di Raffaele Cirino

ca.1510

Sembra che Luigi Giglio, universalmente noto come Lilio, sia nato a Cirò, sullo Ionio crotonese, intorno a questa data. Non solo l’anno di nascita, ma tutta la breve vita del grande astronomo e medico calabrese sono avvolti nella incertezza. Alcuni studiosi, addirittura, mettono in dubbio la sua stessa origine cirotana. Tuttavia, per fare chiarezza su quest’ultima questione, è sufficiente leggere «quanto scrisse nel 1603 il gesuita tedesco Cristoforo Clavio, il più eminente matematico ed astronomo dell’epoca, membro della commissione istituita da Gregorio XIII per redigere la riforma del calendario Giuliano: Solus Aloysius Lilius Hipsichroneus rem feliciter et non sine Dei Optimi Maximi benignitate assecutus est» (E. Mezzi, F. Vizza, Luigi Lilio, medico, astronomo e matematico di Cirò. Ideatore della riforma del calendario gregoriano, Reggio Calabria, Laruffa Editore, 2010, p. 14). Dove Hipsicrhoneus sta per Ipsicrò, o Psychron, ossia Cirò dei nostri giorni. Un’altra prova che individua nella cittadina crotonese il luogo di nascita di Lilio è fornita da Giano Teseo Casopero, umanista cirotano, in una lettera che nel 1535 scrive all’amico Girolamo Tigano. In essa Casopero indica la famiglia «Giglio» tra le principali famiglie di Cirò (ibid.). Ma la certezza indiscutibile che Lilio fosse nato a Cirò ci viene da uno dei pochissimi documenti concreti che dice qualcosa di certo sulla sua breve vita: una lettera che lo stesso Casopero invia direttamente al geniale medico ed astronomo ormai residente a Napoli. La missiva è diretta ad Alovisio (latinizzazione di Luigi) Lilio e si conclude con questi consigli di amico d’infanzia e di studi:

«Cerca di avere mezzi da attirarti la conoscenza di uomini che potrebbero essere adescati da’ tuoi studii, e dalle sempre tue nuove scoverte, e così procurarti danaro, e saper molto vendere l’arte tua, essendo padrone di te stesso; ciò che ridonerà in tua gran lode e gloria, come colui che occupato onestamente viverà o con niuno, o col minimo dispendio di casa. Conservati, ed a tutti i nostri che in Napoli dimorano reca i miei saluti.
Da Psycro, 28 febbraio 1532».
(Jani Thesei Casoperi PsychronaeiEpistularum libri Duo, Venetiis, Bernardinus De Vitalibus, 1535, cc. 14v-15; cfr. E. Mezzi, F. Vizza, Luigi Lilio, medico, astronomo e matematico di Cirò, cit. pp. 18-19).

1526-1539

Gli studi nel paese natale si conclusero intorno al 1526 e, probabilmente, di lì a poco, insieme al fratello Antonio, si trasferì a Napoli, frequentando dai primi anni Trenta la celebre villa di Leucopetra (presso Portici) dei fratelli Coriolano e Bernardino Martirano, una sorta di cenacolo letterario che riuniva molti studiosi meridionali, tra i quali figurano autori provenienti dalla scuola cosentina di Aulo Giano Parrasio. Oltre al sopra citato Bernardino Martirano, si possono ricordare: Antonio Telesio, Francesco Franchini, Niccolò Salerno, Giovanni Antonio Cesario. Il periodo di permanenza a Napoli non si può definire con esattezza, ma è molto probabile che nella città partenopea Lilio si addottorò in medicina. L’indizio più importante in questo senso proviene da uno scritto del 1576 di Juan Salon, De Romani kalendarii nova emendatione, ac Paschalis Solennitatis reductione (Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Magliab. 12.6.59/a; cfr. E. Mezzi, F. Vizza, Luigi Lilio, medico, astronomo e matematico di Cirò, cit. p. 16), nel quale Lilio viene definito, oltre che matematico, anche medico: «Aloisius Lilius Medicus excellentissimus et Mathematicus…». In effetti, quella espressione della lettera di Casopero dove parla di «sempre nuove scoverte» compiute da Lilio, si riferisce alle ricerche e studi compiuti da quest’ultimo in campo astronomico. Bisogna sottolineare, per l’intelligenza del lettore, che in quel tempo medicina e astronomia erano strettamente correlate, anzi «l’astronomia era insegnata in funzione dell’astrologia e questa, a sua volta, svolgeva un ruolo ancillare a fronte della medicina, arte che praticava la diagnostica delle malattie e ritmava l’attività di cura secondo il variare delle configurazioni degli astri nel cielo notturno; insomma la medicina era profondamente intrecciata con il sapere astronomico in una sorta di “astroiatria”» (F. Piperno, Gian Battista Amici, un grande astronomo mancato, in Storia del pensiero filosofico in Calabria da Pitagora ai giorni nostri, a cura di M. Alcaro, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2012, p. 220). Approfitto di tale citazione per ricordare che in quegli anni (1536) veniva pubblicato, a Padova, un opuscolo astronomico di grande valore del cosentino Gian Battista Amico (o Amici), dal titolo De motibus corporum coelestium iuxta principia peripatetica sine eccentricis et epicicli (Venetiis, I. Patavino et V. Roffinello, 1536).

