LA FILOSOFIA DI GIORDANO BRUNO

PROBLEMI ERMENEUTICI E STORIOGRAFICI

 

Roma, 23-24 ottobre 1998

 

 

Presentazione delle relazioni

 

* * *

 

Michele Ciliberto

Gli studi bruniani oggi: orientamenti

 

Nell'imminenza del IV Centenario della morte di Bruno, numerose sono le iniziative che si propongono di mettere a frutto alcune fondamentali acquisizioni della critica bruniana del dopoguerra. Se l'interpretazione di F. A. Yates rappresentava una chiave di lettura univoca della complessa e multiforme 'nolana filosofia', la critica più recente - pur riconoscendo la fecondità di prospettive che pur hanno rinnovato gli approcci tradizionali al pensiero bruniano - ha messo in evidenza la necessità di misurarsi con la pluralità di registri che quella filosofia manifesta già sul suo nascere, negli scritti del periodo parigino e oltre.

 

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Stephan Otto

 

Die Augen und das Herz.

Der philosophische Gedanke unter den Regeln und Gesetzen seiner bildlichen

Darstellung in Brunos Eroici furori

 

I dialoghi Degli eroici furori possono considerarsi un testo chiave di Bruno, tale da costituire un valido accesso a un intento filosofico centrale del suo pensiero. Presentato al poeta britannico Philipp Sidney come manifesto di una poetica non imitativa, ma immaginativa, il testo a prima vista - in considerazione dei 'grandi' temi bruniani: la metafisica dell'universo infinito, l'arte della memoria nonché la dottrina delle monadi e la geometria concreta "secundum sensum et rationem" degli scritti dell'ultimo periodo della sua attività - sembra assumere la posizione particolare di un'opera puramente letteraria. Tuttavia, a uno sguardo più approfondito, gli Eroici furori, attraverso una differenziazione tra "significazione" e "figurazione", o più esattamente: attraverso il passaggio da una 'semantica' del segno-parola dotato di significato a una 'semiotica' del segno-parola/immagine figurativo, rivelano come tema il fondamentale problema filosofico di rappresentazione (Darstellung) e rappresentabilità (Darstellbarkeit) - quel problema immanente tanto alla metafisica della divinità infigurabile, quanto all'"ars memoriae" come "scriptura et pictura intrinseca", che sarà ancora una volta ripreso nelle ultime riflessioni matematico-geometriche bruniane su "mensura" e "figura". Sono da individuare in primo luogo le 'regole' stabilite da Bruno, cui deve inizialmente seguire ogni individuazione di un'immagine figurativa; in secondo luogo quelle 'leggi' intrinseche alla metafisica del Nolano, che a loro volta dirigono le regole dell'invenzione figurativa: le leggi di una "antiparistasis" o "vicissitudo". Queste leggi dominano infatti anche la differenza e la corrispondenza tra segni-parola e segni-parola/immagine delle "imprese", cioè del materiale letterario cui spetta guidare il pensiero dei dialoghi intorno agli "eroici furori"; tali leggi sostituiscono anche la speculazione 'neoplatonica' sull'immagine, che viene spesso citata per interpretare il mito di Atteone. Con l'impiego della "antiparistasis" - ripresa dall'"ars oppositorum" di Charles de Bouvelles - il Nolano riesce ad abbozzare una teoria della rappresentazione e della rappresentabilità linguisticamente orientata, che non viene superata né dal concetto kantiano critico-trascendentale di rappresentazione 'ipotipotica' né dalla dialettica hegeliana di una rappresentazione del reale nella cifra del 'concetto razionale'; anche per il discorso attuale sulla 'rappresentazione mentale' il pensiero di Bruno costituisce uno stimolante correttivo.

 

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Angelika Bönker-Vallon

 

Bruno e Proclo.

Connessioni e differenze tra la matematica neoplatonica e bruniana

 

Le idee del Neoplatonismo sono costitutive per la filosofia di Giordano Bruno. La vicinanza di Bruno a tale tradizione è chiaramente rilevabile nel concetto di principio divino, nella concezione dell'essere come Uno-Tutto ed infine nella giustificazione metafisica della matematica. Come il neoplatonico Proclo, Bruno collega in particolare la formazione di una relazione reciproca tra la funzione della matematica nel sistema metafisico e la costituzione di una 'filosofia della matematica' autonoma. Ambedue i filosofi attingono dalla riflessione sulla costruzione della metodologia matematica nel contesto della loro ricezione degli Elementi di Euclide. Proclo appare negli Articuli adversus mathematicos di Bruno come garante rispetto ad errate formulazioni dei matematici; d'altra parte, alcune argomentazioni procliane sono tuttavia un fattore scatenante della critica da parte di Bruno. In tal senso, i rapporti del Nolano con la tradizione neoplatonica non si presentano ininterrotti e continui; la presenza, la trasformazione ed in un certo senso perfino il contenimento dei modelli neoplatonici caratterizzano invece la comprensione bruniana riguardo alle teorie metafisiche e matematiche del Neoplatonismo. Per entrambi i filosofi il principio dell'Uno e la sua manifestazione nella pluralità sono il fondamento per la matematica. Tanto per Proclo quanto per Bruno, il numero quale primo oggetto dell'aritmetica ha il suo fondamento nell'unità divina, che è condizione metafisica per lo sviluppo del numero nella pluralità. Tale metafisica dell'Uno viene a completarsi mediante il principio della mente: il pensiero esce fuori di sé in modo circolare per poi rientrarvi. Forme geometriche quali il cerchio, il centro e la periferia o il punto, la linea, la superficie e il corpo sono infine espressione delle idee della mente una e pensante nous, mens). Negli Articuli adversus mathematicos, così come nel De minimo, Bruno tenta di ampliare tali premesse per arrivare ad una scienza universale. Sebbene nel pensiero neoplatonico il numero non esteso domini chiaramente sugli oggetti estesi della geometria, già nel De la causa Bruno fa derivare dall'idea dell'unità metafisica l'unità infinita dello spazio dell'universo che non è numerabile poiché non ha numero. Così, l'unità dello spazio e della grandezza sembra sostituire la priorità ontologica del numero o pare almeno divenire di eguale valore. Allo stesso modo la concezione dell'infinità dello spazio ha per conseguenza l'indifferenza delle dimensioni. Il punto, la linea, la superficie e il corpo o la longitudine, la latitudine e la profondità rappresentano sì, ma non in modo esclusivo come in Proclo, uno sviluppo dell'indivisibile primo elemento dello spazio nell'essere materiale divisibile e in ordine crescente, ma essi hanno ontologicamente lo stesso valore e sono intercambiabili. In tal modo vengono abolite le gerarchie classiche della tradizione matematica del Neoplatonismo. In particolar modo sono rilevabili differenze fra Proclo e Bruno nei cambiamenti gnoseologici delle definizioni dei primi elementi matematici che hanno ragion d'essere nella diversa interpretazione dello spazio. Se Proclo concepisce quindi il punto come il limite puramente ideale ed indivisibile posto in modo dualistico di fronte all'abisso dello spazio infinitamente divisibile, Bruno considera il punto come un minimo in cui il limite e la prima parte della grandezza spaziale sono inseparabilmente congiunti. La limitazione 'atomistica' e la definibilità quantitativa di un primo elemento indivisibile in uno spazio omogeneo divengono il vero problema.

