Tommaso Campanella, Epilogo magno, p. 269

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impetuosi; pochissimi l’estate, non uscendo in aria altro che
sottigliezza, salvo i luoghi paludosi o men caldi come Lombardia
et Padova, dove l’estate i vapori dalle lagune levati
in grossa pioggia si convertono prohibiti da i Monti Euganei
a passar oltra, et ne i monti d'Arabia e d'Ethiopia.
[AVERTIMENTI.
a. Si fanno l’acque sopra il firmamento, inteso da S. Basilio
per l’aere e da S. Agostino, perché è la più densa e firma parte
del cielo; e questi Santi negaro il cielo cristallino, dicendo che
non può essere altra acqua sopra il firmamento che quella dell’aere
a cui compete questo nome, per ciò che il cielo è Empireo, cioè
igneo, che non può stare con l’acqua.
b. Contra Aristotele basta la condensazione a far l’acqua dal
vapore senza freddo, come si vede ne lambichi. Dunque il freddo
non fa acque perché ei dona la sua essenza, ma in quanto adensa,
come ne bagni si sperimenta ancora, e non toglie il caldo al vapore,
ma lo lega et oppugna.
c. S'accendono i vapori uniti dentro la nubbe, e
s'accendano per la parte solforia che tengano, e non dopo che
escano per lo scoppiare, come disse Aristotele.]

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