di Serena Paola Mazza

1474-1490

Dall’unione tra Eleonora d’Aragona, figlia del re di Napoli Ferdinando I e il duca Ercole I d’Este, nacque il 17 maggio 1474 a Ferrara la primogenita Isabella d’Este. Ella visse in un ambiente familiare in cui era consuetudine l’amore per le arti e le lettere, come dimostra il mecenatismo del padre Ercole. Isabella diede presto prova del suo ingegno vivace e del suo spirito raffinato: ad esempio, in occasione della visita di Beltramino Cusatro che si recò a Ferrara nel 1480 per stipulare il fidanzamento tra l’allora quindicenne Francesco Gonzaga, erede del marchesato di Mantova e l’ancora infanta Isabella. Colpito dal precoce ingegno di quest’ultima, l’inviato mantovano così si espresse:

«Interrogata di più cose cosi da mi como da li altri, rispondeva con tanto intellecto e con lingua tanto expedita, che a mi parve un miraculo che una puta di sei anni facesse così digne risposte; benché prima mi fosse ditto de lo singulare inzegno suo, no havaria mai extimato il fosse stato tanto ni tale» (A. Luzio, I precettori d’Isabella d’Este, per nozze Renier-Campostrini, Ancona, A. Gustavo Morelli Editore – Stab. Tip. Del Commercio, 1887, pp. 11-12).

Le fonti biografiche la descrivono come una donna molto intelligente e con una forte personalità; non bella fin dall’infanzia, al suo arrivo a Mantova fu colpita da una precoce pinguedine che, nel corso del tempo, lasciò il posto ad un pronunciato stato di sovrappeso; ma il suo aspetto fisico non venne mai tenuto in conto rispetto al grande fascino e alla raffinata eleganza della sua figura. Sua madre Eleonora si preoccupò di affiancare alla cura dello spirito anche quella del corpo. Per tale ragione, Eleonora fece in modo che Isabella si dedicasse anche alla danza e abbiamo notizia che «già a sette anni essa danzava con una grazietta tutta sua, ammaestrata da un Ambrogio, giudeo convertito, che di solito stava col duca d’Urbino» (ivi, p. 12). Come quei tempi richiedevano, Isabella ricevette una istruzione classica. Dotata di una memoria straordinaria, ella fu posta in un primo tempo sotto la guida di Battista Guarino (1434-1503), celebre maestro dell’Università di Ferrara (figlio del celeberrimo Guarino Veronese, uno dei massimi lumi dell’umanesimo italiano), che riferendosi alla sua allieva, attestava come ad otto anni apprendesse «sopra la età sua meravigliosamente» (A. Luzio, R. Renier, La coltura e le relazioni letterarie di Isabella d’Este Gonzaga, «Giornale Storico della Letteratura Italiana», 33, 1899, 97, parte I, p. 3). A soli quindici anni leggeva correntemente Virgilio, Terenzio e Cicerone, imparandone alcuni brani a memoria mentre con il suo terzo precettore Jacopo Gallino (il secondo dovette essere un tale Sebastiano da Lugo, da quanto compare nel Conto Generale dell’Archivio di Modena), si dilettava scandendo versi latini e ricomponendone altri che egli le sottoponeva scomposti in prosa.

Tuttavia Isabella non vantò mai le proprie doti di letterata. Nel 1485, secondo l’uso del tempo, Francesco Gonzaga e Isabella iniziarono a scambiarsi elogi in versi, seppure tali versi fossero composti da altri literati. Raggiunta l’età matrimoniale, nel 1490 andò in sposa a Mantova a Francesco Gonzaga in cambio di una dote di 25.000 ducati. Dai cronisti dell’epoca apprendiamo che furono 17.000 i forestieri invitati alla cerimonia e che l’evento fu ricordato con una medaglia raffigurante il profilo degli sposi. Prima ancora di sposarsi, Isabella si esercitava nel suonare il mancordo e una volta trasferitasi a Mantova lo sostituì con altri strumenti quali il liuto, il clavicordo e forse anche la cetra e la lira. Dopo il matrimonio, le continue assenze del marito, impegnato nelle campagne militari, furono colmate dall’amata cognata Elisabetta Gonzaga, duchessa di Urbino. Nonostante i nuovi impegni sorti dopo il matrimonio, Isabella continuò a dedicarsi alla lettura e ad accrescere la sua biblioteca; dai carteggi di Isabella, appena diciassettenne, emerge la sua passione per le storie dei paladini, e ne è prova quanto si trova scritto il 17 settembre 1491 nel suo copialettere rivolto al corrispondente veneziano Giorgio Brognolo:

«Voressimo che uno dì mandasti uno di vostri per tutte le appoteche de libri da vendere sono in Venetia et facesti fare notta de tutti i libri che lì sono in vulgare, tanto in rima quanto in prosa, che contengono batalie, historie et fabule, cossi de moderni come de antigui, et massime de li paladini de Franza, et ogni altro che se trovarà et mandarceli quando più presto potereti» (A. Luzio, I precettori d’Isabella d’Este, cit., p. 18).

Della lista che il Brognolo le inviò, la giovane marchesa scelse Justino de Historia, Epistule de Phalaris, Merlino, Falconetto, Vita de Julio Cesare, Fiera Braza, Damaroenza. Nello stesso anno Isabella mostrò interesse per la composizione dell’Innamorato di Boiardo e del Furioso di Ariosto. Giunta sposa a Mantova, venne assegnato alla giovane marchesa un appartamento nel castello di San Giorgio, all’interno della controtorre di San Nicolò; qui Isabella scelse due ambienti ai fini di creare uno spazio riservato all’attività intellettuale e al collezionismo. Nella stanza superiore fu allestito lo “Studiolo”, dove la  marchesa si dedicava allo studio dei classici e della filosofia. Questa stanza nel corso degli anni sarà abbellita da prestigiose opere di grandi pittori e fece della marchesa la prima donna a possedere uno studiolo; mentre nella stanza sottostante, chiamata la “Grotta” per via del soffitto a volta di botte che la caratterizzava, Isabella scelse di conservare la collezione di antichità e di oggetti preziosi a cui si dedicò nel corso della sua vita.

1492-1499

Nei due anni successivi al matrimonio Isabella non riuscì a dedicarsi ai propri studi. Li riprese nel 1492 avendo sempre come consigliere il Guarino.

Nell’agosto del 1492 Isabella si recò a Milano con il padre Ercole in una visita ufficiale e ai primi di ottobre proseguì per Genova e Ferrara, tornando infine di nuovo a Mantova.

Nel maggio 1493 si condusse a Venezia in visita ufficiale per affermare, in veste di coniuge di Francesco Gonzaga (nominato comandante generale dell’esercito veneziano), l’alleanza con la repubblica della Serenissima. Durante l’estate tornò nella natia Ferrara dove, nell’ottobre del 1493, morì sua madre Eleonora d’Aragona. In quella circostanza Isabella, malgrado il dolore subito per la forte perdita, si distinse per il suo contegno e per  l’eleganza e la raffinatezza mostrate nei cerimoniali del lutto. Per l’occasione ella sfoggiò vesti confezionate con stoffe nere pregiatissime, inviatele dalla Francia.

Il 31 dicembre 1493 nacque la sua primogenita Eleonora. Il non aver dato alla luce un figlio maschio causò un comprensibile rammarico in Isabella, sebbene Francesco Gonzaga  si dimostrò sempre molto fiero della prima figlia.

