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C.N.R.
CENTRO DI  STUDIO DEL PENSIERO ANTICO
     

I Colloquio

La logica nel pensiero antico


Roma, 28-29 novembre 2000
CNR – P.le Aldo Moro 7







Abstracts


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MAURO NASTI
Dalla "tesi" di Aristotele alla "tesi" di Boezio: una tesi per l'implicazione crisippea?


Scopo principale della relazione è mostrare la presenza, sia in Sesto Empirico che in Boezio, di una proprietà fondamentale dell'implicazione tale da costringere ad un autentico mutamento di paradigma nello studio tanto della logica dell 'implicazione crisippea quanto della dottrina peripatetica del sillogismo ipotetico che Boezio ci tramanda. Tale mutamento riguarda non solo la vasta e complessa problematica dei rapporti fra logica peripatetica e logica stoica, ma anche le relazioni fra antiche concezioni del nesso consequenziale e certe loro moderne contro parti, come le logiche connessive o rilevanti.








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FRANCESCO ADEMOLLO

Un'interpretazione del Cratilo di Platone


Un problema storico nell 'interpretazione del Cratilo è costituito dal fatto che in esso Socrate argomenti prima a favore della tesi di Cratilo (i nomi sono corretti per natura), poi a favore della tesi di Ermogene (i nomi sono corretti per convenzione). Se si vuol sostenere - come io sostengo, con diversi interpreti moderni - che l'argomento finale in favore del convenzionalismo costituisca l'ultima parola del dialogo sulla questione, e quindi esprima anche la posizione di Platone, allora resta il problema di che fare degli argomenti a favore della tesi naturalista, che sono sviluppati con ampiezza e sembrano venir presi molto sul serio da Socrate/Platone, tanto da includere importanti riferimenti alla teoria delle Forme. Nel mio intervento cercherò quindi di mostrare in che modo possiamo dare una lettura soddisfacente di questi passi, e quali siano le implicazioni sull'interpretazione complessiva del Cratilo.








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GIANNI SERINO

Il controverso passo in top. Z 6. 143 b 11-144 a 4:
differenti modelli logici e ontologici per l'interpretazione del rapporto genere-differenze.


Si mostrerà come il passo contenga due diversi modelli logici: quello operante nella parte iniziale (143 b 11-23) e presupposto in quella finale (143 b 33-144 a 5), in base al quale qualsiasi rapporto di predicazione (anche tra termini universali) deve essere interpretato in base ad uno schema "verticale ", per cui (a) la relazione predicativa non è mai reversibile (“asimmetria”); (b) lo stesso soggetto non può “in nessun caso” accogliere due predicati contraddittori (“esclusività”J; (c) nel caso il soggetto sia un termine universale, la predicazione dovrà riversarsi su tutti i termini di cui questo si predichi (“transitività”). Il secondo modello è più presupposto che enunciato nella parte centrale (143 b 23-32) e in base ad esso, nel caso delle relazioni tra termini universali, sarebbe concepibile anche uno schema “orizzontale” di predicazione, per cui (a), (b) e (c) non valgono. Il rapporto genere-differenze è nei due casi diverso. Si mostrerà che il primo modello è l'unico compatibile con la teoria delle idee e che un 'aporia ed esso collegata è già presente in un passo del Sofista di Platone (250 B 7-D 4). In altri testi Aristotele aderisce al secondo modello e utilizza alcune delle difficoltà insite nel primo proprio in polemica con la teoria delle idee (cfr. metaph. Z12. 1037 b 18).








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VINCENZA CELLUPRICA

Aristotele e Diodoro Crono sul “possibile”


Si intende discutere un 'interpretazione largamente diffusa secondo cui in metaph. Θ 3 Aristotele polemizza contro i Megarici poiché, non riconoscendo la differenza tra atto e potenza, identifìcano il possibile con "ciò che è"; mentre in metaph. Θ 4 e 5, sostiene una posizione non diversa da quella del tardo megarico Diodoro Crono, che definiva il possibile come "ciò che è o sarà ".








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FABIO ACERBI
Osservazioni sulle origini aritmetiche della teoria aristotelica del sillogismo


La questione delle origini aritmetiche del sillogismo aristotelico non ha ricevuto molta attenzione dopo il fondamentale contributo di B. Einarson del 1936. Propongo una discussione dettagliata delle congruenze riscontrabili - aldilà di quelle terminologiche - tra alcuni aspetti della teoria aristotelica del sillogismo (in particolare l'esistenza di premesse immediate e la struttura delle catene di predicati) e certi risultati aritmetici pre-euclidei ed euclidei, segnatamente la teoria delle progressioni geometriche sviluppata nei libri VIII e IX degli Elementi. Verranno anche analizzate le implicazioni sulla datazione di alcune porzioni del trattato euclideo.








