Tommaso Campanella, Monarchia di Spagna, p. 158

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averli con virtù, senza danari, ricomprati e tirati a sé, quando cominciò
Filippo a stringere le mani.
Di più, i capitani e soldati di Fiandra han fatto bottega a sé della
milizia, e non combatton per vincere, ma per combattere solamente,
acciò provenga il guadagno da quest’arte, e avviliro l’armi, che son
strumento d’imperio, e le fecero strumento dell’avarizia e spassi loro.
E il Re resta ingannato, perché tesorizza solo su i danari. Pochi danari
bastano se tu hai gente assai e amore reciproco e virtù ne tuoi assai, ma
se <non hai o> n’hai poco, vuoi danari assai, e pure perdi.
Deve il Re dunque, primo, far tesoro negli animi degli uomini,
facendosi i vassalli amici con le virtù domestiche e militari, e con nuove
scienze facendosi amabile e ammirabile, come di sopra. Secondo, nelli
corpi moltiplicandoli con i matrimonii, e con onori e gusti, come di
sopra. Terzo, nelle fortune arricchendoli, e facendo che la terra meglio si
lavori, e la seta e la lana, e l’altre arti necessarie, già che si vede ognuno
dato all’usura nelle terre piccole; nelle grandi alle mercanzie e rubarie, e
nelle grandissime alli banchi e cambi, e li baroni alli sforzi e ruberie.
Il Papa tesorizza nelli animi, e però vince, che stromento di tal
tesoro è la lingua eloquente e savia, e però i Saraceni vinsero, che la
lingua adopraro con la novità di scienza e religione. Cesare tesorizzò
negli animi e corpi con virtù, tirando a sé i soldati d’ogni nazione, e
facendoseli amici. I Tartari e Unni nelli corpi solo, per la fecondità
facendo moltitudine, e lasciando come l’api il suolo nativo, e scorrendo
lo strano, il cui strumento furono le spade.

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