Sempre al 1493 risale l’incontro tra Isabella e Andrea Mantegna, che operava presso la corte dei Gonzaga come pittore ufficiale già a partire del 1456. Al Mantegna venne commissionato dalla marchesa un ritratto destinato in dono alla Contessa di Acerra; ma l’opera del pittore non soddisfò Isabella, la quale si scusò con l’amica comunicandole che non le avrebbe inviato il regalo promessole. Da quel momento Isabella rifiutò di farsi ritrarre dal Mantegna. Occorre precisare che il disappunto della marchesa non era riconducibile all’abilità artistica del Mantegna. Fu proprio un quadro di quest’ultimo, il Parnaso, dipinto nel 1497, ad avviare il progetto di abbellimento dello Studiolo.

Nel marzo dell’anno seguente Isabella si recò in pellegrinaggio a Loreto e ad Assisi e nel 1495 raggiunse la sorella a Milano per starle vicino durante il suo secondo parto.

Nel 1496 riprese i suoi studi avendo come precettori l’umanista Battista Pio (1460-1543) e in seguito, per corrispondenza, Niccolò Lelio Cosmico (1420-1500). Il Tebaldeo, poeta ferrarese che godeva di un’ottima reputazione per le sue composizioni, coltivò in Isabella l’inclinazione naturale che la marchesa dimostrava verso la poesia. Dai documenti apprendiamo che Isabella già nel 1494 compose un sonetto e qualche strambotto, ma come già accennato in precedenza la sua modestia la spinse a tenere tali composizioni per sé, nel timore di essere derisa. Ella esercitava la poesia per puro piacere e godevano delle sue rime solo una cerchia ristretta di amici fidati. Il 13 luglio 1496 Isabella diede alla luce Margherita, ma la piccola morì nel settembre dello stesso anno, lasciando la madre in un profondo dolore che la spinse a raggiungere suo marito Francesco ad Ancona il 9 ottobre. Ancora provata dalla perdita di Margherita, Isabella dovette affrontare una nuova sofferenza per la scomparsa dell’amata cognata Beatrice, il 2 gennaio 1497.

Nello stesso anno si  trasferì a Mantova Gian Cristoforo Romano, scultore e medaglista che la marchesa conobbe presso la corte della sorella minore Beatrice d’Este e che restò a Mantova fino al 1505. Durante la sua istanza presso la corte di Isabella, Gian Cristoforo Romano realizzò numerose opere, tra le quali troviamo una medaglia risalente al 1498 e che la marchesa fece riprodurre in più occasioni distribuendola in dono ai suoi amici. In questo periodo Isabella ebbe contatti anche con Paride Ceresara (1466-1532), celebre per le sue doti nell’astronomia e nella chiromanzia. Il Ceresara raggiunse la fama grazie all’opera l’Epitoma Chyromantico di Patritio Tricasso da Ceresari mantovano;egli era un uomo molto colto, un letterato e umanista raffinato che conosceva molto bene le lingue orientali come ci testimonia un bigliettino di Isabella a lui diretto datato 30 settembre 1498, dove leggiamo:

«Havemo gratissime le littere sacre, o siano syrie o babiloniche, come scriveti, quali […] ne haveti mandate, et vi ne ringratiamo. Ma per più nostra chiareza haveremo charo che ci avisati se alcuni fogliami che hanno esse littere sono di sustantia o pur solum per adornamento, il che quando fosse vi pregamo ne mandiati un altro de esse littere schiette et semplici, come si solevano a li soi tempi notare» (A. Luzio, R. Renier, La coltura e le relazioni letterarie di Isabella d’Este Gonzaga, «Giornale Storico della Letteratura Italiana», 1899, fasc. 100-101, parte II, p. 87).

Ceresara tradusse inoltre per il vescovo Ludovico Gonzaga l’Alularia e s’intendeva anche di cose d’arte, come attesta il fatto che Isabella gli affidò la stesura del programma iconografico della Lotta tra Amore e Castità eseguito dal Perugino e destinato allo Studiolo.

Come avvenne per Gian Cristoforo Romano, anche l’incontro tra Isabella e Leonardo da Vinci si svolse presso la corte degli Sforza. Nel 1498, Isabella prese in considerazione l’idea di farsi ritrarre da Leonardo e l’occasione si presentò nel dicembre del 1499 quando il pittore in fuga dai Francesi che avevano espugnato Milano cercò riparo presso i Gonzaga. Leonardo si trattenne a Mantova fino al febbraio del 1500 e durante la sua permanenza Leonardo realizzò due schizzi del ritratto della marchesa. Uno dei due rimase in possesso di Isabella, l’altro venne trattenuto da Leonardo che lo portò con sé a Venezia promettendo di terminarlo. Tuttavia la promessa non venne mantenuta, il ritratto rimase allo stato preparatorio e il cartone lo si può ammirare esposto al museo del Louvre a Parigi.

Sempre nel 1499, Isabella concepì l’idea di erigere un monumento in onore del sommo poeta Virgilio, che proprio a Mantova ricevette i natali. Per tale ragione, la marchesa si rivolse a Jacopo d’Atri, conte di Pianella, gentiluomo abruzzese appartenente alla famiglia dei Probo, che fu per molti anni fido compagno di Francesco Gonzaga, accompagnandolo nel 1495 e nel 1496 nell’impresa contro Carlo VIII e nella spedizione nel regno di Napoli. Oltre che grande negoziatore, d’Atri fu anche un erudito e un amante delle arti e delle lettere che si prodigò più volte per procurare ad Isabella oggetti d’arte o relazioni con illustri letterati, e il suo operato si rivelò più volte indispensabile. D’Atri si rivolse al Mantegna (ormai anziano) per la realizzazione del monumento e si mise in seguito in contatto con Giovanni Pontano poeta e umanista di spicco presso la corte aragonese che accettò di comporne la iscrizione. Di fatto, il monumento non venne mai realizzato, sebbene il Mantegna realizzò alcuni disegni del progetto. Jacopo d’Atri inviò inoltre alla marchesa alcuni sonetti di Jacopo Sannazzaro (1457-1530), poeta e umanista napoletano, compositore di opere in latino e in volgare che ottenne notorietà con l’opera in prosa e versi intitolata Arcadia. Isabella si mostrò molto compiaciuta nel riceverla.

1500-1502

Il 17 maggio 1500 Isabella diede alla luce il tanto desiderato figlio maschio che venne battezzato con il nome di Federico, in onore del nonno paterno e per il quale la marchesa scelse come padrini l’imperatore e Cesare Borgia. L’anno successivo, il 1° giugno, nacque un’altra figlia femmina, Ippolita D’Este Gonzaga.

In questo periodo un’altra opera del Mantegna, Minerva caccia i Vizi dal giardino della Virtù, confluisce nello studiolo della marchesa.

1502-1503

Al principio del 1502 giunse a Ferrara Lucrezia Borgia, sposa in terze nozze di Alfonso d’Este, con la quale Isabella ingaggiò una competizione, sfoggiando le vesti più raffinate e le acconciature più sofisticate. In occasione del matrimonio tra Lucrezia Borgia e Alfonso, Isabella si esibì nel canto, intrattenendo gli ospiti, evento raro, in quanto la marchesa dava prova delle sue doti musicali sono in presenza di pochi eletti amici.

Il 21 giugno il “Valentino” occupò Urbino, mentre Guidobaldo di Montefeltro si rifugiava a Mantova e Isabella si rivolse a Cesare Borgia affinché venissero restituiti un Cupido e una Venere antica che erano stati sottratti dal palazzo del cognato Guidobaldo. Intanto la marchesa aveva già intrapreso le trattative di matrimonio tra suo figlio Federico e Luisa Borgia, figlia di Cesare e Charlotte d’Albret. Matrimonio, questo, che avrebbe tutelato il proprio stato, vista la politica espansionistica intrapresa da Borgia. L’anno seguente, il 31 ottobre 1503, Francesco Gonzaga partì per Napoli, lasciando nuovamente a Isabella le redini del governo di Mantova. Sempre nel 1503, Isabella diventò nuovamente madre di Livia Osanna, nome scelto in devozione della beata Osanna Andreasi, la suora che predisse alla marchesa la nascita dell’agognato figlio maschio, Federico.