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PAOLO FAIT

Il paralogismo dell'accidente nei Sophistici Elenchi: identità e predicazione


In seno all'esposizione del paralogismo dell'accidente (soph. el. 24), Aristotele offre alcuni spunti teorici sul tema dell 'identità, tra i quali spicca quella che ad alcuni interpreti è sembrata una limitazione del principio noto come "Iegge di Leibniz". Tale limitazione avrebbe il compito di risolvere alcuni paradossi che oggi sono solitamente ricondotti al fenomeno, variamente interpretato, dell' "opacità referenziale" (celebre in proposito il paradosso del "velato" menzionato in soph. el. 24. 179 a 33 sgg.). Questi spunti hanno avuto un peso rilevante nel recente vivace dibattito sull 'identità in Aristotele, ma la loro collocazione all'interno del paralogismo dipendente dall 'accidente resta piuttosto oscura. Mi propongo di ricostruire gli esempi più rilevanti - quasi mai Aristotele li descrive con sufficiente chiarezza - e, muovendo da lì, esaminare il particolare impiego del termine "accidente" nel contesto, per svolgere poi alcune congetture di carattere storico sulla relazione tra predicazione e identità. Alla luce di tutto ciò cercherò di trarre alcune conclusioni sulla controversa limitazione della legge di Leibniz.








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ROLAND WITTWER
Gli Epicurei sulla logica nel De signis di Filodemo


«La logica epicurea non esiste e i seguaci del Giardino non si interessavano affatto a quello che altre scuole avevano prodotto in questo stesso campo». Tale, in poche parole, il giudizio della dossografia antica, che ancora perdura. Lo scopo della mia relazione consisterà nello specificare questa tesi basandomi su una rilettura del De signis di Filodemo.








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LUCA CASTAGNOLI
Synartesis crisippea, tesi di Aristotele e consequentia mirabilis


La definizione - con ogni probabilità crisippea - delle condizioni di verità di un condizionale in termini di synartesis e mache (Sext. Emp. pyrrh. hyp. II 111; Diog. Laert. VII 73) è stata oggetto di varie interpretazioni fin dai primi anni della "riscoperta" della logica stoica nel nostro secolo. Gli interpreti più recenti sono concordi nel rilevare che tra l'antecedente il conseguente di un condizionale crisippeo vero deve sussistere una connessione più forte di quella garantita dall'implicazione materiale o da quella stretta; su quale sia l'esatta natura di questa connessione, però, il consenso è tutt 'altro che unanime. Proporrò un'interpretazione della synartesis che mira a superare alcune delle principali difficoltà e debolezze denunciate dalle altre interpretazioni. Considererò poi due questioni: 1) una logica in cui le condizioni di verità del condizionale siano stabilite in termini di synartesis - cioè, verosimilmente, la logica di Crisippo - include necessariamente tra i suoi principi fondamentali la cosiddetta "tesi di Aristotele" [-(-p->p), o -(p->-p)], come sostenuto da numerosi interpreti? 2) Una logica della synartesis può accogliere tra le sue tesi, o regole di inferenza, la consequentia mirabilis [(-p->p)->p, o (p->-p)->-p ]? E, più in generale, è davvero possibile rintracciare nelle testimonianze antiche sulla dialettica stoica esempi di applicazione (seppur implicita) della consequentia mirabilis, come comunemente asserito?








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ANNA MARIA SCHIAPARELLI

Le fallacie del linguaggio in Galeno


Nel De captionibus in dictione Galeno riprende e discute la classificazione delle fallacie linguistiche presentata da Aristotele negli Elenchi Sofistici. Aristotele aveva riconosciuto sei diverse specie di fallacie linguistiche: omonimia, anfibolia, composizione, divisione, accento e forma dell'espressione. Galeno si propone di dimostrare che tutte le fallacie linguistiche sono dovute all'ambiguità e che le specie di fallacie dovute all'ambiguità sono in numero uguale a quelle elencate da Aristotele. Per provare la completezza dell'enumerazione aristotelica, Galeno considera la composizione e la divisione come una sola specie di fallacia, in cui la divisione è il converso della composizione. Sebbene criticata in alcune testimonianze tardo-antiche, l'interpretazione di Galeno si impose nella tradizione. Diventa allora opportuno rileggere gli esempi usati da Aristotele ad illustrazione delle due fallacie per saggiare la correttezza della lettura del medico di Pergamo. Il confronto tra i due testi permette di tematizzare nazioni tuttora importanti quali la predicazione collettiva e distributiva, e l'ambiguità determinata da diversi possibili raggruppamenti di espressioni linguistiche.