 

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Miguel A. Granada

 

El concepto de tiempo en Giordano Bruno: tiempos cósmicos y eternidad

 

Una delle acquisizioni più importanti della filosofia bruniana è l'idea di un universo corporeo necessariamente infinito e omogeneo come produzione necessaria della causa divina infinita. Le implicazioni di questa concezione sono decisive, sul piano cosmologico come su quello teologico e antropologico. L'infinità necessaria dell'universo deve essere intesa sia spazialmente che temporalmente - non c'è limite alla durata temporale dell'universo: Dio "deve averlo produtto tale, o (per parlar meglio) produrlo sempre tale". La concezione bruniana dell'eternità dell'universo è dunque in stretto legame con la sua decisa 'decristianizzazione' e con il rifiuto delle attese escatologiche del suo tempo. Ciò nonostante l'eternità dell'universo e, di conseguenza, il problema del tempo ricevono in Bruno un'attenzione minore di quella rivolta all'infinito spaziale e al problema dello spazio. Parallelamente gli studiosi hanno relegato in secondo piano la problematica del tempo e dell'eternità dell'universo. Nella relazione ci si soffermerà sul versante cosmologico e teologico, cercando di precisare la polemica di Bruno con Aristotele e la tradizione scolastica, per cui il tempo è accidente della sostanza corporea mobile, anche se il mondo spazialmente finito (e soggetto al moto quotidiano) può avere una durata infinita. Le sostanze incorporee esistono invece fuori del tempo, nell'eternità come presente permanente. Ci sono due eternità: quella propria di Dio e quella 'impropria' (durata indefinita nel tempo) dell'universo. La teologia cristiana distinguerà fra l'eternità divina e l'eviternità dell´esistenza delle intelligenze create. Per quanto riguarda poi l'universo finito, la sua esistenza temporale viene misurata da un movimento primo, evidente, uniforme e universale: il moto quotidiano del mondo. Questo moto si costituisce naturalmente come il tempo del mondo, il moto che misura tutti gli altri moti. Nei dialoghi italiani di Bruno il problema del tempo e dell'eternità non ha molto rilievo. Ci si soffermerà sui punti più importanti: l'attribuzione alla terra del moto quotidiano del primum mobile, la 'dissoluzione' dei paradossi del tempo infinito, ecc. Bruno si è soffermato sul problema del tempo nel secondo soggiorno parigino e negli anni di Wittenberg. Si prenderà in esame la sua concezione del tempo così come si presenta nel Camoeracensis acrotismus e nelle precisazioni del più tardo De minimo - l'immobilità dell'universo infinito annulla il tempo unico e universale associato al moto giornaliero dell'universo: si danno tanti tempi quanti sono i mondi in movimento, ed essi mancano di una misura universale. L'universo infinito e immobile, invece, ha una duratio indipendente dal moto, infinita ed eterna come quella divina (eternità = istante), della quale è la explicatio (mentre in Dio è solo implicatio). Troviamo quindi nel Nolano una convergenza dell'eternità divina con l'eternità dell'universo infinito, mentre viene a mancare l'eviternità delle sostanze angeliche intermedie. Questa durata eterna di Dio e dell'universo è anch'essa un tempo, ma un tempo indipendente dal movimento. Il tempo infinito, come anche lo spazio, non è più un accidente, ma è indipendente dai corpi in moto, e quindi assoluto. A differenza di quanto avviene in autori successivi, come Barrow e Newton, per i quali l'eternità divina è un fluxus succesivo infinito, per Bruno il tempo dell'universo è la duratio eterna di Dio come istante infinito, nel quale il massimo coincide con il minimo e in cui sono compresi i tempi dei mondi collegati ai loro moti rispettivi.

 

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Gilberto Sacerdoti

 

Caccia e sovranità.

