Tommaso Campanella, Monarchia del Messia, p. 117

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CAPITOLO XIII
RISPOSTA A GLI ARGOMENTI NEGANTI IL SUPREMO
GIUDITIO APOSTOLICO SOPRATUTTI LI PRENCIPI
Al primo, dico che Christo non riconobbe Pilato per giudice
competente, e quando dice: Non haberes potestatem, nisi fuisset
desuper
, s’intende permissive secondo san Crisostomo e Cirillo, overo
intende che era Pilato giudice sendo loco tenente di Cesare, che
n’era da Dio iure naturae authorizzato, come par voglia san Thomaso,
ma non però era signore sopra la persona di Christo, il quale,
essendo Dio e Messia, era signore di Pilato. Ma l’error di Pilato, che
non conoscea quel ch’era Christo, lo teneva in superiorità, come se
un giudice lontano dalla sedia del regno incontrasse il re sconosciuto
da lui, e lo giudicasse per ladro; o un secolare giudicasse un prete,
non sapendo che fusse clerico. E de facto può farlo, ma non de iure.
Christo lo lassò fare nella sua ignoranza perché, domandato quid est
veritas
, non aspettò risposta; né Pilato era capace di tanto negotio,
benché ce lo predicasse. Al secondo, dico che san Paolo bene appellò
a Cesare de facto, ma non de iure, perché ancora non era authorizato
san Pietro, che potesse far giuditio publico, e la Chiesa era in herba,
non in cannolo, né in spica ancora. Non però peccò l’apostolo
appellando, ma si servìo del beneficio naturale che ogni oppresso deve
ricorrere a chiunque è authorizzato ad aiutarlo e può aiutarlo, in
caso di necessità. Però dice egli: Coactus sum appellare Caesarem.
Così si sciogliono anco tutti quelli argomenti di quelli papi che
donaro authorità all’imperatore di nominare il papa, o altri privileggij,
che per necessità, o per obviare allo scisma così conveniva, ma
sempre resta in piedi il ius del regno del Messia soprano a tutte
signorie del mondo. Pur molte usurpationi e leggi han fatto i prencipi
sopra il clero, ma questa fu usurpatione di potestà, non potestà

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