Tommaso Campanella, La Città del Sole, p. 11

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Tutte cose son communi; ma stan in man di offiziali le
dispense, onde non solo il vitto, ma le scienze e onori e spassi
son communi, ma in maniera che non si può appropriare cosa
alcuna.
Dicono essi che tutta la proprietà nasce da far casa appartata,
e figli e moglie propria, onde nasce l’amor proprio;
ché, per sublimar a ricchezze o a dignità il figlio o lasciarlo
erede, ognuno diventa o rapace publico, se non ha timore,
sendo potente; o avaro e insidioso e ippocrita, si è impotente.
Ma quando pèrdono l’amor proprio, resta il commune solo.
Ospitalario. Dunque nullo volrà fatigare, mentre aspetta
che l’altro fatichi, come Aristotile dice contra Platone.
Genovese. Io non so disputare, ma ti dico c’hanno tanto
amore alla patria loro, che è una cosa stupenda, più che si
dice delli Romani, quanto son più spropriati. E credo che li
preiti e monaci nostri, se non avessero li parenti e li amici, o
l’ambizione di crescere più a dignità, sariano più spropriati e
santi, caritativi con tutti.
Ospitalario. Dunque là non ci è amicizia, poiché non si fan
piacere l’un l’altro.
Genovese. Anzi grandissima: perché è bello a vedere, che
tra di loro non ponno donarsi cosa alcuna, perché tutto hanno

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