Il contesto inglese di una pagina dello Spaccio de la bestia trionfante

 

Nel dramma shakespeariano Love's Labour's Lost che ha fornito alla Yates il punto di partenza dei suoi studi, una scena di caccia principesca, che è apparsa a Praz "un'assurdità senza pari nella letteratura occidentale", perde qualsiasi assurdità se messa in rapporto col passo sulla 'venazione' dello Spaccio de la bestia trionfante, e risulta concernere il problema della self-sovereignty: cioè la sovranità autonoma dello Stato. Individuato il contesto (che è di radice medievale) della sovranità ed evidenziata la peculiarità della soluzione inglese, nella relazione si procederà a una lettura della terza parte del terzo dialogo dello Spaccio, dalla quale risulta quanto profondamente radicato nella situazione inglese sia lo Spaccio stesso. Sia in Shakespeare che in Bruno i problemi più importanti vengono trattati in forma silenica. La funzionalità di quella forma non è solo di tipo prudenziale, ma anche pedagogica, e rimanda a un'illustre tradizione di esoterismo razionalista che risulta pienamente comprensibile solo sullo sfondo dell'averroismo non latino.

 

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Saverio Ricci

 

Lo 'spaccio' della cabala. Bruno e il giudeo-cristianesimo

 

La rinnovata attenzione rivolta al periodo inglese di Bruno e allo Spaccio de la bestia trionfante coinvolge la Cabala del cavallo Pegaseo, che circolò e fu letta pochissimo dai contemporanei. La storiografia tuttora si interroga intorno ai rapporti di 'continuità' e 'discontinuità' tra la Cabala, lo Spaccio e il resto del Bruno volgare e latino. La Yates (1964) registrò nell'anti-cabalismo della Cabala l'ulteriore anomalia dell'ermetismo bruniano rispetto alla tradizione cristiano-ermetico-cabalistica fiorita in Occidente tra XV e XVI secolo, benché avvertisse che - in continuità problematica e subalterna con il 'manifesto' ermetico dello Spaccio - Bruno pur "mantiene qualcosa della cabala, dell'inferiore rivelazione e magia giudaica", "inferiore" rispetto a quella egizia. A Parigi, il 7 dicembre 1585, Bruno inveì con Guillaume Cotin contro 'Picus Mirandulanus', il maggior cabalista cristiano. Circa quattrocento anni dopo, nel 1992, Bertrand Levergeois, offrendo al pubblico francese la prima versione francese integrale della Cabala, ha sottolineato come l'"ignorance" combattuta dal Nolano fosse intimamente connessa a "toutes les formes de la gnoseologie judéochrétienne", e ha suggerito di guardare al dibattito inglese degli anni Ottanta del Cinquecento sul cabalismo per inquadrare la posizione bruniana. Allo stesso pubblico francese è stata proposta una nuova traduzione della Cabala, apparsa per Les Belles Lettres nel 1994, con introduzione di Nicola Badaloni. Badaloni insiste su una reinterpretazione bruniana della cabala come "construction imaginaire", produttrice di "formes symboliques" rappresentanti i "mouvements vicissitudinaux" e i loro vincula. Imprescindibile l'interpretazione di Michele Ciliberto (1990), che mette in luce la complessità del legame tra il radicalismo negatore e irridente della Cabala e il progetto 'riformatore' contenuto nello Spaccio: l'una "radicalizza il quadro teorico" delineato nel secondo, allargando il conflitto bruniano con la Riforma luterana e il calvinismo nella sua forma puritana all'intero ciclo cristiano in tutte le sue forme e manifestazioni storiche, distanziando il Nolano da una erasmiana prospettiva di recupero del senso originario del cristianesimo La Cabala risente, secondo Ciliberto, del tramonto della combinazione di irenismo politique e senso machiavellico della necessità delle religioni, e della declinante fiducia in Enrico III che pure ispirava lo Spaccio. Ora è poco (1997), Karen de León-Jones, affascinata dalle conclusioni raggiunte da Badaloni, non solo dichiara che la Cabala esattamente ciò che sostiene di essere: un'opera di Kabbalah", ma rende tutta la 'nolana filosofia' un 'sistema cabalistico', e fa del suo autore un aspirante rifomatore della Chiesa cattolica in senso filo-giudaico e bibliocentrico. Si avverte a questo punto l'esigenza di rileggere storicamente il rapporto tra Bruno e il giudeo-cristianesimo nel suo esito estremo della Cabala, tentando l'analisi in più d'una direzione: la reale consistenza e coerenza e storia dei riferimenti bruniani al cabalismo contenuti nella Cabala; la posizione di Bruno verso il mondo ebraico e le sue tradizioni culturali confrontata con il coevo atteggiamento del papato, degli ordini religiosi e delle chiese protestanti; il possibile rapporto esistente tra la collocazione che il Nolano conferisce a ebraismo e cabalismo nella sua filosofia della storia e nella sua analisi della cultura del tempo suo, e un importante filone di polemica anticabalistica e antigiudaica cha dall'umanesimo italiano del primo Quattrocento giunge fino a Erasmo 'maestro' di Bruno.

