Lessico Intellettuale Europeo
Dipartimento di Ricerche storico-filosofiche e pedagogiche
Facoltà di Lettere e Filosofia
 
 
 
 
LETTURE BRUNIANE V
 
Il mondo animale nell'opera di Bruno
e nella cultura del Rinascimento

 

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Presentazione delle relazioni

 

Università di Roma "La Sapienza"
Roma, Villa Mirafiori, 20-21 ottobre 2000

 

  


   

Eugenio Canone
La profonda notte animale dello Spaccio de la bestia trionfante

 

Uno dei motivi chiave - e forse quello cruciale - dello Spaccio de la bestia trionfante è il tema della metamorfosi che, rispetto all'Anima quale sostanza una e infinita, riguarda tutti gli enti composti, ma anche gli dèi che si manifestano nella natura: un comune destino di perenne trasformazione animale come legge della conservazione delle specie. Le Metamorfosi di Ovidio sono l'opera che più di tutte Bruno ha presente nello Spaccio; tuttavia, la prospettiva teorica del Nolano si spinge ben oltre il tradizionale pitagorismo che si riflette nel testo ovidiano. Animali di vario tipo popolano il cielo allegorico-morale dello Spaccio, un cielo notturno che rende possibile la visione di figure - più o meno mostruose - le quali si celano nella luce diurna, ma che comunque agiscono sempre, occupando le "stanze" della memoria collettiva. Il cielo notturno dello Spaccio è la potente metafora dell'universo interiore dell'umanità, con le sue proiezioni e le sue angosce; illusioni e incubi collettivi che ogni notte vivono nei sogni degli uomini, ma il cui influsso si fa pesantemente sentire anche alla luce del sole. Nella prospettiva dello Spaccio, liberarsi di tali mostri bestiali comporterà per l'uomo anche riconoscere la propria insopprimibile origine animale (il paradosso è solo apparente).
 
 


 
 

 

Ornella Pompeo Faracovi
Gli animali celesti nel Rinascimento

 

Quando nel Libro dell'amore definiva le stelle "animali del cielo", Marsilio Ficino non esprimeva soltanto l'idea rinascimentale dell'universale animazione degli esseri. Dava anche voce alla rinnovata vitalità di un motivo che, a partire da lontane radici babilonesi, aveva percorso gran parte dell'antichità classica e della civiltà tardo antica, per riemergere poi con grande forza, attraverso la decisiva mediazione dei testi in arabo, nel basso Medioevo: l'assegnazione agli astri di un ruolo centrale nella vita del cosmo. L'aspetto mitologico di quella concezione improntò largamente di sé le nuove carte celesti (prima fra tutte quella tracciata da Albrecht Dürer), che avrebbero rappresentato come animali mitici le costellazioni vecchie e nuove dell'atlante del cielo. Insieme ad esso, quello più propriamente astrologico - anche in virtù della riscoperta di testi come l'Astronomicon di Manilio e la ripresa delle suggestioni della "sphaera barbarica", tanto carica di risonanze egizie - fornì stimoli importanti all'immaginario artistico e al pensiero magico: gli affreschi del Salone dei Mesi del Palazzo Schifanoia di Ferrara, oggetto delle memorabili ricerche di Aby Warburg, ne sono uno dei documenti essenziali. Contemporaneamente, la filologia umanistica consentiva il recupero dell'autentico profilo della tolemaica Tetrabiblos, la cui rilettura, combinandosi agli sviluppi delle ricerche astronomiche, pose le basi per una rinnovata matematizzazione degli antichi riferimenti celesti, aprendo la strada all'astrologia riformata del Cinquecento.

 


 

Patrizia Castelli
Dal mito alla scienza: animalità, allegoria, tassonomia
nel tramonto del Rinascimento

 

L'universo concettuale del secolo XVI vede tra l'altro la grande fioritura di scritti sulla fisiognomica, la cui origine risaliva a tempi remoti. Le numerose pubblicazioni sull'argomento, a partire da quelle dell'Achillini e di Cocles per finire a Della Porta, hanno messo in circolazione, con le loro didascaliche immagini a complemento del testo, una serie di tipi umani che palesavano la loro animalità e bestialità. Facce volpine, grifagne, aquiline, leonine e taurine denunciavano ad un avido pubblico di lettori più spesso dell'eroismo, la miseria della condizione umana, aprendo un dibattito sulla moltiforme natura e sulle inclinazioni dell'uomo. Contemporaneamente a questa disciplina che, pur proponendosi come scienza, veniva condannata da pensatori cristiani quali Del Rio, si sviluppava l'interesse oltre che per la botanica e l'anatomia, anche per la zoologia. Non solo vengono mutati i contenuti dei testi, ma anche gli illustratori, abbandonando i modelli tradizionali, tentano una meticolosa riproduzione della realtà. Nella relazione si intende mettere a confronto due modi diversi di porsi di fronte alla natura nel tramonto del Rinascimento. Fisiognomisti e zoologi, pur partendo dal dato oggettivo dell'osservazione, giungono ad interpretazioni diverse del mondo. I primi asseriscono una relazione di interdipendenza tra il carattere dell'uomo ed i segni fisici. I secondi, basandosi sempre sull'osservazione, si spingono ad analizzare i meccanismi degli animali, allontanandosi dagli aspetti plurisecolarmente convalidati della classificazione. Ciò che intendo delineare è lo sviluppo dei principi che costituiscono il punto di rottura dell'universo dei fisiognomisti e i nuovi modi di catalogazione del mondo animale che si basano, tra le altre cose, sul disegno quale mezzo di indagine per lo studio della realtà.