1504-1508

Nella primavera del 1504, giunta a Ferrara al fianco di Francesco, Isabella venne a conoscenza della relazione iniziata dal marito con Lucrezia Borgia. Il rapporto passionale che si instaurò tra i due diede adito a numerosi pettegolezzi di corte, di fronte ai quali la marchesa reagì con presunta indifferenza. Intanto si avviarono i negoziati per le nozze di Eleonora Gonzaga con Francesco Maria Della Rovere, erede del ducato di Urbino. Il contratto di nozze venne stipulato il 2 marzo 1505 e fu ufficializzato nel dicembre successivo da Giulio II, zio del futuro sposo.

Sempre nel 1505, Isabella incontrò un’altra figura importante, Pietro Bembo (1470-1547), letterato veneziano che mantenne una lunga e sincera amicizia con la marchesa. La famiglia del Bembo ebbe diversi contatti con Gonzaga: già suo padre Bernardo Bembo chiese per i figli Carlo e Pietro due cavalcature al marchese, il 1° aprile del 1502, ed Isabella invitò più volte Pietro a farle visita a Mantova, sebbene il letterato si trovò più volte costretto a declinare l’invito per impegni irrevocabili. Il Bembo giunse finalmente alla corte di Isabella nel giugno del 1505, in compagnia di Paolo Canale, del quale era intimo amico, e la visita fece particolarmente piacere alla marchese che ne scrisse a Tebaldeo in questi termini:

«sono dimorati presso nuy alcuni dì m. Pietro Bembo et m. Paolo Canale cum tanta nostra satisfactione et piacere quanto sii possibile immaginarsi. Però che delle virtù loro havemo ritrovato esserne molto più in effetto che non era la expectatione nostra et relatione factane de epsi, anchor che la fusse grande et optima» (A. Luzio, R. Renier, La coltura e le relazioni letterarie di Isabella d’Este Gonzaga, «Giornale Storico della Letteratura Italiana», 37, 1899, fasc. 110-111, parte 4, p. 203).

Sentimento ricambiato anche dal Bembo che, appena tornato a Venezia, il 1° luglio 1505 le inviava una lettera che merita di essere citata per intero, in quanto riporta non pochi dettagli dei ritrovi mantovani, dove Isabella si dilettava con la musica e la poesia:

«Jesus Christus. Mando a V. Ex.tia, Madonna et patrona ill.ma mia, dieci sonetti et due stramotti alquanto usciti de la loro regola: non già perchèmeritino essi venire a le mani di V.S. per alcuna condition loro, ma perché io pure desidero che alcun mio verso sii recitato et cantato da V.S., ricordandomi con quanta dolcezza et suavità V.S. cantò quella felice sera gli altrui; et stimando che nessuna gratia possano avere le cose mie maggiore che questa. De’ quali sonetti alcuni ne sono non avuti qui da altri, et li stramotti in tutto nuovi, non pur veduti da alcuno. Increscemi che, per avventura, non risponderanno a la expectatione de V.S. né al desiderio mio. Ma confortomi, che se saranno cantati da V.S. si potranno dire fortunatissimi; né altro bisognerà perché agli ascoltanti piacciano e sieno più avuti cari, per la bella et vaga mano, et la pura et dolce voce di V. Ill.ma Sig.ria, a la cui bona gratia senza alcuna fine mi raccomando» (ivi, pp. 203-204).

Il Bembo e la marchesa ebbero più di una occasione per incontrarsi. Isabella si recò a visitarlo a Roma nel 1515 e si incontrarono in seguito anche a Mantova nel 1519 e nel 1537, di nuovo a Roma nel 1525, a Bologna nel 1529 e a Venezia nel 1532 e 1538.

Il rapporto con il Bembo crebbe anche a causa della gravità degli avvenimenti che li circondavano e dei negoziati politici che li impegnarono in quegli anni; i loro incontri e scambi persero con il tempo l’iniziale spensieratezza, quando, più giovani, si scambiavano opinioni sull’arte e sulla poesia.

Il 25 gennaio 1505 muore Ercole I d’Este, padre d’Isabella che, ancora fortemente legata alla famiglia d’origine, si trovò coinvolta in un dissidio tra il cardinale Ippolito, sostenuto dal duca Alfonso, e i fratelli Giulio e Ferrante. La causa si concluse con la prigionia di questi ultimi. Il 2 novembre dello stesso anno Isabella partorì il suo secondogenito maschio, Ercole, che rafforzò la continuità dinastica, fino a consolidarsi con la nascita del fratello Ferrante, il 28 gennaio 1507; quest’ultimo, presto avviato alla carriera militare, darà poi vita, nel 1539, al ramo cadetto dei Gonzaga di Guastalla, avendo preso possesso dell’omonima contea, un piccolo stato indipendente nei pressi di Mantova dalla contessa Ludovica Torelli.

Nel 1506, l’artista Lorenzo Costa consegnò ad Isabella l’opera nota come Allegoria della Corte di Isabella d’Este. Il dipinto fu sistemato nella parete di fondo dello studiolo nel castello di San Giorgio. Esso raffigura la principessa al cospetto della Venere Celeste, pronta per essere incoronata. Nell’opera Isabella si identifica con le dea e nell’atto di chinare il capo assume la postura della Venus Pudica. Al gesto dell’incoronazione assistono musici e letterati, tra i quali è possibile riconoscere i volti di Pietro Bembo e di Baldassarre Castiglione.

Durante uno dei suoi viaggi a Milano, nel 1507, Isabella conosce il letterato Giangiorgio Trissino (1478-1550), sebbene il primo documento attestante l’esistenza di un rapporto diretto risalga al 1514, quando il Trissino inviò ad Isabella la sua operetta, I Ritratti, a lei dedicata. L’amicizia fra i due fu duratura e il Trissino godette di buoni rapporti anche con i figli della marchesa.

Nel 1508 Isabella viene seguita nei suoi studi dal poeta e umanista Mario Equicola e, sotto la sua guida, completò la sua istruzione a tal punto da essere riconosciuta in tutta Italia «circa el parlare latino» (A. Luzio, R. Renier, La coltura e le relazioni letterarie di Isabella d’Este Gonzaga, «Giornale Storico della Letteratura Italiana», 37, 1899, fasc. 97, parte I, p. 4). Mario Equicola nacque ad Alvito intorno al 1470 e conobbe Isabella a Ferrara, presso la famiglia Cantelmo, dove egli assisteva in qualità di segretario Margherita Cantelmo, grande amica di Isabella. A partire dalla primavera del 1508, quando l’Equicola giunse a Mantova come precettore della marchesa, si creò con la famiglia Gonzaga un lungo sodalizio che lo portò ad essere il punto di riferimento della marchesa prima e di suo figlio Federico poi. Equicola fu prevalentemente un cortigiano e sapeva farsi apprezzare e ben volere dalle personalità più eminenti della corte mantovana. Si prodigò con zelo in favore della marchesa nella rivalità di quest’ultima con Lucrezia Borgia e fu per Isabella un fedele consigliere, tanto che diverse figure di rilievo del milieu dei Gonzaga si rivolsero a lui per ottenere favori da Isabella o per poter  trovare sistemazione presso di lei: è il caso, ad esempio, di G.P. Sambiase, un pedagogo cosentino che in una lettera datata 30 marzo 1519 si raccomandava a Mario Equicola affinché quest’ultimo lo collocasse presso i Gonzaga come precettore del figlio Ercole.