 

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Nicoletta Tirinnanzi

 

La composizione della Lampas triginta statuarum

 

Opera complessa e singolare, sia sul piano concettuale, sia rispetto alla fortuna che l'ha contraddistinta, la Lampas triginta statuarum fu composta a Wittenberg, con ogni probabilità nella primavera del 1587. Definita dall'autore stesso come un trattato di "ars inventiva per triginta statuas", l'opera si intreccia a motivi di lungo periodo della riflessione nolana: la tecnica incentrata sulla costruzione di statue immaginarie particolarmente suggestive - così da fissare tenacemente nella memoria i concetti principali di una argomentazione, insieme all'ordine secondo cui dovevano essere disposti all'interno del discorso - era infatti già stata illustrata nella Explicatio triginta sigillorum, dove Bruno aveva commentato con particolare attenzione il "sigillus Phidiae, seu statuarius". In questa prospettiva, la Lampas sembra ricollegarsi alle dottrine mnemoniche delle prime opere; tuttavia, allo stesso tempo, l'opera è percorsa da una trama di continui riferimenti - espliciti e impliciti - alle dottrine aristoteliche: nel corso di tutto il trattato, attraverso una analisi in cui si alternano citazioni puntuali, richiami lessicali e parafrasi di intere porzioni di testo, Bruno istituisce un dialogo ininterrotto con la tradizione aristotelica, prendendo in esame, volta per volta, gli scritti dello Stagirita e le dottrine dei suoi commentatori. Del resto, già in un'opera di poco precedente, la Figuratio Aristotelici Physicae Auditus, la praxis mnemonica si era intrecciata con il commento ad Aristotele. Sia sotto il profilo concettuale, sia dal punto di vista della tecnica adottata, la Lampas triginta statuarum appare dunque intimamente connessa al 'dibattito' con lo Stagirita: a conferma di ciò, si è rivelata estremamente utile l'analisi delle note scritte a margine di uno dei due manoscritti che tramandano il testo dei Libri physicorum Aristotelis explanati - un'opera quasi contemporanea alla Lampas triginta statuarum. Trascritti dagli editori ottocenteschi nell'introduzione al terzo volume dell'edizione nazionale degli Opera, i marginalia del codice 1215 di Erlangen furono comunque giudicati, nel complesso, "di poca importanza". Ma, a ben vedere, le annotazioni che accompagnano il testo del commento di Bruno alla Fisica aristotelica risultano illuminanti per comprendere la genesi di una delle sezioni più interessanti e complesse della Lampas; quella, cioè, in cui si tratta del terzo principio infigurabile, la "Nox seu materia prima". La relazione si propone di mostrare come la riflessione sulla materia prima - sviluppata con estremo vigore teorico nella parte iniziale della Lampas - si configuri come un ripensamento radicale dei primi libri della Fisica di Aristotele. In questo modo, concetti già sviluppati nelle opere precedenti confluiscono in un quadro teorico ben saldo, che muove dalla prospettiva della vicissitudine per determinare la necessità di una materia infinita e immutabile, "mater et matrix" della vita universale. Allo stesso tempo, riproponendo - sia pur per una via diversa - la stessa ontologia del De la causa, Bruno individua nel dinamismo della materia il fondamento di quella praxis magica che costituisce il nucleo teorico delle opere composte in seguito.

 

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Leen Spruit

 

Bruno's Use of Experience

 

La critica di Bruno alla filosofia naturale aristotelica è scandita dalle due tappe fondamentali di un iniziale materialismo (vd. De la causa, ed. Aquilecchia, pp. 93-94) e di una lettura di Copernico che lo ha portato alla tesi dell'universo infinito fisicamente omogeneo. Bruno non aveva prove empiriche per questa concezione: gli argomenti da lui utilizzati per sostenere la tesi dell'infinità dell'universo sono sostanzialmente di natura teorica. Tuttavia, in un serrato dibattito con la scienza contemporanea, Bruno sviluppò una serie di tesi fisiche specifiche, che se da un lato sono semplicemente derivate da quella dell'universo infinito, dall'altro svolgono anche la precisa funzione di fornire argomenti per la sua adeguatezza. Esempi di ciò sono la relatività della percezione di moto, peso e distanza, e la confutazione della dottrina tradizionale dei quattro elementi. In questi casi Bruno si richiama più volte e in diverse maniere all'osservazione e all'esperienza: benché le sue conclusioni siano generalmente il risultato di considerazioni teoriche, egli è comunque convinto che le sue teorie siano accettabili e ragionevoli anche sul piano empirico. Il ruolo dell'osservazione e dell'esperienza in Bruno è controverso: c'è chi sostiene che egli non vi dia molta importanza, mentre secondo altri sarebbe forte la loro presenza nelle sue riflessioni filosofiche. L'origine di questa controversia si trova negli scritti stessi di Bruno. Nelle opere cosmologiche egli cerca spesso il sostegno nell'esperienza per le sue teorie; altrove, invece, si sottolinea il carattere ingannevole della conoscenza sensibile. Nella seconda parte della relazione questo problema sarà analizzato nel contesto della psicologia bruniana della conoscenza. Per comprendere adeguatamente il ruolo svolto in Bruno da osservazione ed esperienza è necessario anche prendere in considerazione il rapporto tra la sua filosofia naturale e l'astronomia contemporanea: contrariamente a ciò che era avvenuto in precedenza, durante la seconda metà del '500 le osservazioni astronomiche iniziano a svolgere un ruolo cruciale nelle discussioni di filosofia naturale. Nella prima parte della relazione si evidenzierà come Bruno abbia eliminato la tradizionale distinzione tra filosofia e astronomia e si discuterà anche il suo giudizio sulle cosiddette "scientiae mediae". Infine, si prenderanno in esame le concezioni specifiche sul ruolo dell'osservazione e dell'esperienza. Nella filosofia scolastica l'esperienza aveva di solito la forma di proposizioni generali ed era usata per lo più come illustrazione di conclusioni astratte. Nel corso del '500, grazie anche alla nascita della nuova astronomia, il concetto di esperienza cambia: anche dati che riguardano singoli eventi vengono presi in considerazione e usati per sostenere teorie scientifiche. L'uso dell'esperienza in Bruno documenta questo passaggio. Se da un lato Bruno usa ancora esperienze 'universali' e non controverse per sostenere conclusioni astratte, dall'altro egli introduce esperienze personali e controverse. Ciò pone il problema della loro giustificazione, affrontato da Bruno in vari modi - dalla riformulazione nei termini di un'esperienza 'accettabile' fino alla retorica impiegata per smontare le tesi degli avversari.

