei il poemetto Il pianto d’Aretusa, dimostrando come il rapporto intercorresse preminentemente fra Coriolano Martirano e lo stesso Tolomei.

Nella lettera al «Re della Virtù» il dotto prelato postilla la terzina: «So, come Amor saetta, e come vola: / E so, com’or minaccia, et or percuote, / Come ruba per forza, e come invola», i versi 175-177 del capitolo III del Triumphus Pudicitie di Petrarca. Seppure laconica, la nota del Martirano presenta un apprezzabile compendio di riferimenti che palesano la cultura fusa alla personalità dell’autore. A questo elenco è da aggiungere l’orazione funebre pronunciata il 25 novembre 1554 in occasione del giuramento di Ferrante D’Avalos, Marchese del Vasto, per la sua investitura a Viceré, dopo l’abdicazione di Carlo V a favore di Filippo II, anch’essa custodita nella Biblioteca Nazionale di Napoli.

Come apprendiamo da Cesare Bozzetti, insieme ai volumi visti e raccolti dal Quattromani, grazie al cardinale Gerolamo Seripando le «carte e libri dei Martirano» furono in un primo momento ospitati nella biblioteca napoletana di S. Giovanni a Carbonara, insieme ai libri di Parrasio. Presso il convento agostiniano erano passati diversi umanisti, come il Widmanstetter, e non è da escludere che il patrimonio librario accaparrato da quest’ultimo a Napoli abbia incluso anche materiale appartenuto al Martirano, così come gli acquisti fatti nella città dall’umanista ungherese Giovanni Sambuco, il quale, insieme ai codici sannazariani, era venuto in possesso di manoscritti appartenuti a Martirano.

1557

Martirano trascorse gli ultimi anni di vita nella Villa di Portici, ereditata dal fratello Bernardino, dove morì il 27 agosto 1557, come si evince dal Necrologio di S. Domenico Maggiore, a Napoli, ora non più reperibile. Come risulta dalla dedica di un libro, nello stesso anno la carica di segretario passò a suo nipote Marzio.

Bibliografia

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