1509-1515

Nell’aprile del 1509, mentre Francesco Gonzaga si trovava impegnato in campo nella Lega che vedeva alleati il papa, l’imperatore, la Spagna e Alfonso d’Este contro Venezia, Isabella assunse la più difficile delle sue reggenze. Francesco venne inviato a fine luglio ad occupare Verona e dall’imperatore a conquistare Legnano, dove la notte del 7 agosto i veneziani riuscirono a catturarlo e a condurlo come prigioniero a Venezia. L’8 agosto fu richiamato in tutta fretta a Mantova il cardinale Sigismondo Gonzaga, fratello di Francesco, accorso per affiancare la cognata nel risolvere la crisi del marchesato mantovano. Con la prigionia del marito, Isabella si trovò impegnata nella negoziazione con il re di Francia a fronte del pericolo di perdita del marchesato.

Nel novembre dello stesso anno, nel periodo più difficile della sua reggenza, Isabella entrò in contatto anche con il celebre Niccolò Machiavelli, inviato a Mantova dai decemviri fiorentini per pagare una delle rate dei 40.000 ducati che i Fiorentini stabilirono di versare all’imperatore Massimiliano. Sebbene l’incontro fra Machiavelli e Isabella fosse di natura puramente politica, il pensatore fiorentino ebbe modo di apprezzare le doti diplomatiche della marchesa che nel difficile momento in cui si trovava seppe destreggiarsi con «prudenza virile e garbo donnesco» (O. Tommasini, La vita e gli scritti di Niccolò Machiavelli nella loro relazione col Machiavellismo. Storia ed esame critico, vol. 1 [1883], rist. anast. London, Forgotten Books, 2013, p. 471).

La marchesa si concentrò sulle trattative per la liberazione del marito che si rivelarono pericolose soprattutto per suo figlio Federico, richiesto in ostaggio dall’imperatore e dal re di Francia. Intanto Isabella legò a sé il papa Giulio II, stipulando le nozze tra il nipote di quest’ultimo, Francesco Maria della Rovere e Eleonora Gonzaga. In seguito Giulio II nominò Francesco II Gonzaga capitano generale dei veneziani in cambio della sua liberazione, a patto però che suo figlio Federico fosse portato a Venezia come pegno. Isabella inizialmente si mostrò contraria a separarsi dal figlio, ma l’accordo venne infine raggiunto nel luglio del 1510, quando Giulio II si offrì di trattenere Federico presso di sé a garanzia del padre verso la Serenissima. Durante la sua prigionia presso il papa, Federico si legò molto a Mario Equicola, che non mancò di scrivergli tenendolo aggiornato su quanto accadeva a corte, tanto che da lì in poi Mario rientrò nelle grazie del nuovo marchese. Durante il periodo in cui Federico II Gonzaga si trovava ostaggio presso Giulio II, Isabella non mancò di raccomandarlo anche alle cure del cardinale e drammaturgo Bernardo Dovizi (1470-1520) detto il Bibbiena, che entrò in contatto con la marchesa durante le sue numerose visite a Mantova, entrandovi in una tal confidenza da lasciarsi chiamare da quest’ultima con il soprannome di “Moccicone”, che usava come firma nelle sue lettere.

Il 5 agosto 1511, Isabella perde la sua amata cagnolina Aura. Per l’occasione la marchesa ricevette un plebiscito di lacrime poetiche da parte dei suoi numerosi amici letterati. La solennità con cui venne commemorata Aura fu sorprendente. Non solo i poeti mantovani, ma anche alcuni da Roma e da altre parti della penisola si unirono al dolore della marchesa componendo versi in gran parte latini, raccolti in una sorta di zibaldone conservato nell’Archivio Gonzaga. In esso figurano poemetti, epigrammi, elegie e sonetti composti dallo stesso Mario Equicola suo precettore, ma anche da Carlo Agnello, Francesco Vigilio, Jacopo Calandra, Pietro Barignano, Battista Scalona, il Tebaldeo, Antonio dall’Organo, Girolamo Cusatro, Alessandro Guarino e Carlo Maffei.

Nel 1512, un’altra opera arricchì le pareti dello studiolo isabelliano nel castello di San Giorgio, ovvero il Regno del Dio Como realizzato dal ferrarese Lorenzo Costa.

Nel marzo del 1513 Federico fece ritorno a Mantova in seguito alla morte del papa e dietro licenza del collegio dei cardinali. Dopo la prigionia veneziana, i rapporti tra Francesco e Isabella si fecero sempre più tesi, al punto che Isabella intensificò le sue assenze recandosi nell’estate del 1514 a Milano, in seguito a Genova e dall’ ottobre 1514 fino al marzo del 1515 a Roma.  Sempre nello stesso anno si recò a Napoli per un breve soggiorno. Nel 1514 Lelio Manfredi tradusse con il sussidio della marchesa La carcel d’amor, romanzo spagnolo di Diego de San Pedro.

1515-1518

Nell’estate del 1515 di fronte all’avanzata del re di Francia Francesco I Isabella si riunì al marito Francesco facendo causa comune contro il pericolo che incombeva sul marchesato.

L’anno successivo Ludovico Ariosto termina la sua opera Orlando Furioso e ne consegna una prima copia alla marchesa. Nel Canto XXIX si legge un verso a lei dedicato che la ritrae così: «[…] E sia bella, gentil, cortese e saggia».

La situazione politica in quel periodo era molto tesa e Giovanni Gonzaga, fratello del marchese, era tra i comandanti alla guida della difesa di Milano contro le truppe francesi, sicché i coniugi, per garantirsi il favore del re di Francia, inviarono a Milano Federico per omaggiare il vincitore, che lo invitò in Francia, e rimase presso la sua corte fino agli inizi di aprile del 1517, allorquando si conclusero le trattative per le nozze tra Federico e Maria di Monferrato, che si sposarono a Casale il 15 dello stesso mese. Federico promise in questa circostanza di portare Maria con sé a Mantova al raggiungimento del 15° anno d’età. Sempre ad aprile, Isabella decise di mantener fede ad un voto e si recò, accompagnata da Mario Equicola, al santuario della Maddalena in Provenza, spingendosi in seguito fino a Marsiglia, Avignone, Arles e Lione. Per l’occasione Equicola pubblicò un opuscolo dove narra del pellegrinaggio compiuto da Isabella, intitolandolo D. Isabella Estensis Mantuae principis iter in Narbonsem Galliam. Tornata a Ferrara, dove trascorse l’autunno, Isabella si diresse a Casale Monferrato per partecipare ai funerali del consuocero, il marchese Guglielmo IX di Monferrato, morto il 4 ottobre del 1518.