 

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Elisabetta Scapparone

 

"Tempus vinciendi". Filosofia dell'amore e "civile conversazione" nel De vinculis

 

Il De vinculis in genere costituisce, com'è noto, una delle testimonianze più tarde della 'nolana filosofia', ed è un testo che spicca per densità ed incisività in quel gruppo di opere 'magiche', in cui Bruno ripropone e rilegge i temi centrali della sua filosofia, intrecciandoli da un lato con un lessico ed una problematica di carattere schiettamente magico, dall'altro con quella tensione alla praxis e quella interpretazione in chiave etico-politica della figura e della missione del filosofo che scandiscono la riflessione dei suoi ultimi anni, legandosi a difficili, decisive scelte biografiche. Nel De vinculis, il quadro teorico già delineato negli altri scritti di carattere magico si sviluppa e si complica in un senso assai originale e significativo. Qui, infatti, riflessione sul vincolo magico e riflessione sul vincolo civile sono connesse in un nodo teorico strettamente unitario - fondato, sia operativamente che ontologicamente, sul dinamismo di una materia che trasforma nello spazio e nel tempo, secondo una mutazione continua, incessante, sia gli individui che gli oggetti dei loro desideri e passioni - e dunque perfettamente aderente ai canoni fondamentali della metafisica bruniana. Se qui, come già nel Sigillus sigillorum, è l'amore il "rector" che introduce all'esperienza della verità, è il proprio modo di amare, la propria "vincolabilità" rispetto a Cupido quella che definisce la modalità individuale di ogni esistenza: l'amore, in quanto "vincolo dei vincoli", appare come l'elemento che definisce i confini estremi entro i quali può svilupparsi l'esperienza individuale dell'uomo, la specificità di ogni singolo individuo, la realizzazione, nella beatitudine corporea o intellettuale, del suo appetito e desiderio. A partire da queste considerazioni, si cercherà di analizzare il tentativo che Bruno compie in questo testo di ridefinire il rapporto con le posizioni proprie della tradizione platonica e della filosofia dell'amore in temi che richiamano immediatamente alla memoria motivi e caratteri dei Furori: e profondo è in effetti - come si cercherà di mostrare - il rapporto con questo dialogo, la cui memoria agisce a vari livelli sulle posizioni espresse da Bruno nel De vinculis. Il senso della complessità di questo testo straordinario è dato, infine, anche da un altro ordine di considerazioni, di carattere più specifico, e legate alla questione della 'scrittura' scelta da Bruno in quest'opera. A proposito del De vinculis si è parlato di stile "luminosamente aforistico". Ed in effetti, come nei Furori il ricorso alla lingua poetica incarnava il rifiuto dell'unilateralità di senso e di linguaggio, così nella prosa densa di ellissi e di anacoluti del De vinculis, nel ricorso consapevole all'"acutezza della concinnità" il Nolano modula uno stile deliberatamente volto alla liberazione da ordini e rigidità sintattiche, perchè radicato nell'esperienza della varietà e complessità del mondo naturale e umano, che va rappresentato nella sua varietas e non irrigidito e mortificato nella forma fissa, inerte del trattato.

 

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Hilary Gatti

 

La Bibbia nei Dialoghi italiani di Bruno

 

 

 

La relazione nasce dalla constatazione di un uso continuo e allo stesso tempo estremamente vario di testi biblici all'interno dell'opera filosofica di Bruno, che non sempre viene riconosciuto nell'analisi delle sue fonti, e che non sembra aver ancora trovato un adeguato commento e spiegazione da parte dei suoi critici. Il trattamento dell'argomento proposto viene qui limitato ai dialoghi italiani, soprattutto per il particolare interesse in questo contesto dell'opera italiana scritta e pubblicata a Londra: non c'è motivo, comunque, per pensare che il fitto inserimento nell'opera filosofica di Bruno di espliciti riferimenti biblici, come di echi più difficilmente individuabili, sia meno marcato o significativo nell'opera latina. Già Nicoletta Tirinnanzi, in una precedente sessione delle Letture Bruniane, ha svolto una relazione sul Cantico dei Cantici nel De umbris idearum; e c'è da supporre che simili analisi di fonti bibliche potrebbero dare risultati altrettanto interessanti se applicate ad altre opere latine di Bruno. In questo caso comunque l'obbiettivo non è soltanto quello di individuare una o più fonti bibliche nell'una o nell'altra opera italiana: si vuole piuttosto definire un atteggiamento generale, cioè un modo particolare di Bruno di accostarsi al testo della Bibbia e di integrarlo all'interno del proprio discorso filosofico. Raccogliendo i riferimenti biblici individuati nei commenti e nelle note delle edizioni più recenti dei Dialoghi italiani di Bruno, si tenterà in primo luogo di fornire un quadro dei libri biblici che hanno maggiormente attirato l'attenzione del filosofo nolano, nonché di offrire una spiegazione delle sue scelte alla luce del suo discorso filosofico. Sviluppando questo quadro analitico, una seconda parte della relazione verrà dedicata alle pagine iniziali del quarto dialogo della Cena de le Ceneri dove Bruno, nella persona di Teofilo, e la sua controparte inglese, Smitho, discutono assieme il problema delle divergenze tra i testi biblici e la nuova astronomia eliocentrica: problema destinato a diventare centrale nello sviluppo della scienza post-copernicana del '600. E' in queste pagine che, andando al di là dei quattro modi dell'esegesi tradizionale con uno sguardo acuto oltre che ironico sulla nuova cultura biblica della Riforma protestante, Bruno arriva alla sua interpretazione delle parole degli uomini divini alla luce dell'entusiasmo dei poeti. La terza parte della relazione svilupperà gli esiti delle parti accennate sopra, con una lettura dettagliata dell'"Argomento ed allegoria del quinto dialogo" degli Eroici Furori nel tentativo di analizzare un esempio tipico dell'uso fatto da Bruno di un testo biblico particolarmente problematico nella presentazione ed argomentazione della propria filosofia. Si tratta dei versi della Genesi che descrivono la separazione delle acque sopra il firmamento dalle acque sotto il firmamento: uno dei passi biblici più ricorrenti nei dialoghi italiani, dal primo dialogo della Cena de le Ceneri all'ultimo degli Eroici furori. Nel tentativo di individuare il significato filosofico dell'uso specifico di questo testo da parte di Bruno, si arriva alla conclusione che le citazioni bibliche nei Dialoghi italiani non sono da considerarsi estranee alla definizione del nuovo universo infinito. Esse non appaiono come ornamenti retorici, bensì come momenti essenziali del discorso filosofico. In altri termini, persino il testo sacro viene piegato da Bruno ai propri fini, con una strategia di sottile ri-scrittura di passi noti e carichi di suggestioni ed emozioni derivate da secoli di raffinate esegesi ed appassionate disquisizioni.

