Uno studio adeguatamente documentato sull’iconografia del filosofo di Stilo ha preso avvio con la pubblicazione, nel 1964, del volume di Luigi Firpo. Il libro apparve nella sansoniana «Biblioteca degli eruditi e dei bibliofili», fondata da Marino Parenti. 1 Va ricordato che c’era stato un precedente contributo di Rodolfo De Mattei sull’iconografia di Campanella. 2 Per talune osservazioni sull’argomento è da menzionare anche Luigi Amabile, l’autore che ha dato il maggior contributo allo studio della biografia del filosofo di Stilo. 3
     Il libro di Firpo rimane, a distanza di quarantatré anni dalla sua uscita, importante punto di riferimento degli studi sull’iconografia campanelliana, anche se negli ultimi anni alcune scoperte hanno evidenziato un nuovo e significativo filone iconografico, collegato al periodo dell’esilio parigino di Campanella (1634-1639): una tradizione iconografica alla quale Firpo aveva accennato, sulla base di alcune fonti. 4 Circa tale filone, si vedano ora i vari contributi nel catalogo pubblicato in occasione di una mostra milanese del 2001, 5 nonché il primo fascicolo della rivista «l’Erasmo» apparso nello stesso anno. 6
     Per offrire qualche esempio dell’iconografia di Tommaso Campanella, nel presente contributo ho scelto quattro ritratti secenteschi significativi: due dipinti e due incisioni. I primi, eseguiti dal vivo, sono da ritenersi – allo stato attuale delle ricerche – i ritratti più importanti del filosofo (una precisazione andrà poi fatta in merito all’incisione di Nicolas de Larmessin: Fig. 4). Nelle note segnalo alcuni ritratti che derivano variamente dai due dipinti e dalle due incisioni.

Fig. 1Fig.2Fig. 3Fig. 4

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Fig. 1. Dipinto a olio su tela (cm. 63 x 48), tradizionalmente attribuito a Francesco Cozza. Dipinto eseguito a Roma probabilmente tra il 1629 e il 1631. – Roma, Palazzo Caetani.

     Il dipinto non reca né data né firma o sigla. A metà Settecento, Angelo Zavarrone riporta la notizia secondo cui autore del ritratto sarebbe Francesco Cozza, pittore stilese e consanguineo del filosofo. «Fuit [Campanella] – scrive Zavarrone – staturae procerae, optimique temperamenti; caput habebat Aesopium, peponis instar, variis segmentis distinctum, capillos hispidos, oculosque castaneos. Eius effigies, a celebri artifice Francisco Cozza concive suo et consanguineo depicta, Romae in Cajetana pinacotheca servatur». 7 Che Cozza fosse consaguineo di Campanella era già stato rilevato da Tommaso Aceti nelle sue annotazioni alla ristampa – Roma 1737 – del De antiquitate et situ Calabriae di Gabriele Barrio.

     Luigi Firpo ha scritto che il ritratto «rivela un tronco solido e un collo taurino, mentre dai lineamenti forti e dalle rughe segnate nella pelle spessa trapela un senso di rude forza contadina». 8 Osservando il quadro, Luigi Amabile – al quale va il merito di avere riscoperto il ritratto intorno al 1880 – ritenne che gli occhi di Campanella fossero tendenti al celeste, mentre sia dal dipinto sia da altre fonti (tra le quali il citato Zavarrone) risulta che gli occhi del filosofo erano di colore castano. Sempre Amabile notò, a ragione, che il ritratto mostra «capelli folti alquanto ispidi», non facilmente visibili a causa del fondo scuro del dipinto, che andrebbe senz’altro sottoposto ad adeguato restauro. È da rilevare che il ritratto è stato spesso riprodotto con una radicale riduzione della folta chioma, rasatura che accentua l’aspetto da ‘carcerato’ del personaggio effigiato.