Sempre nello stesso periodo Isabella entrò in contatto con l’umanista cosentino Giovan Paolo Parisio, noto ai più col nome accademico di Aulo Giano Parrasio (1470-1521). L’incontro avvenne presumibilmente a Roma, dove il Parrasio era stato chiamato dal pontefice Leone X a tenere la cattedra di eloquenza per lo Studium. La marchesa di Mantova aveva in grande stima il dotto cosentino e quando il cardinale d’Aragona affidò a Parrasio l’istruzione di Camillo Capilupi (1504-1547, uno dei figli di Benedetto Capilupi, segretario particolare dei Gonzaga), Isabella gli scrisse per raccomandargli il giovane Camillo. Ottenuta risposta positiva dal Parrasio, così gli replica in una lettera del 23 agosto 1517:

«D.no Jano Parrhasio.
Clariss. Et doctiss. Etc. Non havemo recevuto resposta da voi aliena da la expectatione nostra circa la commendatione vi facessimo di Camillo Capilupo; ma tanto più grata ni è stata quanto che per essa havemo conosciuto il piacere che havete havuto de potervi per questa via conciliare la benivolentia nostra, nel che ni pare non haver noi fatto minor acquisto, essendo quella virtuosa e docta persona che seti. Non volemo negare che non siamo amatrice de litterati et virtuosi se ben non siamo di facultà di poterli fomentare secundo seria il nostro desiderio. Se voi nel eruditr Camillo voleti che ’l nostro respecto sia fra molti il primo, noi anchora volemo che il respetto dela virtù vostra sia più potente causa di farvi essere da noi amato et stimato che non è la cura, qual tanto diligentemente haveti presa di dare littere et bona creanza a Camillo; però habbiati per costante et fermo che siamo per gratificarvi ogni volta che la occasione se ne presenti, o che da vui siamo recercate.

Bene valete. In lo nostro diporto, a di XXIII di Augusto 1517». (A. Luzio, R. Renier, La coltura e le relazioni letterarie di Isabella d’Este Gonzaga, «Giornale Storico della Letteratura Italiana», 40, 1899, fasc. 120, parte 7, p. 320).

L’istruzione e la cura che il Parrasio dedicò al Capilupi fu tale che il giovane manifestò alla marchesa il desiderio di seguire Parrasio a Napoli per perfezionarsi nelle discipline letterarie.  Isabella dissuase il giovane Camillo dall’intento, invitando Parrasio a fare lo stesso avendo deciso per Camillo che intraprendesse gli studi giuridici. La circostanza è documentata da una seconda lettera inviata a Parrasio nel 1519, nella quale si riferisce che il giovane Camillo aveva pregato la marchesa di concedergli di seguire quel maestro «homo de grandissima dextreza ad insignar et gustando per el suo mezo la dolceza de le lettere latine e greche e tractandome non altramente che suo proprio figliolo, mal volentiera mutaria preceptore» (L. Gualdo Rosa, Un decennio avventuroso nella biografia del Parrasio (1509-1519): alcune precisazioni e qualche interrogativo, in Parrhasiana III, a cura di G. Abbamonte, L. Gualdo Rosa, L. Munzi, Pisa-Roma, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, 2005, p. 35).

1519-1522

Il 29 marzo 1519 muore Francesco II Gonzaga. Durante il loro trentennio di matrimonio, in cui non mancarono contrasti e incomprensioni, Isabella e Francesco riuscirono comunque, attraverso la loro politica, a garantire l’indipendenza del marchesato a fronte dei numerosi conflitti che segnarono l’Italia a cavallo tra Quattro e Cinquecento. Rimasta vedova, Isabella assunse la reggenza, secondo testamento, insieme a suo cognato, il cardinale Sigismondo Gonzaga, fino al raggiungimento del 22° anno d’età di Federico. Una volta assunto il comando, Isabella si liberò dei suoi oppositori bandendo dallo Stato i consiglieri del defunto marito, quali Vigo da Camposampiero e Tolomeo Spagnoli. Quest’ultimo, nominato segretario particolare del marchese, era entrato nelle grazie del Gonzaga al punto che Francesco, oltre a tenerlo sempre in alta considerazione, gli aveva garantito doni e di onori fino ad accordargli il privilegio di portare il nome stesso dei Gonzaga (venne chiamato infatti Ptolomaeum Gonzagam, come risultain una lettera dell’Equicola al Bardellone, risalente al 1508). Tolomeo tuttavia non seppe mantenersi fedele, e sebbene cercasse il favore anche di Isabella, procurandole preziosi e versi di poeti, non mancò  di metterla in cattiva luce agli occhi di Francesco durante la prigionia veneziana. Delle sue mancanze Isabella venne a piena conoscenza solo dopo la morte del marchese, e a quel punto ella agì risolutamente per allontanarlo dalla corte. Tolomeo aveva inoltre abusato dei privilegi concessigli, falsificando documenti attraverso l’uso improprio dei sigilli marchionali e della firma in bianco del suo signore.

Il 28 giugno 1519, con l’elezione imperiale di Carlo V, Isabella dovette intraprendere una nuova politica di alleanze. Nel mese di maggio del 1520 sollecitò Leone X, per mezzo del cognato Sigismondo, affinché assegnasse al figlio Ercole il vescovato di Mantova. Il papa rifiutò e, così, sul finire di giugno dello stesso anno, Isabella inviò a Roma Baldassarre Castiglione (1478-1529) per intercedere presso il pontefice in favore del giovane Federico. Con abile lavoro diplomatico, il Castiglione ottenne per Federico, nel luglio del 1521, la carica di capitano generale della Chiesa, incarico che prevedeva una polizza segreta secondo la quale Federico si sarebbe impegnato a combattere sotto le bandiere pontificie anche contro lo stesso imperatore. Il Castiglione era un letterato di illustre famiglia, educato a Milano secondo la tradizione umanistica, e aveva prestato servizio prima presso la corte di Ludovico il Moro, poi presso Francesco Gonzaga e, per un certo periodo, dal 1504-1513, presso i duchi di Urbino. Per questa ragione Federico Gonzaga aveva inizialmente diffidato del suo operato e della sua fedeltà al marchesato, fino alla successiva riconciliazione, che avvenne nel 1516. Il Castiglione si era già in precedenza recato a Roma in veste di ambasciatore dei duchi di Urbino. A seguito dell’incarico conferitogli dopo la morte di sua moglie Ippolita Torelli gli fu conferito il diritto di cittadinanza nello stato ecclesiastico. Castiglione godette sempre del favore di Isabella, che nutriva per lui sincero affetto. Egli si prodigò sempre di procurare alla marchesa ogni sorta di rarità antiquarie e opere d’arte. Oltre che per le sue doti diplomatiche, egli era rinomato anche per la sua cultura letteraria e fu autore dell’opera celeberrima, Cortegiano, che ottenne grande risonanza. Nel III libro di quest’opera non manca di elogiare la venerata Isabella facendo pronunciare a Giuliano de’ Medici le seguenti parole:

«Se nella Lombardia verrete, v’occorrerà la signora Isabella marchesa di Mantova: alle eccellentissime vitrù della quale ingiuria si faria parlando così sobriamente, come saria forza in questo loco a chi pur volesse parlarne» (Baldassare Castiglione, Il Libro del Cortegiano, a cura di Giulio Preti, Torino, Einaudi, 1965, p. 255).

La relazione di Isabella con Castiglione diventò più assidua durante la signoria di Federico, sebbene anche tempo prima Isabella omaggiò Baldassarre della sua presenza in occasione del suo matrimonio con Ippolita nel 1516 e fu sempre lei a porgergli accoratamente le condoglianze quando perse la moglie quattro anni dopo. Uomo dall’animo raffinato e anch’egli, come la sua signora, amante delle belle arti, fu intimo amico di Raffaello Sanzio e da quest’ultimo fece realizzare per la marchesa un ritratto di Federico Gonzaga ancora fanciullo. Baldassarre Castiglione era l’incarnazione del perfetto cortigiano, di animo e di origine nobile, colto e diplomatico. Favorì notevolmente con i suoi servigi Isabella e suoi figli; e dopo aver ottenuto per Federico la carica di capitano generale della chiesa, riuscì a creare tra Isabella e il pontefice una buona sintonia. D’altronde, la nomina di Federico riavvicinava i Gonzaga alla causa imperiale ove si rivolgevano gli interessi politici del papa.