  


 

Guido Giglioni
Mimesi e metamorfosi. Metafisica e medicina della vita animale
in Cardano

 

Nel vasto e variegato corpus degli scritti cardaniani non esiste un trattato espressamente dedicato agli animali. E tuttavia gli animali fanno continuamente la loro apparizione nell'enciclopedia cardaniana delle scienze della natura e dello spirito. Sono protagonisti di storie curiose nella zoologia mirabile del De subtilitate e del De varietate rerum. Si insinuano nei trattati dal più marcato carattere metafisico, come il Theonoston, il De immortalitate animorum e il De arcanis aeternitatis. Fungono da "exempla" negli scritti di argomento morale. Affollano le pagine relative alla dietetica nei trattati di medicina. Rilucono come immagini cariche di significati negli scritti di astrologia e oneiromanzia. Il principale scopo di questa relazione è di estrarre dagli scritti cardaniani una coerente teoria della vita animale e di delineare il posto relativo all'uomo e agli animali nell'economia dell'universo. La tensione tra uomo e animale (inteso come una delle forme dell'alterità) verrà analizzato nei termini delle tendenze all'assimilazione e metamorfosi che percorrono l'insieme della natura.
 
 



 
 
 

 

Manuela Ruisi
Posita bestia in medio circuli: la forma animale nell'arte della memoria

 

Le grandi architetture mnemoniche di Johannes Romberch, Giulio Camillo, Cosma Rosselli e Giordano Bruno si propongono come linguaggi autonomi e, in questi complessi strutturati di segni, la forma animale riveste un ruolo importante. Profondamente radicato nell'immaginario collettivo, l'animale è figura semplice che la tradizione ha caricato di valore simbolico. La secolare stratificazione semantica rende l'animale particolarmente congeniale a svolgere una funzione segnica non univoca ma molteplice, in relazione al contesto di riferimento e adatto ad essere unità lessicale privilegiata del linguaggio rinascimentale della memoria. Dal capostipite dei bestiari medievali - il Physiologus - deriva una ricca tradizione di bestiari manoscritti, alcuni illustrati, altri privi di illustrazioni dove la descrizione dell'animale mira alla costruzione mentale dell'immagine. Manoscritti di bestiari e bestiari nei manoscritti: illustrazioni e decorazioni zoomorfe di valore mnemonico accompagnano il testo di molti codici medievali sintetizzandone visivamente il contenuto. Bestiari moralizzati, icone zoomorfe dei testi sacri, trattati di fisiognomica, ma anche primi tentativi di un approccio naturalistico all'animale nei grandi enciclopedisti: il Medioevo consegna un'eredità vasta e varia e su questo materiale si forma un repertorio iconografico animale che i trattatisti rinascimentali di arte della memoria utilizzano a vari livelli. Dall'uso della semplice forma esterna dell'animale per rappresentare lettere dell'alfabeto o numeri, che ritroviamo ancora in Romberch, Rosselli, Della Porta, agli alfabeti di animali, ai geroglifici egiziani, all'uso della bestia mitica la cui funzione di segno lascia la semplicità dell'immagine e del nome per attingere a una historia, come ne L'idea del theatro di Giulio Camillo. Il legame tra la bestia e ciò che essa rappresenta si fa sempre più distante e sottile, come nell'uso mnemonico della fisiognomica in Della Porta. Al culmine di questo percorso ideale si colloca l'opera di Bruno, dove tutte le potenzialità mnemoniche dell'immagine zoomorfa sono esplorate e superate.
 