     Se la presenza del dipinto nel palazzo Caetani è documentata dalla metà del Settecento, non è stato invece possibile rintracciare finora notizie circa il committente o altre informazioni relative all’originaria collocazione del dipinto, sempre che non sia stato sin dall’inizio in palazzo Caetani. Secondo Luigi Amabile il ritratto sarebbe stato commissionato dal cardinale Luigi Caetani (1595-1642), menzionato come «noto ammiratore del Campanella, di cui volle avere il ritratto». 9 L’ipotesi non ha del tutto convinto Firpo, il quale osserva che la notizia «merita conferma, perché non risulta da fonti documentarie che il porporato in questione si interessasse così calorosamente al Campanella». 10 Sono pertanto auspicabili più approfondite ricerche nell’Archivio Caetani e in altri archivi romani, nella speranza di rintracciare qualche notizia in inventari secenteschi o in altre fonti.

     Sul cartiglio di biacca (al centro del dipinto, in basso), che fu aggiunto in un tempo successivo, si legge: «P. Fr. Magister Thomas Campanella Calaber à Stylo / Squillacen. Dioces. Ordinis Praedicatorum, ob miram / Sapientiam in omni Scientiarum genere, portentum / naturae nuncupatus Obijt Parisijs 24 Novembris 1639 / Ætatis suae annorum 63». Evidente è l’errore riguardo alla data del trapasso del filosofo, che spirò in Parigi il 21 maggio del 1639, quindi qualche mese prima di compiere settantuno anni, essendo nato il 5 settembre del 1568. Riguardo al periodo di esecuzione del dipinto, Firpo propone gli anni 1630-1631 (specificamente, lo studioso indica il periodo che va dal settembre 1630 al settembre 1631), mentre Luigi Amabile aveva indicato un periodo più ampio: tra il 1629 e il 1634. L’indicazione del cartiglio relativa all’età di sessantatré anni è da riferirsi evidentemente all’età del personaggio raffigurato. Se si dà per certa tale indicazione, il ritratto sarebbe stato eseguito tra il settembre 1630 e il settembre 1631, come ritenuto da Firpo. Si può tuttavia avere qualche dubbio circa quanto è scritto sul cartiglio, considerando anche l’imprecisione relativa alla data della scomparsa del filosofo. Tenendo conto dell’aspetto della persona effigiata, verrebbe da pensare che il ritratto sia stato eseguito qualche anno prima, cioè non molto dopo l’arrivo di Campanella a Roma (il filosofo vi era giunto nel luglio del 1626). Tuttavia, per una diversa datazione del dipinto – ipotesi che allo stato attuale delle ricerche appare problematica per mancanza di riscontri documentali – bisogna anche tener conto dell’arrivo a Roma di Francesco Cozza, sempre che si mantenga l’attribuzione del dipinto al pittore calabrese. Nato a Stilo nel 1605, Cozza dovette giungere a Roma nel 1630 o poco prima; egli risulta attivo presso l’Accademia di San Luca dal dicembre del 1634. 11 Pertanto – ripeto: allo stato attuale delle ricerche – sembra plausibile considerare gli anni 1630-1631 come periodo in cui collocare la realizzazione del ritratto. Ritengo invece che non sia da prendere come certo il periodo settembre 1630-settembre 1631 (sulla base della data di nascita del filosofo) e non escluderei neppure un periodo precedente, per es. il 1629 come proposto da Amabile.