 

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Christoph Lüthy

 

Dagli gnomoni matematici alle strutture materiali.

L'iconografia atomistica di Bruno

 

 

 

Le teorie corpuscolari confutate da Aristotele postulavano o l'esistenza di solidi regolari formati da superfici triangolari, come suggerito da Platone, o quella di atomi di diverse forme e dimensioni, come proposto da Leucippo e Democrito. Nonostante i numerosi tentativi di far rivivere, nella loro varietà morfologica, i corpuscoli di queste due tradizioni classiche, i modelli molecolari elaborati a partire dal diciassettesimo secolo facevano uso, nella maggior parte dei casi, di sole particelle sferiche. L'affermarsi di questa concezione globulare della materia lascia, prima facie, piuttosto perplessi. La scelta in favore di un'unica figura atomica, infatti, non soltanto rende difficile dar conto della varietà delle forme naturali, ma sembra quasi impedire una spiegazione riduzionistica delle proprietà dei corpi. L'indagine sulle origini della concezione globulare della materia ci conduce direttamente a Giordano Bruno, che sembra essere stato il primo a disegnare, o quanto meno a stampare, immagini di atomi. E tuttavia, se l'applicazione di una tale iconografia al mondo delle particelle materiali rappresentava certamente una novità, nuovi non erano i disegni utilizzati. Nel costruire le proprie immagini, Bruno attinse infatti ad una lunga tradizione di rappresentazioni figurative di numeri, che aveva ricevuto un notevole impulso grazie a Boezio e ai suoi commentatori, per essere poi sviluppata in senso numerologico nel corso del Rinascimento. Costellazioni di unità globulari servirono, del resto, allo stesso Bruno dapprima per illustrare simboli numerologici, quindi per costruire modelli celesti dei suoi infiniti mondi e, solo negli ultimi scritti, per rappresentare i livelli microscopici delle strutture materiali. L'idea che soggiace ad usi così diversi di uno stesso tipo di illustrazione globulare è quella di una monade auto-replicantesi, la cui forma ideale, descritta ora come punto, ora come cerchio, ora come sfera, serve a rappresentare tanto le più piccole, quanto le più grandi dimensioni del cosmo, e può essere pertanto considerata come il simbolo geometrico della coincidentia oppositorum. Solo a due condizioni le immagini atomistiche di Bruno avrebbero potuto rivelarsi di qualche utilità per i filosofi meccanicisti: la prima era che la monade, entità transdimensionale capace di espandersi dal punto al cerchio, e dal cerchio alla sfera, si trasformasse in una particella solidamente tridimensionale; la seconda era che quelle immagini venissero spogliate del loro significato religioso, mnemonico, simbolico. Tale processo fu lento e complesso. Ci fu chi, come Thomas Harriot o Walter Warner, prese in considerazione le figure bruniane per poi scartarle; chi, come Keplero, le utilizzò, non senza esitazioni e scetticismo, nel contesto di una specifica spiegazione fisica; e infine chi, come Jungius, spese tempo ed energia nel tentativo di estenderne l'applicazione. Due sono, in sintesi, gli obiettivi di questo intervento: il primo è quello di mostrare come Bruno, violando la tradizionale distinzione fra acervi matematici e continua physica, abbia scelto di utilizzare un'iconografia numerologica per descrivere il minimo fisico; il secondo è di far luce sulla singolare fortuna di queste illustrazioni non atomiche di atomi che, nelle mani dei filosofi meccanicisti, avrebbero trovato solidità e nuove leggi matematiche da rispettare.

