Tommaso Campanella, Monarchia di Francia, p. 456

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26 anni, e poi uscì con miracolosi modi, e sempre da lor perseguitato.
Né si trova chi abbia fatto ben di momento a Spagnoli che non sia da
lor maltrattato, al meno. E quando pur premiano alcuno, li donano
per gran cosa un grandato, un tosone, una croce e simil albagie che si
pintarebben meglio in un tambuto di morti che in petto d’uomo. E
questo è il guadagno di chi spende per loro la robba e la vita, aver un
pecorozzo in petto.
Siegue l’avarizia rapacissima, come sopra s’è detto, che non lascia
né la robba né il sangue a popoIi, che non loro tolgano: che sempre
aggiongono gabelle a gabelle, o con la soldatesca e alloggiamenti
distruggono i vassalli. E perché non son sufficienti a pagar i pagamenti
fiscali, li tolgono le case, li poderi, li campi, tanto che son ridutti tutti
populi a servir nel colto della terra sol per un pezzo di pane a quelli
che s’offreno al Re esigger i pagamenti fiscali. E donano i tributi
quando il Re vuole, e per premio riceveno in preda i suoi vassalli. La
doana di Foggia in Puglia sia per supremo esempio, dove il Re piglia
i campi di tutti vassalli, e li vende per pascoli a pastori di Apruzzo. I
quali pagano per le pecore reali che hanno o per le aeree (dicono), che
essi non hanno, ma si fingon avere, perché al Re venga l’emolumento
prefisso, tal che paga per 1.500 chi ha solo 100, e poi rivende li
medesmi campi a padroni tanto a versura, e vuol <esser> pagato, perché
l’ha fatto impinguare dello sterco delle pecore di quelli a quali l’ha
venduti per pascoli.
Giustizia non ci è per chi non ha denari, e chi n’ha impune fa ogni
sceleraggine. Item, ogni colpa è tirata ad crimen laesae maiestatis, e non
si può parlar d’officiali né di giustizia, né lamentarsi, perché s’intra in
lesa maestà. E non ci è peggio a un regno, se non quando l’accusi

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