MAURO NASTI
Dalla "tesi" di Aristotele alla "tesi" di Boezio: una tesi per l'implicazione
crisippea?
Scopo principale della relazione è mostrare la presenza, sia
in Sesto Empirico che in Boezio, di una proprietà fondamentale dell'implicazione
tale da costringere ad un autentico mutamento di paradigma nello studio
tanto della logica dell 'implicazione crisippea quanto della dottrina peripatetica
del sillogismo ipotetico che Boezio ci tramanda. Tale mutamento riguarda
non solo la vasta e complessa problematica dei rapporti fra logica peripatetica
e logica stoica, ma anche le relazioni fra antiche concezioni del nesso
consequenziale e certe loro moderne contro parti, come le logiche connessive
o rilevanti.
FRANCESCO ADEMOLLO
Un'interpretazione del Cratilo di Platone
Un problema storico nell 'interpretazione del Cratilo è costituito
dal fatto che in esso Socrate argomenti prima a favore della tesi di Cratilo
(i nomi sono corretti per natura), poi a favore della tesi di Ermogene (i
nomi sono corretti per convenzione). Se si vuol sostenere - come io sostengo,
con diversi interpreti moderni - che l'argomento finale in favore del convenzionalismo
costituisca l'ultima parola del dialogo sulla questione, e quindi esprima
anche la posizione di Platone, allora resta il problema di che fare degli
argomenti a favore della tesi naturalista, che sono sviluppati con ampiezza
e sembrano venir presi molto sul serio da Socrate/Platone, tanto da includere
importanti riferimenti alla teoria delle Forme. Nel mio intervento cercherò
quindi di mostrare in che modo possiamo dare una lettura soddisfacente di
questi passi, e quali siano le implicazioni sull'interpretazione complessiva
del Cratilo.
GIANNI SERINO
Il controverso passo in top. Z 6. 143 b 11-144 a 4:
differenti modelli logici e ontologici per l'interpretazione del rapporto
genere-differenze.
Si mostrerà come il passo contenga due diversi modelli logici:
quello operante nella parte iniziale (143 b 11-23) e presupposto in quella
finale (143 b 33-144 a 5), in base al quale qualsiasi rapporto di predicazione
(anche tra termini universali) deve essere interpretato in base ad uno schema
"verticale ", per cui (a) la relazione predicativa non è mai reversibile
(“asimmetria”); (b) lo stesso soggetto non può “in nessun caso” accogliere
due predicati contraddittori (“esclusività”J; (c) nel caso il soggetto
sia un termine universale, la predicazione dovrà riversarsi su tutti
i termini di cui questo si predichi (“transitività”). Il secondo
modello è più presupposto che enunciato nella parte centrale
(143 b 23-32) e in base ad esso, nel caso delle relazioni tra termini universali,
sarebbe concepibile anche uno schema “orizzontale” di predicazione, per
cui (a), (b) e (c) non valgono. Il rapporto genere-differenze è nei
due casi diverso. Si mostrerà che il primo modello è l'unico
compatibile con la teoria delle idee e che un 'aporia ed esso collegata
è già presente in un passo del Sofista di Platone (250 B 7-D
4). In altri testi Aristotele aderisce al secondo modello e utilizza alcune
delle difficoltà insite nel primo proprio in polemica con la teoria
delle idee (cfr. metaph. Z12. 1037 b 18).
VINCENZA CELLUPRICA
Aristotele e Diodoro Crono sul “possibile”
Si intende discutere un 'interpretazione largamente diffusa secondo cui
in metaph. Θ 3 Aristotele polemizza contro i Megarici poiché, non riconoscendo
la differenza tra atto e potenza, identifìcano il possibile con "ciò
che è"; mentre in metaph. Θ 4 e 5, sostiene una posizione non diversa
da quella del tardo megarico Diodoro Crono, che definiva il possibile come
"ciò che è o sarà ".
FABIO ACERBI
Osservazioni sulle origini aritmetiche della teoria aristotelica del
sillogismo
La questione delle origini aritmetiche del sillogismo aristotelico
non ha ricevuto molta attenzione dopo il fondamentale contributo di B. Einarson
del 1936. Propongo una discussione dettagliata delle congruenze riscontrabili
- aldilà di quelle terminologiche - tra alcuni aspetti della teoria
aristotelica del sillogismo (in particolare l'esistenza di premesse immediate
e la struttura delle catene di predicati) e certi risultati aritmetici pre-euclidei
ed euclidei, segnatamente la teoria delle progressioni geometriche sviluppata
nei libri VIII e IX degli Elementi. Verranno anche analizzate le implicazioni
sulla datazione di alcune porzioni del trattato euclideo.