ca. 1540

Intorno a questa data, Luigi Lilio si trasferisce a Roma, probabilmente su invito di un altro noto calabrese, ossia Guglielmo Sirleto (1514-1585), nato a Stilo, il quale, avendo dimorato a Napoli dal 1531 al 1539, era sicuramente venuto a contatto col genio di Lilio. Se a questo si aggiunge il grande peso che Sirleto esercitò nei confronti della commissione per la correzione del Calendario istituita da Gregorio XIII, allora le probabilità dell’influenza del Sirleto circa il trasferimento di Lilio a Roma aumentano. Immenso per dottrina e per erudizione, il Sirleto era esperto di lingua greca, latina ed ebraica, eccelleva nella storia della Chiesa, delle Scritture e della liturgia. Amava circondarsi di dotti, specie di conterranei e, probabilmente, oltre a Luigi Lilio, anche Gabriele Barrio (ca. 1506-ca. 1577) godeva della sua protezione  a Roma.

1552

Luigi Lilio esercita la docenza di medicina nella università di Perugia. Questa perentoria affermazione possiamo farla grazie a Egidio Mezzi e a Francesco Vizza, i quali hanno ritrovato una lettera di fondamentale importanza che certifica l’attività dello scienziato cirotano nell’ateneo perugino. La presenza di Lilio in quella prestigiosa sede era stata sempre ipotizzata, e la notizia dell’esistenza di questa epistola era stata data per la prima volta dallo studioso tedesco Josef Schmid (Zur Geschichte der gregorianischen Kalenderreform, «Historisches Jahrbuch», iii, 1882, p. 389). Segnaliamo che, nella ricorrenza del quarto centenario della riforma del calendario (1982), l’università di Perugia ne celebrò orgogliosamente i fasti, pubblicando per l’occasione un volume con annessa copia del Compendio liliano: Aloisius Lilius – Compendium novae rationis restituendi Kalendarium (a cura di U. Bartocci, M. Pitzurra, M. Roncetti, Perugia, Università degli Studi, 1982) nel quale, fra le altre cose, si ricorda che sfortunatamente il nome di Lilio non ricorre negli elenchi dei docenti della facoltà di medicina. Anche a Napoli non risultano documenti accertanti il suo dottorato in medicina, tuttavia, mentre in questo caso si può rilevare che solo nel 1562 il governo spagnolo promosse l’obbligo di un registro delle matricole, nel caso della docenza perugina ogni dubbio viene fugato dal documento rinvenuto dagli studiosi sopra menzionati. La missiva del 25 settembre 1552, a nome del cardinale Marcello Cervini (futuro papa Marcello II), è indirizzata a Guglielmo Sirleto, con la preghiera di intercedere presso il potente cardinale Girolamo Dandini, in favore di un aumento di stipendio regolarmente previsto per i docenti più meritevoli (una specie di «premio di produzione» delle amministrazioni dei giorni nostri). Riportiamo qualche passo nella trascrizione dello storico Giovanni Murano.