 

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Simonetta Bassi

 

Arte della memoria, vicissitudine ed entusiasmo negli Eroici furori

 

E' stata una interpretazione di larga fortuna quella che vedeva nella filosofia di Bruno un esempio sommo di riflessione dettata dall'entusiasmo: già i contemporanei del filosofo, infatti, giudicavano alquanto bizzarra e stravagante la 'nolana filosofia': è sufficiente richiamare alla memoria la testimonianza di N.W., le stizzose parole di Kaspar Schoppe, per non dire di George Abbot: seppure con segno diverso tutti questi personaggi concordano nel giudicare l'insegnamento di Bruno 'fantastico' o 'chimerico', privo cioè di quel rigore che ci si dovrebbe aspettare dalla filosofia. In realtà l'idea che Bruno aveva dell'entusiasmo, anche se non è mai stata tematizzata in termini espliciti, è più complessa e articolata di quello che i suoi coevi lettori intendevano, o, piuttosto, in malafede fraintendevano: si tratta di un tema che è intimamente costitutivo dei fondamenti della 'nolana filosofia'. L'impianto filosofico dei Furori è strettamente connesso a quello del De Vinculis: entrambe le opere, infatti, si basano sull'assunto che la diseguaglianza regna e governa il mondo comunicato. Ciò comporta un cambiamento del punto di vista di Bruno: mentre nello Spaccio, il primo dialogo morale, la prospettiva infatti è quella dell'assoluto, del circolo vicissitudinale, del sapiente, per intendersi, nei Furori e nel De vinculis la prospettiva scelta è quella dell'individuo e della sua specificità. Risarcendo il proprio ad ogni ente, esaltando le differenze, il soggetto morale è messo nella possibilità di agire responsabilmente in vista di uno scopo, può creare nuovi orizzonti di senso, aprire nuove prospettive per la comprensione del suo tempo e delle azioni ad esso adeguate. La particolare forma narrativa dei Furori, l'uso della poesia e dell'impresa per veicolare un contenuto filosofico, se da un lato consente di avviare un parallelo fra l'esperienza filosofica di Bruno e quella letteraria di Tasso, dall'altra impone di tematizzare il rapporto tra pittura (emblema) e scrittura. Si tratta di temi che occupano un posto rilevante nella filosofia bruniana, e non solo nei Furori: compaiono infatti già nel De Umbris, cioè nella prima opera pubblicata da Bruno a Parigi nel 1582. Nell'opera parigina il filosofo paragona scrittura e memoria, in quanto entrambe rendono presenti le cose assenti. Da questo particolare punto di vista la memoria, come scrittura, non è un mero supporto tecnico, esteriore, ma è un'attitudine dell'anima raziocinante, una funzione intrinseca all'anima umana. Di più: l'arte della memoria opera come l'arte grafica nelle sue due specificazioni maggiori, cioè pittura e scrittura: come pittura interiore costruisce le immagini delle cose che devono essere richiamate alla memoria, come scrittura interiore le colloca in modo architettonicamente ordinato, distribuendo i segni e le note identificative. Insomma: la memoria ricrea il mondo in uno spazio artificiale, usando e giocando con l'assenza. La sua attività non è spiegabile in modo adeguato con la metafora della cera e del sigillo: la stanza della memoria rappresenta, piuttosto, un principio forte di organizzazione interna, con cui vengono rivestiti i dati offerti dalla sensazione. Attraverso il ripensamento e la ridefinizione del ruolo dell'immaginazione e della memoria, Bruno fonda lo spazio per la libertà e creatività dell'uomo.

 

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Maurizio Cambi

 

Dall'Artificium perorandi al De vinculis.

Insegnamento della retorica e suo superamento

negli ultimi scritti bruniani

 

 

Durante il soggiomo biennale a Wittenberg, Bruno tornò ad occuparsi prevalentemente di opere aristoteliche e lulliane. Lo evidenziano testi e commentari che dette alle stampe in quel periodo. Quando poi si trattò di scegliere l'argomento per un corso da tenere presso lo Studio di quella città, egli optò per il commento e l'analisi della Rhetorica ad Alexandrum, un'opera a quel tempo attribuita ad Aristotele. Ma come si evince dal testo delle lezioni bruniane, che nel 1612 Johannes Alsted fece stampare col titolo di Artificium perorandi, il Nolano non si limita ad un semplice commento fedele dell'opera prescelta; egli infatti coglie l'occasione per precisare concettualmente la sua posizione circa la retorica. Critico nei confronti dell'uso strumentale della retorica tipico della sofistica, insoddisfatto dai modelli proposti da Aristotele, in aperto e irriducibile disaccordo nei confronti di chi, come Ramo e Patrizi, aveva tentato, senza riuscirci, di superarli, il Nolano propone un artificium basato sulla combinatoria lulliana in grado di 'produrre' una tale ricchezza di soluzioni da consentire all'oratore non solo di affrontare tutte le situazioni possibili, ma addirittura di scegliere, tra le tante opportunità, la più conveniente. Le lezioni wittenberghesi insegnano, dunque, tecniche efficaci per comporre un discorso, per moltiplicare parole o addirittura parti di un'orazione, etc., ma poco o nulla dicono dei fattori profondi che favoriscono la persuasione. Bruno torna su questo specifico aspetto, anche se solo tangenzialmente, nei trattati di argomento magico composti probabilmente tra il 1589 e il 1590 (il De Magia, le Theses de magia e il De vinculis in genere). Proprio nel De Magia Bruno precisa che "spetta... all'arte dell'incantesimo, e a quella specie di vincolo dello spirito... tutto ciò che trattano gli oratori in riferimento ad effetti di persuasione, dissuasione e mozione di affetti". In questa prospettiva, la retorica entra in un orizzonte più ampio dove la captatio del consenso attraverso un'orazione diventa un'operazione che confina appunto con la magia e per la quale appare imprescindibile l'esatta conoscenza dei vincula.