 
 
 
 



 
 

 

 

Luciano Albanese
I simboli animali del tempo nella cultura rinascimentale

 

Gli studi di Panofsky sull'"Allegoria della Prudenza" di Tiziano hanno evidenziato la presenza costante nella cultura rinascimentale, Bruno compreso, dei simboli animali del tempo (lupo, leone e cane) descritti da Macrobio nei Saturnali I, 20, 13-15. In Macrobio tali simboli risultano associati alla famosa statua di Serapide in Alessandria, ma in realtà tale associazione non è seguita in modo esclusivo nel Rinascimento, perché il mostro dei Saturnali si può accompagnare anche ad Apollo, Cupido, Saturno, ovvero fungere autonomamente da simbolo non solo del tempo, ma anche - come nel caso di Tiziano - della prudenza, intesa come la capacità di fare tesoro del passato in vista del futuro. Dal punto di vista archeologico, inoltre, il passo di Macrobio ha sempre costituito un rompicapo, perché Serapide è costantemente accompagnato da Cerbero, il cane infernale a tre teste canine, e la presenza del mostro tricefalo di cui parla Macrobio si riscontra talmente di rado che si può escludere che esso fosse il segno caratteristico della divinità alessandrina. Esso risulta essere invece il simbolo caratteristico delle figure mitriache del tempo (Kronos leontocefalo, Aion, Mithra-Phanes). L'ipotesi che si affaccia alla mente, a questo punto, è che il passo dei Saturnali nasconda in realtà un'allusione ai misteri di Mithra, mai nominati esplicitamente nel corso dell'opera.

 
 


 

Anna Cerbo
Sub specie animalium: uomini e demonio
nella poesia di Campanella e di Tasso

 

Nella relazione ci si propone di illustrare il significato simbolico-allegorico che assumono gli animali nella letteratura italiana del tardo Cinquecento, in particolare nella Scelta d'alcune poesie filosofiche di Campanella. L'analisi si muoverà in una duplice direzione: politica e religiosa. Si vogliono approfondire quegli originali criteri di trasformazione - dall'umano al bestiale - che obbediscono ai principi metafisici del filosofo di Stilo, anche se è evidente l'influsso del De consolatione philosophiae di Boezio, degli Etymologiarum libri XX di Isidoro di Siviglia e del De animalibus di Alberto Magno. Si esaminerà il nesso "bestialità" e "follia" sintetizzato nell'immagine "Gabbia de' matti è il mondo" (canzone n. 25, madrigale 2), che ripropone le stalle e i serragli umani di Machiavelli, di Giovan Battista Pino, di Gelli e di Giordano Bruno, accampando le ragioni metafisiche e non solo etiche dell'ignoranza degli enti. Nella relazione si approfondiranno tra l'altro i legami della riflessione di Campanella sul tema dell'asinità rispetto ad altri autori, per coglierne le affinità e le divergenze. A differenza di altri scrittori - soprattutto rispetto a Machiavelli - Campanella è mosso da un forte impegno correttivo della deviazione morale, per un recupero della humanitas, come piena dignità umana; per questo programma tutto umanistico egli si avvicina al dialogo Asinus del Pontano. Nella seconda parte della relazione si considererà il significato, nella Scelta, dell'apparizione del demonio sotto le vesti di animali immaginari (mostri e draghi) e sotto la veste angelica, in rapporto alla letteratura religiosa della seconda metà del Cinquecento, in particolare rispetto alle Rime sacre del Tasso e di Arcangelo Spina e alle orazioni dei predicatori del tempo. Quanto al Tasso, si esamineranno pure le numerose similitudini che, nella Gerusalemme liberata, accostano animali ed eroi pagani, per cantare l'epos dei barbari e rappresentare la ferinitas e l'immanitas degli eroi musulmani, la loro aggressiva crudeltà, la loro forza abnorme, istintiva e diabolica. Tra allegoria, scienza della natura e gusto descrittivo degli animali si muovono anche i versi del Mondo creato.

 
 



 
 
 

 

Karen de Leòn-Jones
Metemfisicosi: anima umana in corpo animale secondo Bruno

 

Tra le immagini animali che popolano i dialoghi italiani di Giordano Bruno, le più notevoli sono quelle associate al tema della metempsicosi. L'immagine stessa dell'asino, simbolo fondamentale della nolana filosofia, è incarnata nella Cabala del cavallo pegaseo nel personaggio di Onorio, che narra le vicissitudini del suo ciclo di reincarnazioni da quando era asino fino a diventare filosofo pitagorico. Anche nello Spaccio de la bestia trionfante e negli Eroici furori è ricorrente il motivo delle anime trasmigrate in corpi animali, con descrizioni delle metamorfosi dell'umano in animale, dei tratti fisiognomici che richiamano delle precedenti o future incarnazioni animali. Attraverso questa dottrina Bruno mette in pratica, nei cosiddetti dialoghi morali, ciò che egli delinea - in particolare nel De la causa, principio et uno - con le sue teorie metafisiche. Una delle accuse mosse contro Bruno durante il processo fu il suo aderire alla dottrina della metempsicosi, benché il Nolano insistette che la sua era un'analisi soltanto "filosoficamente parlando". La lettura dei dialoghi rivela invece che il discorso sulla trasmigrazione dell'anima in corpo animale si inserisce nella polemica religiosa (contro la Riforma ma anche contro il Cattolicesimo) intrapresa da Bruno nella riforma celeste dello Spaccio. Uno studio approfondito di questo tema rivela non solo un aspetto fondamentale del pensiero di Bruno, ma permette anche una miglior conoscenza dell'ambiente filosofico-religioso dell'epoca.