«Messer Guglielmo carissimo. So stato alquanto pensando se dovevo scrivere questa lettera alla Signoria Ill.ma mia e a voi che gliela leggerete, et finalmente mi so risoluto per esser voi […] informato di messer Aluigi Gigli, lettor di medicina in Perugia, et raccomandare di che io la servirò, di indrizzarla a voi come a quello che potrete dar più particolare informatione a Sua Signoria Reverendissima di lui che non haria fatto io con una semplice lettera. Visitarete adonque prima Sua Signoria Reverendissima in nome mio et appresso li direte che avendo io inteso com’ella ha preso già protettione del detto messer Aluigi, secondo il solito della cortesia sua, non posso fare di non rendergliene grazia aiutando una persona così dotta et dabene, come voi sapete che è questa, la quale, per quanto intendo, è molto grata a tutto quello Studio […]. La donde se Sua Signoria Reverendissima si degnerà di continuar d’interporre l’opra sua acciò che messere Aluigi non venga scordato, oltra che farà cosa degna di lui, io ancora la riterrò molto grata. Et con questo fine basate le manj santamente in nome mio a Sua Signoria Reverendissima. Che nostro Signore Dio vi conservi in sua gratia.
[…] alli 25 settembre 1552»
(cfr. E. Mezzi, F. Vizza, Luigi Lilio, medico, astronomo e matematico di Cirò, cit., p. 26).

1570-1576

Sfortunatamente anche sulla morte di Luigi Lilio non si ha una data certa. Alcuni studiosi la fanno risalire al 1576, mentre altri la fissano al 1570, come fa Augusto Placanica (Storia della Calabria dall’antichità ai giorni nostri, Roma, Donzelli, 1999, pp. 231-232). In ogni modo, com’è facilmente intuibile, l’ideatore e progettista della riforma del calendario non era più in vita quando la stessa venne attuata.

1577-1582

Del manoscritto liliano non v’è ancora traccia, forse è andato definitivamente distrutto, ecco perché si parla di Compendium, ossia di una sintesi redatta dal fratello Antonio e da altri studiosi, tratta direttamente dal manoscritto di Aloisio e stampata a Roma nel 1577, nella tipografia degli eredi di Antonio Blado «Impressores camerales». Curato da Guglielmo Sirleto, cardinale di S. Lorenzo in Panisperna, i collaboratori della stesura del sommario erano i componenti della commissione istituita da Gregorio XIII. Non si conosce la data precisa nella quale ebbero inizio i lavori dell’assise, ma su informazione di Clavio si sa che la stessa lavorò per dieci anni per cui, facendo due conti a partire dalla promulgazione del 1582, si insediò probabilmente nel 1572. I membri erano Cristoforo Clavio, astronomo e matematico gesuita del Collegio Romano; Pedro Chacòn, teologo spagnolo esperto in patristica e martirologia, assistente per le feste mobili; Vincenzo di Lauro, di Tropea, vescovo di Mondovì, astronomo e medico; Antonio Lilio, medico e fratello di Luigi; Leonardo Abel, di Malta, esperto in lingue orientali; Ignazio Danti, di Perugia, domenicano vescovo di Alatri, cartografo e matematico; Serafino Olivier, francese di Lione, Uditore di Rota, esperto di diritto canonico e civile; Ignazio Nehemet, patriarca di Antiochia di Siria, esperto della liturgia dei riti occidentali ed orientali, nonché cultore della cronologia ecclesiastica. Una volta terminati i lavori, i risultati furono inviati ai regnanti e ai matematici di tutta Europa, ed in seguito alla presa d’atto che quella Liliana era la migliore correzione rispetto al calendario Giuliano, la commissione presentò al papa il rapporto definitivo il 14 settembre 1580. Detta relazione portava come titolo: Ratio corrigendi fastos confirmata, et nomine omnium qui ad calendarii correctionem delecti sunt ablata SS.mo D. N. Gregorio XIII. In queste pagine la commissione attestava di aver adottato rigorosamente l’unico computo in grado di fornire un calendario perpetuo, dedotto dal ciclo delle Epatte calcolato da Luigi Lilio. Il 24 febbraio 1582 con la Bolla Inter gravissimas pastoralis offici nostri curas, Gregorio XIII promulgò il nuovo calendario che prese il suo nome. Inizialmente il papa pensava di trarne un volume appositamente scritto per sottolineare la straordinarietà dell’evento, tuttavia, per la premura di divulgare al più presto la riforma, lo scritto, affidato materialmente a Pedro Chacòn, venne drasticamente ridimensionato. Il Compendium novae rationis restituendi kalendarium fu ritrovato, quando ormai si riteneva perduto, nel 1981 dallo storico Gordon Moyer (Il calendario gregoriano, «Le Scienze», 167, 1982, pp. 72-81). Come spesso accade anche in questi casi, vi fu un passaggio di informazioni, apparentemente inattendibili, tra studiosi di diversi luoghi. Thomas Settle, storico della scienza del Politecnic Institute di New York, comunicò al collega dell’Università di Chicago, N.M. Swerdlow, noto storico dell’astronomia antica e moderna, che negli ambienti accademici interessati alla questione circolava voce che una copia del Compendium potesse trovarsi nella Biblioteca Nazionale di Firenze, e ne scrisse immediatamente al Moyer. Quest’ultimo, dopo poco tempo, nel 1981, trovò il famoso scritto, e ne annunciò la scoperta nel 1982 sulla rivista «Le Scienze». L’esemplare era stato catalogato come opera anonima, non presenta frontespizio, è composto da 12 fogli non numerati, e nelle prime righe è scritto «Liber ab Aloysio Lilio conscriptus». Il testo richiama i punti fondamentali del manoscritto, come si legge ad un certo punto: «Ma dato che il libro non è ancora stampato [Sua Santità Gregorio XIII] stimò che fosse sufficiente, messe da parte tutte le altre cose, di indicare brevemente soltan to i punti principali, che massimamente contengono il fatto e la spiegazione» (G. Moyer, Il calendario gregoriano, cit., p. 72).