     Il quadro attribuito a Cozza ha un’evidente semplicità compositiva, con un’impronta che si potrebbe dire ‘popolare’. Il rude luminismo del dipinto rivela un’influenza sul pittore stilese del naturalismo e del caravaggismo meridionale; orientamento che dovette precedere l’influenza del Domenichino che caratterizzerà la successiva produzione di Cozza. Senza dubbio, il dipinto è di grande efficacia: la vivezza del tratto fa trasparire la concentrazione sia dell’artista, forse alle prime armi, sia del personaggio raffigurato, il quale è colto in un momento decisivo della sua esistenza: un sopravvissuto che riemerge pubblicamente con il suo volto dopo circa trent’anni di reclusione, mentre fino ad allora era presente sulla scena del mondo solo con i suoi scritti, senza potersi pienamente difendere. Nel volto traspare anche una traccia di diffidenza, come un animale braccato che ha raggiunto con molta fatica l’agognata libertà, e che è prudente. L’uomo ha da poco superato i sessant’anni ma nel ritratto appare più giovane, come fosse stato fisicamente ibernato dalla lunga prigionia, dall’isolamento rispetto al mondo nonostante i vari contatti epistolari e personali. Il volto esprime tensione assieme a una forte determinazione ad agire; il volto di chi è finalmente uscito dall’antro di Trofonio e sta meditando cosa fare: come organizzarsi, come difendersi. Nel suo realismo e nella sua arcaicità – una plasticità aspra ed elementare, con la visione frontale del soggetto: un’immagine fulminea come uno scatto fotografico –, il ritratto Caetani riesce a cogliere lo stato d’animo del personaggio raffigurato, una condizione psicologica che si direbbe di attesa anche se con un certo disincanto. La semplicità e la forza del quadro riescono a catturare anche l’attenzione dell’osservatore, che difficilmente dimentica l’intensità del volto raffigurato.
     È senz’altro da questo dipinto che può datarsi l’inizio dell’iconografia di Campanella: un’iconografia autorevole, essendo il ritratto dipinto dal vero, forse senza nemmeno la mediazione di un precedente disegno preparatorio. È da ritenere che il ritratto fece da modello per delle repliche, probabilmente eseguite dallo stesso Cozza, repliche o varianti che non sono state finora rintracciate. Si può qui segnalare che nell’inventario redatto in Roma il 14 gennaio 1682, tre giorni dopo la morte del pittore stilese, risulta che nella sua abitazione vi erano, tra i vari quadri, «un filosofo in tela da 4 palmi copia senza cornice» nonché i ritratti di Urbano VIII e del cardinale Antonio Barberini. 12 Non si può escludere che quella tela fosse copia del quadro ora nel palazzo Caetani, anche se in un formato più grande. 13
     Firpo ha tra l’altro osservato che «a rigore non si potrebbe neppure escludere che fosse proprio questo [il quadro nel palazzo Caetani] il ritratto già posseduto da Cassiano Dal Pozzo, del quale s’è perduta la traccia ai primi del Settecento». 14 Va sottolineato che al ritratto bene si abbina l’epigramma che fu dettato da Gabriel Naudé per il quadro di Campanella nella collezione Dal Pozzo: «thomae campanellae, alias septimontani stilensis. // Effigies miranda viri mirabilis ista est, / si modo naturae par fuit artis opus. / Nam geminas torquent oculi sub vertice tedas / et caput in septem scinditur areolas: / scilicet ingenio potuit qui vincere cunctos / diversam a cunctis possidet effigiem». 15 Si può anche ipotizzare che il ritratto posseduto da Cassiano Dal Pozzo fosse un dipinto affine a quello conservato nel palazzo Caetani. È inoltre da segnalare che lo stesso Naudé, durante il suo soggiorno a Roma, possedeva un ritratto di Campanella, forse una copia del ritratto dipinto per Dal Pozzo. Va inoltre ricordato che il dipinto Caetani è il capostipite di tutta una serie di successive versioni – incisioni, litografie, dipinti, sculture – che spesso si allontanano così nettamente dall’originale da rendere difficile riconoscere l’effettiva fonte iconografica. 16
     È infine da segnalare che di recente l’attribuzione a Francesco Cozza è stata messa in dubbio, proponendo una datazione molto più precoce del dipinto, collocandolo cioè tra il 1618-1622, quando Campanella si trovava rinchiuso nel carcere napoletano di Castel Nuovo e il pittore calabrese aveva più o meno quindici anni. 17 Ovviamente, una riconsiderazione critica della paternità del dipinto deve tener conto di vari aspetti, tra i quali – di sicuro importanti – quelli di carattere stilistico. Pertanto, non si può che auspicare un’analisi approfondita della questione anche sulla base di un confronto con altre opere dell’artista di Stilo. Mi sembra comunque abbastanza certo che se il dipinto è da attribuire a Cozza, si tratta di una delle sue prime opere.

 

Fig. 2. Dipinto a olio su tela (cm. 68 x 62), eseguito con ogni probabilità a Parigi nella seconda metà degli anni trenta del Seicento da un pittore non ancora identificato, presumibilmente della cerchia di Philippe de Champaigne. – Beauvais, Musée Départemental de l’Oise.

