Tommaso Campanella, Politici e cortigiani, p. 150

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Dio, anzi tutte le cose sarian dei, perché han parte di bontà ed entità e di
senno e di potere, e altre parti le mancano, e quel che è per participanza, tale
si diria per essenza e totalità tale, o, come dice Varrone, ogni ente saria membro
di Dio, il che inetta imaginante (sic; forse: è inetta imaginazione) contra il
concetto che di Dio si fa in noi e dalla natura ci si detta universalmente, secondo
la quale dicevasi stimare che se l’uomo ha tanto alto concetto di Dio, e
pensa infinito valore e senno e bontà in lui molto più grande sia Dio in ogni
attributo, che noi non potemo pensare, sendo l’uomo particella del mondo, in
minor proporzione che non è una lende e una pulce al corpo umano, e dire
il contrario è pensiero di nocella che si credesse che il mare non è più di quel
che cape in essa, e assai più sciocco dir ch’è meno; né duo dei può concepire
l’intelletto razionale, perché l’uno mancheria l’entità dell’altro, e saria finito
da quello, giaché avevo provato non potersi trovare dui infiniti in maniera
alcuna. Item, li dui non ponno convenir ad integrar un mondo e un governo
come convengono le parti del mondo alla costruzion del tutto, massime se son
contrari, e si vede che la terra germina dai suoi semi, impregnata dal sole e
celesti influssi, e non da un altro Dio terrestre, come stimar i Cataini; di più
innanzi alla dualità è forza ammettere l’unità, onde han principio questi due,
dunque non saran dui, e tanto meno si deono ammettere li molti, se non come
ministri dell’uno. Concludettemo anche per bona metafisica che questo uno
sia omnipotente, omnisapiente et omnivolente, come la concezion di Dio a
tutti l’omini e angeli manifesta, perché mancandoli un di questi attributi in
tutto o in parte non è più Dio, non potendo Dio esser minor di quel che noi in
picciol vaso d’un pugno di cervello pensando potemo capire.
5. La moltiplicità e variabilità degl’enti incessantemente nascenti e morienti,
e trasmutazion loro, ci dovea concluder l’infinito poter, senno e amor di
Dio, diffusion delle sue ricchezze in tante foggie inesauribile, onde lo sciocco
conclude l’imperfezione o nullità di Dio, come la formazione e uso e fine
additan l’arte del primo Senno, e lo sciocco conclude il caso e fortuna.
6. Li guai di questa vita con considerazione universale d’un’altra migliore
ci deve persuadere che questo material mondo non è per noi sempre, mentre
l’intelletto lo trapassa, anzi mille altri mondi immagina in un momento, ma è
prova e steccato e passaggio ad altra certa patria.
I mostri, non che pedochi e serpi, son a noi per essercizio mecanico e speculativo,
e al mondo e agl’altri enti per altri usi, e sendo fatti con arte e ragione
manifestan Dio e il mondo sua officina, dove noi ignoramo l’uso di tutti i
stromenti, come il fanciullo entrando nella ferraria non conosce l’uso delli
ferramenti e toccandoli viene offeso e rinega e dice che son fatti allo sproposito,
ma il filosofo l’ammira, e però non son filosofi l’Epicurei.

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