Tommaso Campanella, Lettere, n. 117
A PAPA URBANO VIII IN ROMA
Parigi, 23 aprile 1635
Santissimo Padre,
mando l’inclusi Aforismi dati in secreto al Cardinale, perché intenda
come
procede il vostro servo per ben di tutti, e praecipue di Vostra Beatitudine,
in cui solo
trovai vero senno e vero amore. Le dicerie che scrisse il Padre
generale a questi signori contra me per mezzo d’un suo
spione spagnolizzato
e confettato da lui, e quel che fa scriver a Roma, che non ho credito, lo
scrivo minutamente al
signor Conte, perché lo mostri a Vostra Beatitudine,
e sappia che non si può creder quanto son onorato da principi e da
letterati,
e in ogni scienza. E chi scrive il contrario spagnolizza e rodolfizza. E già tutti
prìncipi, Monsù, Cricchì,
il Cardinal Duca, il Padre Gioseffo e ’l Capitan
della guardia in presenza del Mazarini han parlato di quel che scrive il
Generale
col suo vituperio e mia lode.
Questi suoi salariati spioni son caduti e tutti Padri scriven a Vostra Beatitudine
contra lui. Dio gli perdoni. Non vedo
altro ch’ateismo. Mi dispiace
solo del disgusto di Vostra Beatitudine; ma presto goderà li frutti di tanta
pazienza. Il
Re, la Corte, i capitani per diverse parti son partiti. Da’ Nunci
lo saprà. Non dirò altro. Prego ogni mattina per Vostra
Beatitudine e per il
Cristianissimo Re nelle collette. E aspetto la grazia di stampar i suoi poemi
e libri miei col
giudizio della Sorbona.
E li bacio i santi piedi con tutto l’animo.
Parigi, 23 aprile 1635.
Gli Aforismi son poi migliorati: questo è il primo schizzo. Vostra Beatitudine
veda
solo ecc. Qua si può quel che non in Roma.
Roma, in sua man propria.