PAOLO FAIT
Il paralogismo dell'accidente nei Sophistici Elenchi: identità
e predicazione
In seno all'esposizione del paralogismo dell'accidente (soph. el.
24), Aristotele offre alcuni spunti teorici sul tema dell 'identità,
tra i quali spicca quella che ad alcuni interpreti è sembrata una
limitazione del principio noto come "Iegge di Leibniz". Tale limitazione
avrebbe il compito di risolvere alcuni paradossi che oggi sono solitamente
ricondotti al fenomeno, variamente interpretato, dell' "opacità referenziale"
(celebre in proposito il paradosso del "velato" menzionato in soph. el. 24.
179 a 33 sgg.). Questi spunti hanno avuto un peso rilevante nel recente vivace
dibattito sull 'identità in Aristotele, ma la loro collocazione all'interno
del paralogismo dipendente dall 'accidente resta piuttosto oscura. Mi propongo
di ricostruire gli esempi più rilevanti - quasi mai Aristotele li
descrive con sufficiente chiarezza - e, muovendo da lì, esaminare
il particolare impiego del termine "accidente" nel contesto, per svolgere
poi alcune congetture di carattere storico sulla relazione tra predicazione
e identità. Alla luce di tutto ciò cercherò di trarre
alcune conclusioni sulla controversa limitazione della legge di Leibniz.
ROLAND WITTWER
Gli Epicurei sulla logica nel De signis di Filodemo
«La logica epicurea non esiste e i seguaci del Giardino non
si interessavano affatto a quello che altre scuole avevano prodotto in questo
stesso campo». Tale, in poche parole, il giudizio della dossografia
antica, che ancora perdura. Lo scopo della mia relazione consisterà
nello specificare questa tesi basandomi su una rilettura del De signis di
Filodemo.
LUCA CASTAGNOLI
Synartesis crisippea, tesi di Aristotele e consequentia mirabilis
La definizione - con ogni probabilità crisippea - delle condizioni
di verità di un condizionale in termini di synartesis e mache (Sext.
Emp. pyrrh. hyp. II 111; Diog. Laert. VII 73) è stata oggetto di
varie interpretazioni fin dai primi anni della "riscoperta" della logica
stoica nel nostro secolo. Gli interpreti più recenti sono concordi
nel rilevare che tra l'antecedente il conseguente di un condizionale crisippeo
vero deve sussistere una connessione più forte di quella garantita
dall'implicazione materiale o da quella stretta; su quale sia l'esatta natura
di questa connessione, però, il consenso è tutt 'altro che
unanime. Proporrò un'interpretazione della synartesis che mira a
superare alcune delle principali difficoltà e debolezze denunciate
dalle altre interpretazioni. Considererò poi due questioni: 1) una
logica in cui le condizioni di verità del condizionale siano stabilite
in termini di synartesis - cioè, verosimilmente, la logica di Crisippo
- include necessariamente tra i suoi principi fondamentali la cosiddetta
"tesi di Aristotele" [-(-p->p), o -(p->-p)], come sostenuto da numerosi
interpreti? 2) Una logica della synartesis può accogliere tra le
sue tesi, o regole di inferenza, la consequentia mirabilis [(-p->p)->p,
o (p->-p)->-p ]? E, più in generale, è davvero possibile
rintracciare nelle testimonianze antiche sulla dialettica stoica esempi
di applicazione (seppur implicita) della consequentia mirabilis, come comunemente
asserito?
ANNA MARIA SCHIAPARELLI
Le fallacie del linguaggio in Galeno
Nel De captionibus in dictione Galeno riprende e discute la classificazione
delle fallacie linguistiche presentata da Aristotele negli Elenchi Sofistici.
Aristotele aveva riconosciuto sei diverse specie di fallacie linguistiche:
omonimia, anfibolia, composizione, divisione, accento e forma dell'espressione.
Galeno si propone di dimostrare che tutte le fallacie linguistiche sono
dovute all'ambiguità e che le specie di fallacie dovute all'ambiguità
sono in numero uguale a quelle elencate da Aristotele. Per provare la completezza
dell'enumerazione aristotelica, Galeno considera la composizione e la divisione
come una sola specie di fallacia, in cui la divisione è il converso
della composizione. Sebbene criticata in alcune testimonianze tardo-antiche,
l'interpretazione di Galeno si impose nella tradizione. Diventa allora opportuno
rileggere gli esempi usati da Aristotele ad illustrazione delle due fallacie
per saggiare la correttezza della lettura del medico di Pergamo. Il confronto
tra i due testi permette di tematizzare nazioni tuttora importanti quali
la predicazione collettiva e distributiva, e l'ambiguità determinata
da diversi possibili raggruppamenti di espressioni linguistiche.