Tommaso Campanella, La Città del Sole, p. 42

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quando è caso pensato. Quando è rissa subitanea,
si mitiga la sentenza, ma non dal giudice, perché condanna
subito secondo la legge, ma dalli tre prencipi. E s’appella pure
al Metafisico per grazia, non per giustizia, e quello può far
la grazia. Non tengono carcere, se non per qualche ribello
nemico un torrione. Non si scrive processo, ma in presenza
del giudice e del Potestà si dice il pro e il contra; e subito si
condanna dal giudice; e poi dal Potestà, se s’appella, il sequente
dì si condanna; e poi dal Sole il terzo dì si condanna,
o s’aggrazia dopo molti dì con consenso del popolo. E nessuno
può morire, se tutto il popolo a man commune non l’uccide;
ché boia non hanno, ma tutti lo lapidano o brugiano,
facendo che esso si leghi la polvere per morir subito.
E tutti
piangono e pregano Dio, che plachi l’ira sua, dolendosi che
sian venuti a resecare un membro infetto dal corpo della republica;
e fanno di modo che esso stesso accetti la sentenza, e
disputano con lui fin tanto che esso, convinto, dica che la merita;
ma quando è caso contra la libertà o contra Dio o contra
gli offiziali maggiori, senza misericordia si esequisce.
Questi
soli si puniscono con morte; e quel che more ha da dire tutte
le cause perché non deve morire, e li peccati degli altri e dell’offiziali,
dicendo quelli meritano peggio; e se vince, lo mandano
in esilio e purgano la città con preghiere e sacrifizi e
ammende; ma non però travagliano li nominati. Li falli di fragilità e d’ignoranza si puniscono solo con vitupèri,
e con farlo imparare a contenersi, e quell’arte in cui
peccò, o altra, e si trattano in modo, che paion l’un membro
dell’altro.
Qui è da sapere, che se uno peccatore, senza aspettar accusa,
va da sé all’offiziali accusandosi e dimandando ammenda,
lo liberano dalla pena dell’occulto peccato e la commutano
mentre non fu accusato.
Si guardano assai dalla calunnia per non patir la medesima
pena. E perché sempre stanno accompagnati quasi, ci vuole

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