Nel maggio del 1521 il Castiglione ottenne per Ercole Gonzaga il trasferimento del vescovado di Mantova su richiesta di Isabella e, l’anno seguente, l’ambasciatore si prodigò per preparare la candidatura al pontificato di Sigismondo Gonzaga. Sempre nel 1522, Isabella inviò Ercole a Bologna dove venne istruito dal filosofo mantovano Pietro Pomponazzi (1462-1525). Nei quattro anni in cui Ercole restò a Bologna, egli si mostrò sempre molto soddisfatto dall’insegnamento di Pomponazzi per il quale nutrì sempre una profonda stima.

Nel frattempo, il 1° dicembre 1521 moriva papa Leone X, a ridosso della morte del celebre umanista cosentino Aulo Giano Parrasio (1470-1521). Sempre a questo periodo risale il suo contatto politico con Francesco Guicciardini (1483-1540), che nel 1521 prestava servizio come commissario generale dell’esercito pontificio e al quale Isabella allude in una lettera indirizzata al figlio Federico.

A Leone X successe, sia pure per breve tempo, Adriano VI, pontefice di orientamento filo-imperiale. In questo frangente, Isabella, grazie all’aiuto del Castiglione, riuscì a corrompere un funzionario della Curia romana riuscendo ad impadronirsi della polizza segreta sottoscritta l’anno prima da Federico e a distruggerla personalmente, eliminando cosi ogni possibile rischio di recrudescenza nei confronti dei Gonzaga.

In questi anni Isabella ebbe contatti con un altro nome illustre dell’ambiente letterario: Paolo Giovio (1486-1552), allievo di Pompanazzi. Giovio ebbe stretti contatti soprattutto con Federico II Gonzaga, e fu spesso a Mantova, nel 1521, 1523 e 1539, sebbene la visita più solenne fu quella del 1523 quando portò al marchese Federico lo scettro del generalato della Chiesa, conferitogli da papa Adriano VI. Nonostante che i maggiori rapporti di Giovio fossero con Federico, egli non mancò d’apprezzare anche la madre Isabella che in una lettera indirizzata a Mario Equicola definisce «rarissima foemina» (A. Luzio, Lettere inedite di Paolo Giovio tratte dall’Archivio Gonzaga, per nozze Asdrubaldi-Giraldi, Mantova, E. Segna, 1885, p. 17); altre parole di lode spende per la marchesa nel Ragionamento sulle imprese definendola «per li suoi onorati costumi magnificentissima» (P. Giovio, Ragionamento sulle Imprese, Milano, Edizioni Daelli, 1863, p. 59). Sempre di Giovio è la definizione dell’emblema dell’Accademia di S. Pietro in riferimento al gruppo di letterati che frequentavano il palazzo di Isabella nella piazza di S. Pietro, fra i quali troviamo Matteo Bandello (1485-1561), il celebre autore delle Novelle, che giunge a Mantova nel 1517 e vi resta fino al 1522 come familiare e segretario della Marchesa. Come puro esercizio retorico, documentalmente significativo al di là della sua qualità letteraria, è il discorso commemorativo nell’anniversario della morte del marchese di Mantova (Parentalis Oratio pro clarissimo imperatore Francisco Gonzaga), composto per ordine della stessa Isabella nel 1520 (cfr. N. Sapegno, Bandello, Matteo, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 5, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1963).

Al 1522 risale la decisione della Marchesa di trasferire il suo appartamento in un’altra area del Palazzo Ducale di Mantova, la Corte Vecchia. Negli apparati decorativi dell’appartamento isabelliano ricorrono con gran frequenza le titolature della Marchesa, il monogramma YS e, soprattutto, le sue imprese: un pentagramma costellato solamente da simboli di pausa che invitano al silenzio come alla dimensione ideale della riflessione filosofica; il motto “Nec Spe, Nec Metu” (“senza speranza, senza timore”), quale richiamo al pensiero stoico; la cifra romana XXVII che letta “vinti-sette” richiamerebbe al trionfo morale della Marchesa sui sette vizi capitali (“vinti i sette”); un fascio di polizze del lotto, simbolo della capacità di afferrare la fortuna; le lettere greche Alfa e Omega intrecciate, cifra di un sapere conclusus; il candelabro fornito di un unico lume, spesso accompagnato dal motto latino “sufficit unum”, quasi a simboleggiare l’unicità e la luminosità della figura di Isabella (L. Bonoldi, Isabella d’Este la Signora del Rinascimento, Rimini, Guaraldi, 2015, p. 25).

Il trasferimento interessò anche lo Studiolo e la Grotta e viste le dimensioni maggiori del nuovo Studiolo, Isabella commissionò al Correggio due nuove opere raffiguranti rispettivamente l’Allegoria della Virtù e l’Allegoria del Vizio.

1523-1527

Nella primavera del 1523 Isabella si reca, in compagnia del Castiglione, a Padova e a Venezia e, nel mese di luglio, a conferma della sua posizione filo-imperiale, invia il figlio Ferrante in Spagna presso Carlo V, avviandolo così ad una carriera politica e militare che lo porterà a ricoprire l’incarico di generale delle truppe imperiali, nonché viceré di Sicilia e governatore di Milano.

A seguito della morte di Adriano VI, avvenuta il 14 settembre 1523, e falliti i tentativi di vedere eletto suo cognato Sigismondo, Isabella si trovò suo malgrado costretta ad accettare l’elezione di Clemente VII e a sperare da quest’ultimo di ottenere la porpora per Ercole Gonzaga. Due anni dopo, il 6 marzo 1525, venne ricevuta dal papa e, nel mese di giugno, si trasferì a Palazzo Colonna. In seguito alla morte, il 2 ottobre 1525, del cognato Sigismondo, Isabella rinnovò la richiesta dell’investitura a cardinale per il figlio, desiderio che le verrà accordato nel settembre del 1526 da una bolla papale che imponeva ad Ercole di non rivelare la sua nomina finché non fossero stati eletti collegialmente altri cardinali, condizione che si verificò nel maggio del 1527 quando il papa ricorse alla nomina di cardinali dietro pagamento di 40.000 ducati ciascuno per poter coprire le ingenti spese di guerra dovute al far fronte all’arrivo delle truppe imperiali a Roma, che si conclusero nello stesso anno con il famoso ‘Sacco’. Nel frattempo Isabella si era rifugiata nella sua residenza di palazzo Colonna insieme a migliaia di nobili romani per sfuggire alle truppe capitanate da suo nipote Carlo di Borbone e da suo figlio Ferrante Gonzaga. Mentre l’esercito imperversava sulla città, la residenza di Isabella fu l’unica ad essere risparmiata. Tutti i beni e gli oggetti d’arte di Isabella vennero imbarcati a Civitavecchia ed ella proseguì via terra attraverso Urbino e Ferrara, dove, a Governolo, l’attendevano Federico ed Ercole. Il 14 giugno 1527 fece finalmente ritorno a Mantova, ma l’imbarcazione con tutti i suoi oggetti preziosi cadde in mano dei pirati con i quali fu necessario attuare una trattativa per la negoziazione del riscatto.