 


 
 

Ole Jorn
Corporeità in Bruno: figura e senso

 

Con l'elogio della mano, Bruno attribuisce una forte carica simbolica alla realtà corporea. L'agire è, secondo Bruno, una dimensione decisiva dell'umanità che, come unica specie, ha la mano operante, "strumento degli strumenti". Storicamente, il condizionamento reciproco di mano e intelletto differenzia la specie umana dagli altri animali, consentendo all'uomo di andare oltre il suo essere naturale. Per il filosofo sono proprio le caratteristiche corporee dell'uomo - e non una sua presunta elezione originaria - alla base della prerogativa di una libertà che potenzialmente sembra non avere limiti. A ciò si collega l'obbligo morale di sobbarcarsi la "fatica" di mettere in atto tali possibilità. Non sorprende che Bruno riduca drasticamente la "corporal bellezza" a cosa effimera e, in quanto fine a se stessa, anche menzognera. Il culto del bello sensuale - proprio in quanto culto - abbassa lo spirito e vincola l'anima ai sensi, osserva Bruno, polemizzando anche contro il petrarchismo e una certa tradizione della "teoria dell'amore". Con ciò, Bruno non intende misconoscere il valore dei sensi, ma insistere invece sull'intima connessione tra senso, ragione e intelletto. I sensi riflettono l'uomo allo stadio animale e spesso producono affetti illusori - così come l'amore sensuale non può spingersi oltre il tatto, generando assieme all'appagamento sensuale uno stato di frustrazione. In pari tempo, i sensi sono l'indispensabile stimolo per produrre l'affetto necessario all'azione. I sensi sono quindi anche via d'accesso alla cognizione del vero nella natura. Inoltre i sensi possono essere acuiti, consentendo all'uomo di vedere "più che ordinariamente". Negli Eroici furori, il dialogo tra gli occhi e il cuore - "luoghi" e strumenti dell'amore - è un dialogo non solo simbolico ma anche psicosomatico sulle potenzialità cognitive. Il corpo umano viene da Bruno più volte denominato "carcere" dell'anima, che lo vivifica, ma ciò appunto - e qui si esprime la differenza rispetto alla tradizione platonica - come critica alla concezione dello stato di incarnazione quale impedimento dell'anima: per Bruno il corpo è la forma d'essere concreta per cui l'uomo realizza il suo illimitato potenziale intellettuale.

 
 



 
 
 
Vittoria Perrone Compagni
Mondo magico/mondo animale:
voci e parole nella magia di Bruno

 

Nella relazione si affronterà il rapporto tra magia e mondo animale da un punto di vista molto specifico, analizzando il ruolo delle parole nella magia e il loro legame con le voci degli animali. Esaminerò anzitutto alcuni spunti presenti nel Cantus Circaeus. Sebbene il rito incantatorio e metamorfico di Circe sia destinato a trasmettere un messaggio di natura eminetemente politica, esso prospetta indirettamente anche una definizione di magia che solo in parte coincide con quella che Bruno trovava espressa nelle sue fonti. Per un verso, la magia si presenta come attività di trasformazione del mondo e ambito di colloquio con gli dèi - e quindi come operazione prettamente umana; per altro verso, tuttavia, Bruno rifiuta la concezione tradizionale della magia come risultato del perfezionamento religioso dell'uomo e ne evidenzia le caratteristiche naturali. Non per niente, l'inconsueta Circe bruniana riordina (trasforma) la natura sussurrando le sue invocazioni magiche agli dèi planetari, mentre gli uomini imbestiati decadono dalla condizione umana perdendo la possibilità di usare le mani e la lingua. La relazione mondo magico/mondo animale verrà poi analizzata in rapporto ad alcune pagine del De magia, in cui Bruno lamenta la perdita dell'originario ed efficace "linguaggio degli dèi" ma, nello stesso tempo, prospetta la possibilità che il mago istituisca autonomi e sempre nuovi canali di comunicazione magica con la divinità. L'apparente contraddizione può forse essere spiegata tenendo presente i frequenti riferimenti al mondo degli animali e, in particolare, alla nozione di "sensus naturae". Di questa nozione - centrale nella discussione medievale sulla magia e che Bruno riprende attraverso le Conclusiones pichiane e Cornelio Agrippa - il De magia presenta una reimpostazione significativa che, negando la separazione tra facoltà inferiori (genericamente animali) e superiori (solo umane) quanto alla loro origine, giunge ad una completa naturalizzazione della prassi magica.




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