di Sandra Plastina

1515

Nasce a Benevento da una modesta famiglia; rimasto precocemente orfano fu guidato agli studi dal fratello Vincenzo.

1529-1535

Si stabilisce a Napoli e qui, sotto la protezione del docente di diritto Bartolomeo Camerario comincia a frequentare gli ambienti letterari della città partenopea; nello stesso anno pubblica alcuni epigrammi latini con il titolo Hisabella,dedicati a Isabella di Capua, principessa di Molfetta, moglie del Vicerè di Sicilia, Ferrante Gonzaga. Negli anni napoletani di noviziato letterario, tra il 1531 e il 1536, il giovanissimo Nicolò risulta introdotto dal fratello Vincenzo, latinista e suo precettore, nell’ambiente letterario aragonese nel periodo della cosiddetta «seconda scuola» pontaniana guidata da Scipione Capece. Nicolò conosce Luigi Tansillo e comincia a coltivare amicizie importanti, assillato dal problema di procurarsi una onorevole collocazione. Prende avvio in questi anni una specie di «ansia da sistemazione» che non abbandonerà più Nicolò. I suoi ripetuti tentativi di trovare una collocazione intellettuale sono divenuti in un certo senso paradigmatici della tormentata e inquieta condizione di quegli intellettuali «irregolari» e non «organici» alle corti, come Anton Francesco Doni, Ludovico Domenichi, Antonio Brucioli, che con Nicolò Franco condividevano «il difficile mestiere di scrivere», insofferente al potere politico e spesso pericolosamente vicino a posizioni ereticali (C. Di Filippo Bareggi, Il mestiere di scrivere: lavoro intellettuale e mercato librario a Venezia nel Cinquecento, Roma, Bulzoni, 1988, p. 15).

1536-1537

Si reca a Venezia, unico letterato proveniente dall’Italia meridionale nella città di San Marco, con una lettera di raccomandazione per Tiziano (C. Cairns, Niccolò Franco, l’umanesimo meridionale e la nascita dell’epistolario in volgare, 1985, pp. 119-128). Nello stesso anno dà alle stampe con il tipografo Marcolin un poemetto dal titolo Il tempio di Amore, un plagio ai danni di un omonimo componimento scritto dal napoletano Iacopo Campanile.

Entra nella cerchia di Pietro Aretino, che lo assume con mansioni di segretario. Franco collabora alla stesura delle opere di Aretino, grazie anche alla sua conoscenza del latino e fornisce il suo apporto alla composizione del I libro delle Lettere. Il polemista beneventano, ottimo latinista ed erasmiano convinto, come attestano i Dialoghi piacevoli del 1539, fornisce, inoltre, a Pietro Aretino, negli anni veneziani, traduzioni in volgare e riassunti delle opere di Erasmo da Rotterdam, tratte in particolare dal suo ricco epistolario, a riprova dei punti di contatto tra l’umanista olandese e la cultura meridionale, come dimostrato già dagli studi di Benedetto Croce (B. Croce, Quel che si raccontava di Niccolò Franco nella sua patria Benevento, in Aneddoti di varia letteratura, 1953, pp. 166-178). Niccolò Franco compila, inoltre, un suo personale Parnaso di poeti, in cui primeggia Luigi Tansillo, a evidenziare le sue preferenze intellettuali e le sue radici meridionali (C. Cairns, Niccolò Franco, l’umanesimo meridionale e la nascita dell’epistolario in volgare, 1985, p. 126).

dopo il 1538-1546

Nel 1539 dopo la pubblicazione delle Pistule vulgari, uscite presso lo stampatore francese attivo a Venezia, Antonio Gardane, dei Dialoghi piacevoli e del Petrarchista, opere di forte la carica polemica, avviene la rottura con l’Aretino. La situazione a Venezia diventa critica: a metà del 1539 Franco riceve una coltellata in viso da un uomo protetto da Aretino e a causa del rischio corso decide di abbandonare la città lagunare per recarsi a Padova, ospite probabilmente di Sperone Speroni. Da qui raggiunge poi Casale Monferrato, da cui ha intenzione di trasferirsi in Francia alla corte di Francesco I. A Casale Monferrato è ben accolto dal governatore della città Sigismondo Fanzino e rinuncia al progetto francese. Qui scrive le Rime contro P. Aretino e la Priapea, raccolta di sonetti satirici e lussuriosi, dal tono fortemente anticlericale e ricchi di invettive contro principi e potenti. Di tono completamente diverso è il Dialogo dove si ragiona delle bellezze, in cui celebra le donne di Casale. In questi anni fonda l’Accademia degli Argonauti, promuovendone le attività.