     Il dipinto è entrato nelle collezioni del Museo Dipartimentale dell’Oise nel 1981 (Inv. 81-38). Nel catalogo Musées de France. Répertoire des peintures italiennes du XVIIe siècle – a cura di A. Brejon de Lavergnée e N. Volle, Paris, Éditions de la Réunion des Musées Nationaux, 1988, p. 49 – il dipinto viene attribuito ad Antonio (o Antonino) Barbalonga Alberti (1600-1649). L’attribuzione non risulta tuttavia convincente. Michel Lerner ha osservato che, se venisse confermata la paternità di Barbalonga Alberti, bisognerebbe ritenere che il ritratto sia stato dipinto tra il 1631 e il 1634, periodo nel quale il pittore e il filosofo si trovavano a Roma. 18 Tale ipotesi appare poco probabile. Francesco Solinas suppone poi che il dipinto, ora a Beauvais, sia stato eseguito a Roma tra il 1629 e il 1630, «da un pittore della corte barberiniana», e nota che il ritratto è presumibilmente quello già posseduto da Cassiano Dal Pozzo. 19 Da parte mia, ritengo, invece, che il ritratto sia stato eseguito – dal vivo, come il quadro di Francesco Cozza – a Parigi qualche anno prima della morte del filosofo, tra il 1637 e il 1638; non si può escludere una data precedente, ma personalmente non mi spingerei oltre il 1636.
     La pregevole opera – di un realismo raffinato che si giova della lezione del luminismo caravaggesco e che rivela una notevole capacità di introspezione da parte dell’artista, pur nell’impostazione cortigiana della composizione – mi sembra di mano francese, inoltre, collocherei il dipinto nella cerchia di Philippe de Champaigne (1602-1674). 20
     Nel quadro di Beauvais, i lineamenti forti di Campanella, che nel dipinto di Francesco Cozza rivelano – come nota Firpo – «un senso di rude forza contadina», vengono sapientemente ingentiliti. Se nel dipinto Caetani si può cogliere un certo disincanto nel volto di Campanella, nel quadro di Beauvais egli appare del tutto disincantato. Con eleganza, l’artista sceglie un’inquadratura a tre quarti, dal lato sinistro, evitando così la non piccola verruca sulla guancia destra del filosofo (nel ritratto di Cozza si può notare una verruca pure in prossimità della narice destra). Una piccola verruca si scorge anche sulla guancia sinistra del ritratto ora a Beauvais, ma è ingentilita e si direbbe come incipriata. Il dipinto conferma che gli occhi di Campanella erano di colore castano e non tendenti al celeste, come ritenuto da Amabile. Nel quadro è da notare la resa realistica dell’arteria a forma di serpentello sulla tempia sinistra di Campanella, il quale vi accenna nei Medicinalium libri, facendo riferimento anche a un’arteria sporgente sulla sua tempia destra. 21
     Non è escluso che il quadro di Beauvais sia da identificare proprio con quel dipinto di «celebre pennello» ricercato nel 1812 da Aubin-Louis Millin a Stilo, presumibilmente sulla base di una notizia almeno in parte imprecisa, risultando infatti poco plausibile – come invece ritenuto da Millin – che Campanella abbia inviato da Parigi tale dipinto di valore, e non semmai una copia di esso, in dono al piccolo convento domenicano di Stilo. Luigi Firpo, che non conosceva il dipinto ora a Beauvais, sulla base tuttavia di quanto scritto dal marchese Vito Capialbi, aveva a ragione supposto che l’originale del ritratto eseguito a Parigi fosse «per destinazione più illustre: forse il Richelieu in persona, o il potente cancelliere Séguier, o qualche altro estimatore o protettore francese». 22