 

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Eugenio Canone

 

Fenomenologie dell'anima nei Poemi di Francoforte

 

Pubblicata a Francoforte nel corso del 1591, la trilogia poematica latina è stata considerata, e non solo da Felice Tocco, il testamento filosofico di Bruno. Si è anche insistito sul fatto che, al di là di una coerente sistematicità e unità di ispirazione, il De minimo, il De monade e il De immenso presentano una diversità sul piano della qualità, sia filosofica sia formale, spesso perdendo però di vista che è lo stesso Bruno a indicare le ragioni di una precisa differenza di angolazione, con la consapevolezza dell'ottenimento di risultati diversi. Sul piano dei contenuti, il confronto è stato per lo più istituito con la trilogia dei Dialoghi fisico-metafisici pubblicata da Bruno a Londra sette anni prima. Tuttavia, con i Poemi francofortesi Bruno si propone in generale di riformulare, in quella lingua universale che era il latino (anche se in maniera del tutto originale), i temi cruciali della sua filsofia, in un sistema di visioni del mondo che vuole misurarsi, nel modo più maturo, con quella teoria dei 'tre mondi' da sempre al centro del suo interesse speculativo. Se dunque non offre grandi frutti il discutere sul maggiore o minore valore di questo o quel poema senza tener conto di quello che lo stesso autore ci dice in merito, è necessario invece cogliere la specificità di ognuna delle tre opere e il senso profondo del loro intreccio. Nella relazione si terrà conto di tale precipuo articolarsi nel prendere in esame la questione dell'anima, dell'Anima mundi e dell'anima dell'uomo - una questione cruciale nel pensiero di Bruno, dal De umbris idearum ai Dialoghi fisico-metafisici e morali, dalla Lampas triginta statuarum agli scritti sulla magia: nella sua filosofia della mente così come nella sua filosofia della natura. Dal nesso anima-spiritus e anima-amor sino al legame tra anima e sapientia, nella relazione si evidenzieranno i momenti di una fenomenologia che assume diversi volti, con un Bruno impegnato in un serrato confronto con la tradizione platonica, ma con lo sguardo smaliziato di chi - come lui stesso afferma - è stato 'allevato e nutrito' sin dalla prima giovinezza nella dottrina di Aristotele e degli aristotelici, pur essendosene poi distaccato radicalmente.

 

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Thomas Leinkauf

 

Einheit, innere Kraft und substantielle Form.

Der Begriff der Substanz bei Bruno und Leibniz

 

Il concetto di sostanza assume un ruolo centrale sia nel pensiero di Bruno che in quello di Leibniz. Esso conduce entrambi gli autori direttamente nel cuore della loro ontologia. Nell'intervento si prenderanno in esame le rilevanti affinità che rispetto al concetto di sostanza, ripreso dalla tradizione metafisica aristotelica e criticamente trasformato, sono individuabili in Bruno e in Leibniz; ci si soffermerà poi sulle differenze non meno marcate nel dispiegamento sistematico di ciò che questo concetto implica. E' possibile mostrare come nell'opera di Bruno siano già rilevabili definizioni decisive di quel concetto 'riformato' di sostanza che sarà proprio di Leibniz, come la definizione dell'unità irriconducibile dell'essere sostanziale e la sua connessione con il concetto di monade, la dinamizzazione del concetto di sostanza tramite la sua connessione o perfino l'identificazione con il concetto di 'forza (vis, virtus) e con l'attività (operatio, energeia), nonché il mantenimento del concetto di "forma substantialis", malgrado le mutate determinazioni interne. Bruno, come più tardi Leibniz, sostiene che una sostanza, in quanto reale unità esistente, è rimossa dall'ambito di generazione e corruzione, vincolante per tutti gli enti appartenenti alla tradizionale ontologia aristotelica delle cose naturali, e che può essere 'creata' o 'distrutta' unicamente mediante un intervento esterno - cioè divino. Il pensiero di Bruno è altrettanto caratterizzato da una concezione di 'vita' e di 'essere animato' quale successivamente si ritrova anche in centrali passaggi sistematici di Leibniz: entrambi i pensatori seguono qui, ognuno in modo pregnante, uno sviluppo di fondo del pensiero della prima età moderna, in cui vengono accostate le categorie teorico-naturali e biologiche (vita) e teorico-spirituali (perceptio, sensus), rendendo concepibile l'idea di un universo generalmente vivificato e animato. Unità, 'interno' e sostanzialità costituiscono in questo contesto una sindrome sistematica, i cui contorni netti e le cui conseguenze radicali verranno tuttavia ad imporsi soltanto con la teoria delle monadi del tardo Leibniz.

 

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Michel-Pierre Lerner

 

Campanella lecteur de Bruno?

 

Condannato e arso vivo come eretico impenitente e ostinato, Giordano Bruno è diventato a partire dal 1600 un nome e una dottrina impronunciabili, in una Italia di Controriforma trionfante. Il domenicano Tommaso Campanella, lui stesso di una ortodossia sospetta, è uno dei (molto) rari autori che non rispettano questo tabù. Con dei riferimenti talora trasparenti, come 'Nolanus' - egli ricorre anche all'espressione "Nolana physiologia" -, talora più allusivi e problematici, Campanella evoca in vari testi taluni punti della dottrina bruniana, sia per accettarli sia per prenderne le distanze. Il problema che si pone consiste nel sapere, in modo specifico, quale/i opera/e di Bruno lo Stilese potrebbe aver presente e, soprattutto, se egli ne abbia avuto una conoscenza diretta. In altri termini, ci si domanderà se Campanella non ha conosciuto il pensiero bruniano se non per sentito dire e di seconda mano o se si può ipotizzare, con qualche verosimiglianza, che egli abbia letto questo o quel libro del Nolano.

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Ultimo aggiornamento: 2 ottobre 1998