1528-1533

Nel novembre del 1528 Isabella venne incaricata dal fratello Alfonso di rappresentarlo a Ferrara per l’accoglienza del nipote Ercole e di sua moglie Renée, figlia di Luigi XII e, nell’autunno del 1529, prese parte al celebre incontro di Bologna che sanciva la pace tra il papa e l’imperatore, partecipando all’incoronazione di Carlo V, avvenuta il 24 febbraio 1530, dove Clemente VII pose sul capo dell’imperatore la corona imperiale. Pochi giorni dopo l’imperatore raggiunse Mantova dove venne accolto trionfalmente, conferendo a Federico Gonzaga il titolo di duca. Già nel 1529 Federico ottenne dal pontefice l’annullamento del matrimonio con Maria Paleologo. In seguito alla morte (6 giugno 1530) del fratello di questa, il marchese di Monferrato Bonifacio IV e alla successiva scomparsa dello zio Giorgio Paleologo, Maria avrebbe ereditato il  Monferrato, territorio ambito dai Gonzaga. Isabella e Federico si adoperarono affinché venisse riconosciuto il matrimonio precedentemente annullato. Purtroppo la morte improvvisa di Maria Paleologo rese vani i loro sforzi e Federico si decise ad accettare l’offerta della marchesa di Monferrato di prendere in sposa Margherita, sorella della defunta. Il matrimonio si celebrò nell’ottobre del 1531 e pose le basi per l’acquisizione del Monferrato. Il 30 aprile 1533 morì anche lo zio Giorgio senza lasciare una discendenza legittima, il che permise a Margherita e di conseguenza anche a Federico di ereditare il titolo di marchesi di Monferrato. Il 10 marzo del 1533 Margherita diede alla luce Francesco, l’erede maschio che assicurava la continuità dinastica di Federico.

L’amore per l’arte che rese la corte di Isabella tra le più illustri d’Europa, fu trasmesso ai suoi figli, come testimonia la costruzione commissionata da Federico II Gonzaga al noto Giulio Romano, del Palazzo Te, avviata nel 1524 e conclusasi nel 1534 dove si possono ammirare splendidi affreschi come quello realizzato nella “Sala dei Giganti” dallo stesso Romano.

1535-1539

Il 22 dicembre 1535 Isabella diede istruzioni per il suo testamento, che prevedeva un sesto della propria dote a ciascun figlio, e la concessione in usufrutto delle collezioni artistiche contenute nella Grotta e nello Studiolo a sua nuora. L’anno successivo il celebre pittore Tiziano consegnò alla marchesa il ritratto retrospettivo commissionatogli da Isabella e eseguito in absentia (da qualche tempo Isabella manifestava malumore nel restare in posa per diverse ore), usando come riferimento un precedente ritratto della principessa realizzato da Francesco Francia. I primi contatti tra Isabella e Tiziano risalgono al 1519 quando si legge per la prima volta il nome dell’artista nel copialettere della marchesa.

Isabella d'Este

Ritratto d’Isabella d’Este, Kunsthistorisches Museum, Vienna

Sebbene già da qualche anno conducesse una vita più ritirata, Isabella non rinunciò mai a spostarsi per incrementare la sua collezione. Nel 1538, qualche mese prima di morire, si recò a Venezia con suo figlio Federico, per acquistare alcuni pezzi antichi della collezione  veneziana di Antonio Foscarini e vi rimase fino a metà novembre, quando la sua salute era ormai compromessa. La malattia la condusse alla tomba il 13 febbraio 1539 e la marchesa lasciò indicazioni per una sepoltura sobria nel convento di Santa Paola.

La morte di Isabella privò il Rinascimento italiano di una delle figure più sublimi e influenti. Definita dai più la «Primadonna», per l’azione che esercitò sugli eventi importanti del tempo, Isabella non mancò di esprimere la sua risolutezza e le sue capacità di mediazione in situazioni spinose. Il suo gusto estetico e il suo fascino, dimostrato per tutto l’arco della sua vita, nelle diverse occasioni che la videro protagonista, erano il riflesso di uno spirito arguto e avido di conoscenza e bellezza. Ella dedicò la sua vita alla ricerca di opere d’arte pregiate e non cessò mai di studiare, tenendosi informata su quanto avveniva intorno a sé. La curiosità della marchesa per ogni genere di poesia la mosse non solo a conoscere i rimatori italiani delle origini, ma anche quelli provenzali e sebbene non fosse in grado di leggere il greco, volle conoscere gli scrittori greci in versioni latine e addirittura desiderò libri scritti in greco così da poterne commissionare la traduzione. Il suo ardore per le lettere la spinse a procurarsi quanto più di nuovo questo campo produceva, tanto che molti uomini di lettere presero familiarità con la marchesa e le rivolsero una sincera ammirazione riconoscendo in lei una reale passione per le opere e non una semplice ricerca di fasto. Ella preferì sempre distinguersi per le doti del suo spirito che volle nutrire con letture impegnate rilegate in volumi pregiati. Ebbe contatti diretti con Aldo Manuzio, celebre editore veneziano che in più di una occasione soddisfò le richieste della marchesa realizzando per lei stampe di classici italiani come Dante, Boccaccio e Petrarca, e da quest’ultimo Isabella volle risalire fino ai lirici italiani suoi precursori.

La libreria personale di Isabella d’Este si componeva di volumi pregiati in cui molti codici e libri antichi e moderni le erano stati donati e dedicati. L’inventario dei libri che si conserva nell’Archivio Gonzaga risale nella parte più antica sino al 1541 e non fornisce in maniera dettagliata e precisa la mole effettiva della biblioteca. Molti dei libri che ne facevano parte sono stati smarriti, sia per l’abitudine di Isabella nel concederli in prestito, sia a causa degli inevitabili furti, come attesta una notifica rivolta da Giangiacomo Calandra alla marchesa risalente al 1516. La vicenda della libreria di Isabella è strettamente connessa a quelle degli altri codici in possesso dei Gonzaga; e molti di essi, tra i più antichi e importanti, furono venduti sin dal principio del XVII secolo. Alcuni di essi giunsero fino a Carlo Emanuele I di Savoia, il quale li trasferì a Torino nella biblioteca ducale, ed essi furono successivamente raccolti per volontà di Vittorio Amedeo II nella biblioteca universitaria nazionale.

Grazie all’opera svolta da Alessandro Luzio e da Rodolfo Renier che hanno reso noto l’inventario dei libri posseduti dalla marchesa, possiamo comunque farci un’idea della composizione della libreria. Riproduciamo di seguito le notizie essenziali dell’inventario pubblicato nella Appendice I dello studio di Luzio e Renier (A. Luzio, R. Renier, La coltura e le relazioni letterarie di Isabella d’Este Gonzaga, “Giornale Storico della Letteratura Italiana”, 42, 1903, Appendice I, pp. 75-81).