     Ho fatto riferimento, all’inizio della presente scheda, a un significativo filone iconografico, rispetto al quale la tela che si conserva nel Musée Départemental de l’Oise sembra essere il prototipo; si può ipotizzare che tale dipinto sia quello più vicino all’originale e non si può escludere che sia lo stesso originale, da cui derivano alcune repliche, con qualche variazione. Compreso il quadro di Beauvais – che ritengo sia quello pittoricamente più valido –, fino ad oggi i ritratti campanelliani conosciuti relativi a tale tradizione iconografica sono quattro, oltre a un dipinto che ancora all’inizio del Novecento si trovava nel convento dei domenicani a Kain-les-Tournai (Belgio) e che sembrerebbe oggi irreperibile. Ai quattro ritratti sono da aggiungersi due copie più tarde e di fattura nettamente inferiore, conservate entrambe in Svezia. 23
     I quattro ritratti hanno una medesima impostazione figurativa: il filosofo è raffigurato a tre quarti, con il cappuccio bianco del saio domenicano elegantemente aperto, e non abbassato come nel quadro di Cozza. Come la tela conservata in Francia, anche gli altri tre dipinti non sono firmati. Da un’analisi dei ritratti, sembra potersi affermare che essi sono stati eseguiti a distanza di qualche tempo l’uno dall’altro, probabilmente in rapporto a precise esigenze. Ho già accennato alla tela conservata a Milano nella Biblioteca di via Senato; il dipinto – che dei tre è quello che presenta più divergenze rispetto al quadro del Musée Départemental de l’Oise – è stato acquistato nel 1999 sul mercato antiquario francese, e restaurato da Matteo Rossi Doria. Va notato che il ritratto ora a Milano mostra un Campanella più invecchiato ed emaciato rispetto al quadro di Beauvais (sul dipinto, in basso, figura l’indicazione dell’anno di morte del filosofo, e probabilmente il quadro risale proprio al 1639). Un altro ritratto – olio su tela, cm. 60 x 51 – appartenente alla stessa famiglia iconografica è conservato a Pommersfelden, Baviera, in una collezione privata. 24
     A questi ritratti se n’è aggiunto recentemente un quarto – olio su tela, cm. 63,5 x 50,5 –, rintracciato da Filippo Rotundo presso una collezione privata inglese. 25 Il nuovo ritratto offre un ulteriore contributo per la ricostruzione di questo significativo capitolo dell’iconografia di Campanella, che si collega alla sua febbrile attività negli anni francesi: per promuovere e seguire la pubblicazione di una parte considerevole dei suoi scritti, mantenendo costanti rapporti non solo con la corte parigina e gli ambienti intellettuali francesi, ma anche con l’Italia.
     Come ho notato, a tale famiglia iconografica – e specificamente al quadro che Campanella avrebbe inviato al convento domenicano di Stilo – nel volume di Firpo del 1964 si accenna sulla scorta della testimonianza di Vito Capialbi, il quale ricorda che il dipinto che si trovava precedentemente nel convento di Stilo (fino al 1783) si conservava poi, sempre a Stilo, in casa Capialbi; il dipinto sarebbe andato smarrito nell’agosto 1806 a seguito di un saccheggio di briganti. Curiosamente, in una ‘vita’ di Francesco Cozza redatta da Emmanuele Paparo per la Biografia degli uomini illustri del Regno di Napoli – opera in quindici volumi pubblicata a Napoli tra il 1813 e il 1830 e alla quale collaborò Vito Capialbi – si legge che il quadro conservato a Stilo dalla famiglia Capialbi sarebbe stato una replica del ritratto di Campanella dipinto da Francesco Cozza. 26