1582

Ci si potrebbe interrogare ulteriormente intorno al perché di tanta urgenza. In realtà, la «reparatio kalendarii» era una questione vecchia di almeno quattro secoli, da quando cioè le gerarchie ecclesiastiche si resero conto che il calendario Giuliano assegnava un periodo all’anno solare più lungo rispetto al moto di rivoluzione terrestre da cui realmente dipendeva la sua durata. In altre parole, le celebrazioni religiose che regolano la liturgia della chiesa la quale, a sua volta, si fonda sui movimenti astrali subivano un ritardo costante. Specie la fissazione della Pasqua, ossia la ricorrenza che regola tutte le feste mobili annuali, era diventata ormai ingovernabile. Per fare un esempio, si può considerare che all’epoca di Lilio il Natale si celebrava sempre nello stesso giorno del 25 dicembre, tuttavia l’evento astronomico che denota proprio questa festa, cioè il solstizio invernale cadeva il 13 dello stesso mese. Ancora oggi qualche anziano contadino è convinto che sia vero il detto: a Santa Lucia, il giorno più corto che ci sia. La stessa cosa avveniva per l’equinozio di primavera che a quel tempo ormai cadeva l’11 di marzo, e siccome la Pasqua si regola in base al primo plenilunio dopo l’equinozio di primavera (secondo il calcolo dell’epatta anch’esso riaggiustato dalle correzioni di Lilio), quest’ultima col passare degli anni sarebbe divenuta una festa invernale.

A tutto ciò si era aggiunto un altro problema impellente per i regnanti d’Europa: «la navigazione al di fuori del Mediterraneo, quella oceanica, aveva mostrato l’inaffidabilità delle tavole astronomiche tolemaiche proprio quando c’era più bisogno di disporre di informazioni precise sulle posizioni dei corpi celesti nel cielo notturno per orientarsi, o meglio, tracciare la rotta in mare aperto» (F. Piperno, Gian Battista Amici, un grande astronomo mancato, cit., p. 218). Per cui, si potrebbe rispondere all’interrogativo posto sopra che mai come nel caso del dispositivo primario per cadenzare l’umano trascorrere dei mesi e degli anni, bisognava guadagnare tempo.

Dopo la sua morte, a Lilio venne dedicato nel 1651 un cratere lunare da parte di Giovanni Battista Riccioli nell’Almagestum Novum (Bononiae, Haeredis Victorii Benatii).

Bibliografia

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