Inventario de li Libri lasciati per la q. felice memoria
Dell’Ill.ma  S.ra Isabella d’Este marchesana di Mant.a
1. Un libro di musica francesa.
2. Un libro chiamato Cornucopia in foglio.
3. Aristide greco scritto a mano in foglio.
4. Amadis de Gaula in foglio.
5. Un libro de Tirante Lonblanch in spagnolo in foglio.
6. La musica di Franchino scritta a mano in foglio.
7. Don Tristano in spagnolo in foglio.
8. Le opere di Senecha in spagnolo.
9. Un libro delle donne illustri di frate Filippo da Bergamo in foglio.
10. Propaladia in spagnolo in foglio.
11. Lucio Floro in carta pergamena scritto a mano.
12. L’Etica di Aristotile in foglio.
13. Timon comedia scritta a mano in foglio.
14. Comedia senza titulo in foglio scritta a mano.
15. Opera di Pietro Martire Anglo in foglio.
16. Apuleio vulgare scritto a mano.
17. Libro de Battista Scalona scritto a mano in versi latini et prosa volgare.
18. Le prediche di Frate Hier.mo Savonarola in foglio.
19. Le orationi di Cicerone in foglio.
20. Latantio Firmigliano in carta pergamena scritto a mano.
21. Vergilio con comento in foglio.
22. Bibia in foglio.
23. Vita di San Girolamo in volgare in foglio.
24. La Espositione volgare di frate Federico veneto sopra l’Apocalipsi in foglio.
25. Vergilio con comento in foglio.
26. Tirante il Bianco in foglio.
27. La Sforciada volgare in foglio.
28. Comentarij di Cesare in foglio.
29. Le orationi di Cicerone scritte a mano in carta pergamena in foglio.
30. Dante in carta pergamena scritto a mano in foglio.
31. Li prefetti volgari in carta pergamena in quarto, scritti a mano.
32. Ditis in carta pergamena scritta a mano in quarto.
33. Il Panagidico di Plinio in carta pergamena in quarto scritto a mano.
34. Tibullo Catullo Propersio insieme scritti a mano in carta pergamena in quarto.
35. Egloga del S. Nicolò Coreggio scritto a mano in quarto.
36. Versi di Pietro Lazarono scritti a mano in carta pergamena in quarto.
37. Canzone in carta pergamena scritta a mano in quarto.
38. Li Sinonimi di Cicerone in quarto.
39. Justino istorico in foglio coperto.
40. Opera di Dialogi senza nome dell’autore scritto a mano in foglio.
41. Bibia con le concordantie del novo et vecchio Testamento in ottavo.
42. Leonardo Aretino della guerra dei Gotti scritta a mano in carta pergamena in ottavo.
43. Carcere de Amore in spagnolo in ottavo.
44. Di Sonetti di Gio. Bruno scritti a mano in ottavo.
45. Le Medaglie di Sabeto scritte a mano in ottavo.
46. Sonetti senza nome dell’auttore scritti a mano in carta pergamena in ottavo.
47. Frate Battista Carmelitano sopra la morte del S.r Nicolò da Correggio scritto a mano in ottavo.
48. Egloga de Panizza scritta a mano in ottavo.
49. Sonetti scritti a mano in ottavo di Jac. Curiaco.  
50. Le Imagine di Filostrato volgari in ottavo scritte a mano.
51. Versi latini di Cesare Bordono scritti a mano in ottavo.
52. Romanci del S.r Nicolò da Correggio scritti a mano in ottavo.
53. Li Trionfi del Petrarca scritti a mano in carta pergamena in ottavo.
55. Sonetti e Trionfi del Petrarca scritti a mano in carta pergamena in ottavo.
55. Dialogo del Platina delli fioretti della lingua latina scritti a mano in carta pergamena in quarto.
66. Renovatione del mondo in ottavo.
67. Scrutinio della dotta ignorantia in ottavo.
68. Versi di Batt. Fera in quarto.
59. Epitalamio di Gio. Franc. Soardo scritto a mano in carta pergamena.
60. Il Giardino de Amore di Gio. Franc. Soardi in quarto scritto a mano in carta pergamena.
61. Elegia quadregismale di Frate Battista carmelitano scritta a mano in quarto.
62. Versi di Lampridio Cervino scritti a mano in quarto.
63. La Fabrica del reggimento della sanità in quarto.
64. Mario Equicola in quarto.
65. Psalterio scritto a mano in carta pergamena in quarto.
66. Elegia di Gio. Franc. Vigilio.
67. Li Offitij di Cicerone scritti a mano in carta pergamena in quarto.
68. Archadia di Sannazaro scritta a mano in foglio.
69. Epigrami di Guido Postumo scritti a mano in quarto.
70. Comedia di Plauto chiamata Trinumo scritta a mano in quarto.
71. Libro de tutti i tituli delli Principi in quarto.
72. Epitalamio di Bernardo Tasso scritto a mano in carta pergamena in quarto.
73. Elegia del S. Baldesar Casteglione scritto a mano in carta pergamena in quarto.
74. Alcuni versi di Luca Cassio scritti a mano in carta pergamena in quarto.
75. Opera dedicata a Paris Ceresari il giovane fatta in versi latini scritta a mano in carta pergamena in quarto.
76. Versi vulgari scritti a mano in carta pergamena in ottavo.
77. Nicolò de Lira sopra li salmi in foglio.
78. Li Fasti de Ovidio et altre opere scritte a mano in carta pergamena ottavo.
79. Libro della vita e transito della beata Osana in quarto.
80. Un libro di canzone francese in ottavo.
81. Le Orationi di Mario Equicola in onore della Beata Osana in quarto.
82. Del sito et costume de Sviceri scritti a mano in carta pergamena in quarto.
83. Li sermoni di Ant. Valtolina scritti a mano in quarto.
84. Giardino del S.r Conte Nicolò da Coreggio scritto a mano in carta pergamena in quarto.
85. Silvette di Nicolò Liburnio scritte in volgare in carta pergamena in quarto.
86. Opere di Sonetti senza il nome dello autore scritte a mano in quarto.
87. Silvette di m. Nicolò Liburnio a stampa in carta pergamena in quarto.
88. Versi o sia Panagidico di Alessandro Redo fino scritti a mano in quarto.
89. Historia della Contessa Matilda volgare scritta a mano in carta pergamena in quarto.
90. Vita della Beata Osana latina in carta pegorina a stampa in quarto.
91. La Cerva candida in quarto.
92. Soneti di Lorencio di Medici in foglio scritti a mano.
93. Petrarcha in ottavo.
94. Stacio in ottavo.
95. Giardino dell’anima in ottavo.
96. Epistole di Cicerone in ottavo.
97. Le Tragedie di Senecha in ottavo.
98. Ovidio de Fastis, de Tristibus, de Ponto.
99. Sonetti de Jacobo Copino in ottavo scritti a mano in carta pergamena.
100. Sonetti del Prete del S. Nicolò scritti a mano in carta pergamena ottavo.
101. Terencio in ottavo.
102. Le Epistole di Bruto scritte a mano in carta pergamena in quarto.
103. Epistole famigliari di Cicerone in ottavo.
104. Versi di Frate Battista Carmelitano scritti a mano in ottavo.
105. Dante stampa d’Aldo in ottavo.
106. Juvenale in ottavo.
107. Plinio scritto a mano in carta pergamena in foglio desligato.
108. Albumassar scritto a mano in carta pergamena in foglio.
109. Le Vite di Plutarco scritte a mano in carta pergamena in foglio.
110. Versi volgari senza nome dell’autore scritto a mano in quarto.
111. Justino scritto a mano in carta pergamena in foglio.
112. Valerio Masimo in ottavo.
113. Luchano.
114. Gesta Romanorum in ottavo.
115. Petrarca in ottavo in carta pergamena stampa d’Aldo.
116. Terencio in ottavo.
117. Metamorphosis de Ovidio in ottavo.
118. Oratio in ottavo.
119. Opere di Clemente Marotto in francese in ottavo.
120. Le Epistole de Ovidio in ottavo.
121. Un libretto scritto a mano di caratheri incogniti.
122. Oratio in ottavo a stampa.
123. Valerio Flacco come di sopra.
124. Dante in ottavo.
125. Bibia scritta a mano in quarto in carta pergamena.
126. Salmista greco scritta a mano in carta pergamena in ottavo.
127. Li Asolani del Benbo stampati in carta pergamena in quarto.
128. Versi della Fortuna di Frate Battista carmelitano.
129. Nove delle Indie nove.
130. Sonetti Canzoni di Diomede Guidelotto desligati.
131. Tirocinio del sop.a s.to.
132. Elegia de Ludovico Galvagno.
133. Opera greca latina desligata.

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