 

Fig. 3. Incisione in rame (mm. 147 x 117) al bulino, eseguita da Balthasar Moncornet con ogni probabilità nel 1639. Si riproduce un esemplare di secondo stato dell’incisione (1658). – Paris, Bibliothèque Nationale de France.

     Sulla base della scritta che figura al piede dell’immagine e tenendo conto delle fiaccole funebri in alto a destra, Luigi Firpo ha osservato che il primo stato dell’incisione è riconducibile all’estate 1639, poco dopo la morte del filosofo. 27 Nel 1658 Moncornet ritornava sulla lastra, apportando qualche lieve modifica. Va ricordato che nella nona parte della Bibliotheca chalcographica, pubblicata nel 1654, già figurava un’incisione di Sebastian Furck che si rifaceva a quella di Moncornet. 28 L’incisione di Balthasar Moncornet (circa 1600-1668) rientra nella famiglia dei ritratti immaginari del filosofo di Stilo: ritratti mancanti di qualsiasi rassomiglianza somatica, ma che in alcuni casi esprimono lo sforzo di «ricostruire i caratteri salienti della fisionomia del Campanella: il naso forte, la bocca carnosa e volitiva, gli occhi scuri e vivaci sotto le ciglia corrugate». 29 Esemplari di primo stato dell’incisione si conservano nella Bibliothèque Municipale di Lille e nella Bibliothèque Nationale de France, Paris (un esemplare è anche in mio possesso). Esemplari di secondo stato si conservano nella Bibliothèque Nationale de France e nella Civica Raccolta Bertarelli di Milano.

 

Fig. 4. Incisione in rame (mm. 188 x 138) al bulino, eseguita da Nicolas de Larmessin probabilmente negli anni cinquanta del Seicento (prima del 1672). Il ritratto accompagna la biografia di Campanella in i. bullart, Académie des sciences et des arts, Bruxelles [l’opera fu stampata in realtà ad Amsterdam dagli eredi di D. Elzevier] 1682, 2 voll.: ii, pp. 125-128; il ritratto si trova a p. 125. – Paris, Bibliothèque Nationale de France.

     All’inizio del presente contributo, ho osservato che in merito all’incisione di Nicolas de Larmessin va fatta una precisazione: non si può infatti considerare tale incisione come un ritratto di fantasia, basandosi l’incisione su un disegno che ha una certa credibilità fisionomica, anche se confrontato con il ritratto di Francesco Cozza. 30 Firpo avanza alcune ipotesi sulla provenienza del disegno: per es., che possa basarsi sul ritratto posseduto da Cassiano Dal Pozzo, o anche che possa trattarsi di uno schizzo dal vero. Nel contributo sopra citato, ho ipotizzato che autore del disegno possa essere lo stesso Cozza il quale, qualche decennio dopo l’esecuzione del ritratto Caetani e su richiesta di Isaac Bullart o di un mediatore, avrebbe realizzato lo schizzo con alcune varianti rispetto al dipinto, basandosi su ricordi personali e forse con l’intento di rendere un po’ più anziano il personaggio raffigurato. L’incisione di Nicolas de Larmessin (nato prima del 1640 e morto nel 1694) è, come ha notato Firpo, una «abile trascrizione rovesciata, un tantino calligrafica», del disegno procurato da Isaac Bullart. La grandezza del rame avrebbe «costretto l’incisore a supplire verso il basso una larga porzione del busto del suo personaggio, ammantandolo di scuro con un drappeggio sommario che accentua il carattere massiccio della figura». 31 La ‘trascrizione rovesciata’ dell’incisione di Nicolas de Larmessin è forse casuale, ma sembra stabilire un ponte con quel filone iconografico di cui si è detto a partire dal ritratto ora al Musée Départemental de l’Oise, 32 e non si può escludere che l’incisore parigino abbia avuto modo di conoscere uno dei dipinti di tale famiglia iconografica.

1 L. Firpo, L’iconografia di Tommaso Campanella, Firenze, 1964.

2 Il contributo – L’iconografia campanelliana – è ristampato in R. De Mattei, Studi Campanelliani, Firenze, 1934, pp. 103-112.

3 Riguardo all’iconografia vedi in particolare L. Amabile, Fra Tommaso Campanella ne’ castelli di Napoli, in Roma e in Parigi, Napoli, Morano, 1887, 2 voll.: II, pp. 160-161.

4 Cfr. la scheda n. 3 in L. Firpo, L’iconografia di Tommaso Campanella, cit., pp. 23-24.

5 Tommaso Campanella. L’iconografia, le opere e la fortuna della Città del Sole, a cura di E. Canone e G. Ernst, Milano, 2001 (con contributi di L. Guerrini, M. Palumbo e di altri).