1546-1548

Improvvisamente si sposta a Mantova dove nel 1547 pubblica la Philena, con dedica a Giovanni Cantelmo conte di Popoli, a cui si era legato in quegli anni. Nel 1548 lascia Mantova e al seguito di Giovanni Cantelmo viaggia tra la Campania, gli Abruzzi, la Toscana.

1551-1554

Nel 1551 segue Cantelmo in Calabria pare con l’incarico di segretario. A Cosenza anima con i letterati locali un’accademia e compie forse un viaggio in Sicilia. A questo periodo risalgono, come ci riferisce lo stesso Franco, gli intensi e frequenti rapporti con il cenacolo cosentino. Le lettere del poligrafo contenute nel Codice Vaticano latino 5642 (cfr. F.R. De Angelis, Epistolario di Niccolò Franco Codice Vaticano latino 5642, 1979, pp. 81-113), ci forniscono, infatti, interessanti notizie sui rapporti tra Franco e altri letterati suoi contemporanei. In una lettera scritta nel 1552 da Cosenza al nobile casalese Cristoforo Picco, Franco «sostiene che non fu mai secolo più ingrato, e più maligno del nostro» (N. Badaloni, Inquietudini e fermenti di libertà nel Rinascimento italiano, Pisa, ets, 2004, p. 81). Il disprezzo per l’ipocrisia e i costumi del suo tempo domina i rapporti del letterato ed il gruppo di intellettuali laici ed ecclesiastici che trova a Cosenza: «in primo luogo il Soriceo, vicario dell’Arcivescovo di Cosenza, in secondo luogo un gentiluomo del luogo, Pietro Paolo Cicala, ed ancora un letterato già seguace dello Aretino, Gabriele Zerbo, e diversi altri tra cui Valentino Gentile. I rapporti tra il gruppo che fondò a Cosenza un’Accademia, sono improntati alla più grande spregiudicatezza» (ivi, p. 85).

Altri studiosi fanno esplicito riferimento alla sua adesione all’Accademia Cosentina, ponendo in risalto il fatto che del sodalizio era stato anche presidente, all’epoca in cui svolgeva mansioni di segretario per il duca di Popoli, governatore della Calabria, che lo aveva trascinato tra Napoli, Cosenza, Salerno e la Sicilia, per licenziarlo, infine, nel 1552 (L. De Franco, L’eretico Agostino Doni. Medico e filosofo del ’500, Cosenza, Pellegrini, 1973, p. 35).

Già nel 1552, infatti, Cantelmo, forse per difficoltà finanziarie, lo abbandona, e verso la metà di aprile Franco è costretto a ritornare a Napoli, dove trova un nuovo patrono nel principe di Bisignano Pietro Antonio Sanseverino.

1555-1568

Eletto papa Paolo IV, parente del conte di Popoli, Franco conduce trattative con i nipoti del papa per ottenere da quest’ultimo l’indulto dell’interdetto da Roma che Paolo III, svillaneggiato nella Priapea, gli aveva inflitto. Quantunque non riesca nel suo tentativo, nel giugno del 1558 si reca a Roma, dove appena arrivato, è imprigionato come eretico. Liberato dopo una ventina di mesi, entra come familiare del cardinale Morone, sfogandosi con violente pasquinate contro il morto Paolo IV e contro il cardinale Carlo Carafa. Intanto scrive una Vita di Cristo e traduce l’Iliade.

1568-1570

Salito al soglio pontificio Pio V, Franco fu scoperto nel 1568 colpevole delle accuse che avevano concorso a far condannare ingiustamente il cardinale Carafa; fu preso dall’Inquisizione e processato. Era accusato di aver composto durante la sede vacante del 1559 e il pontificato di Pio IV un virulento Commento sopra la vita et costumi di Gio. Pietro Caraffa che fu Paolo IV chiamato et sopra le qualità de tutti i suoi et di coloro che con lui governarono il pontificato, contravvenendo ad un bando contro le pasquinate, pubblicato per disposizione di Pio IV. Su Franco gravava anche il sospetto di aver conosciuto e frequentato eretici o sospetti di eresia e l’interrogatorio fu pressante e venne impiegata ripetutamente la tortura. Il processo terminò il 27 febbraio del 1570 con la condanna a morte dell’imputato e l’esecuzione ebbe luogo la mattina dell’11 marzo. Niccolò Franco fu impiccato sul ponte di Castel S. Angelo.

Bibliografia

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F.R. De Angelis, “II Petrarchista” di Niccolò Franco, «Annali dell’Istituto di Filologia Moderna dell’Università di Roma», i, 1977, pp. 41-60.

F.R. De Angelis, Epistolario di Niccolò Franco Codice Vaticano latino 5642, «Annali dell’Istituto di Filologia Moderna dell’Università di Roma», ii, 1979, pp. 81-113.

L. De Franco, L’eretico Agostino Doni. Medico e filosofo del ’500, Cosenza, Pellegrini, 1973.

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