6 Nel fascicolo figurano contributi di G. Ernst, M.-P. Lerner, F. Solinas, E. Canone, M. Lorandi.

7 A. Zavarrone, Bibliotheca Calabra, Neapoli, 1753, p. 129.

8 L. Firpo, op. cit., p. 10.

9 L. Amabile, Fra Tommaso Campanella ne’ castelli di Napoli, in Roma e in Parigi, cit., vol. I, p. 217, nota; vol. II, p. 160, nota.

10 L. Firpo, op. cit., p. 16.

11 Per alcune indicazioni, cfr. L. Cunsolo, Francesco Cozza pittore ed acquafortista, Cosenza, 1966 (purtroppo il volume è alquanto farraginoso).

12 Vedi L. Cunsolo, op. cit., p. 297.

13 Riguardo al formato del ritratto Caetani, va notato che probabilmente la tela è stata tagliata in basso, se si tiene conto dell’incisione raffigurante Campanella – incisione che sembra basarsi sul ritratto Caetani o su una sua replica – inserita in L. Crasso, Elogii d’huomini letterati, Venezia, 1666, 2 voll.: II, p. 243 (L. Firpo, op. cit., scheda n. 8). Cfr. Fig. 1/b: incisione in rame (mm. 116 x 91) all’acquaforte, non firmata. Il ritratto accompagna l’elogio di Campanella. Il ritratto ebbe una notevole fortuna, anche perché gli Elogii di Lorenzo Crasso erano molto diffusi. All’incisione si accompagna il seguente epigramma del domenicano Giovan Benedetto Perazzo: «in effigiem p. thomae campanellae / Exprimit elatae sat nomen abyssum, / exprimit agnomen famae et ubique sonum. / Multiplici partum portendit codice plausum, / quam cupide eximii cernis imago viri. / Numinis osores perdit, fidusque revelat / abdita quaeve polo, condita quaeve solo. / Calluit ingenio cunctas omniscius artes: / fuit Cous medicis et est Apollo cignis».

14 L. Firpo, op. cit., p. 17.

15 Epigrammata in virorum literatorum imagines, quas illustrissimus eques Cassianus a Puteo sua in bibliotheca dedicavit, Romae, 1641, p. 13 (vedi ora l’edizione: G. Naudé, Epigrammi per i ritratti della biblioteca di Cassiano dal Pozzo, a cura di E. Canone e G. Ernst, trad. it. del testo di G. Lucchesini, Pisa-Roma, 2009, pp. 38-39.

16 Vedi Fig. 1/c: disegno litografico (mm. 138 x 130), firmato «Cater. Piotti-Pirola sculp.». Il ritratto fu edito la prima volta in: Iconografia italiana degli uomini e delle donne celebri dall’epoca del risorgimento delle scienze e delle arti fino ai nostri giorni, vol. II, Milano 1836, classe II, n. 6. Il disegno eseguito da Caterina Piotti-Pirola (preso a modello di numerosi successivi ritratti) si richiama all’incisione pubblicata negli Elogii di Lorenzo Crasso. Nell’Ottocento, il ritratto litografico della Piotti-Pirola fu riprodotto (probabilmente utilizzando la stessa pietra) nel 1854 e nel 1856. Cfr. Fig. 1/d: Litografia (mm. 117 x 86), anonima; pubblicata in L. Amabile, Fra Tommaso Campanella, la sua congiura, i suoi processi e la sua pazzia, Napoli, Morano, 1882, 3 voll. (la litografia – impressa nello stabilimento litografico Pagnetta di Napoli – figura di contro al frontespizio del vol. I). Come indicato in calce al ritratto, il disegno si baserebbe sul dipinto di Cozza, tuttavia con un risultato infedele rispetto al modello. È da ricordare che, qualche anno dopo, lo stesso Amabile commissionò un busto in bronzo di Campanella allo scultore leccese Francesco De Matteis, il quale – basandosi sulla litografia pubblicata nel 1882 – realizzò un ritratto del tutto immaginario del filosofo (vedi Fig. 1/e).

17 Cfr. F. Solinas, Il frate sul cavalletto, «l’Erasmo», I, 2001, 1, p. 45.

18 M.-P. Lerner, Campanella in pittura, ivi, p. 51; cfr. anche p. 46.

19 Cfr. F. Solinas, art. cit., pp. 44-45.

20 Solinas indica la bottega dello Champaigne per il ritratto di Campanella – Fig. 2/b: olio su tela, cm 58 x 48 – che si conserva ora a Milano, nella Biblioteca di via Senato (F. Solinas, art. cit., p. 42; cfr. E. Canone, L’iconografia campanelliana tra realtà e fantasia, in Tommaso Campanella. L’iconografia, le opere e la fortuna della Città del Sole, cit., p. 13, nota 21, e p. 16). Ritengo che il ritratto della Biblioteca di via Senato non sia un ‘originale’ (come ritiene Solinas), ma una replica più tarda – pur con variazioni – del quadro conservato nel Musée Départemental de l’Oise o di un dipinto affine. Nel contributo citato ipotizzo che il dipinto ora a Milano sia stato originariamente commissionato dai confratelli del convento domenicano in rue St. Honoré, in cui Campanella alloggiava dal suo arrivo a Parigi nel dicembre del 1634.

21 Th. Campanella, Medicinalium, iuxta propria principia, libri septem, Lugduni, 1635, pp. 152-153 e 160; cfr. L. Firpo, op. cit., p. 12.

22 L. Firpo, op. cit., p. 24; la notizia relativa a Millin è riportata da Vito Capialbi – che accompagnò il dotto antiquario parigino durante il suo viaggio in Calabria – nella sua raccolta di Documenti inediti circa la voluta ribellione di F. Tommaso Campanella, Napoli, 1845, p. 5.

23 Cfr. M.-P. Lerner, Campanella in pittura, cit., pp. 47; 50 e p. 51, note 3; 6-7.

24 Il dipinto è segnalato in A. Blunt, Nicolas Poussin, Londra-New York, 1967, 2 voll.: I, p. 329, fig. 259; vedi M.-P. Lerner, art. cit., pp. 47, 50 e la riproduzione in b/n a p. 48. Non è stato finora possibile esaminare direttamente il dipinto, ma dalla foto sembra anch’esso di buona fattura; sarebbe ovviamente importante un confronto ravvicinato con la tela ora a Beauvais.

25 Vedi Fig. 2/c: il dipinto è molto affine a quello pubblicato nel 1967 da Anthony Blunt. Grazie alla collaborazione dell’amico Rotundo e di Carlo Beccarini, responsabili della raffinata libreria antiquaria «Philobiblon», ho potuto presentare il ritratto nel corso del convegno promosso dalla Fondazione Camillo Caetani (Roma, 19-20 ottobre 2006).

26 Vedi L. Cunsolo, op. cit., p. 158, che non dà però indicazioni bibliografiche perspicue.

27 Cfr. L. Firpo, op. cit., scheda n. 5, pp. 28-29; a p. 26 è riprodotto un esemplare di primo stato dell’incisione.

28 Nel ritratto eseguito da Furck – che fu riprodotto, con lievi ritocchi, anche nel 1669 (vedi Fig. 3/b) – il profilo di Campanella è rovesciato rispetto all’incisione di Moncornet. Cfr. L. Firpo, op. cit., scheda n. 7, pp. 33-39; vedi anche scheda n. 11, pp. 52-53, per una successiva versione del ritratto, eseguita da un incisore ignoto.

29 L. Firpo, op. cit., p. 25.

30 Vedi Fig. 4/b. Il prezioso disegno al carboncino (mm 143 x 135) si conserva nella Bibliothèque Municipale di Lille e fu rintracciato da Luigi Firpo che per primo lo pubblicò. Il disegno, non firmato, fu incollato successivamente sulla c. 349r del codice 690 della Biblioteca – precedentemente segnato 463 – che era appartenuto a Isaac Bullart e a suo figlio Jacques-Ignace. Cfr. L. Firpo, op. cit., schede nn. 9-10, pp. 43-51; E. Canone, L’iconografia campanelliana tra realtà e fantasia, cit., pp. 17-18 e tavv. vi-vii.

31 L. Firpo, op. cit., p. 44.

32 Vedi supra, Fig. 2.

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