Tommaso Campanella, Scelta d'alcune poesie filosofiche, n. 74

Precedente Successiva

74
madrigale 5


Solevo io dir fra me dubbiando: - Come
d'erbe e di bruti uccisi per mia cena
non curo il mal, né a' supplicanti vermi
dentro a me nati do favor, ma pena;
anzi il sol padre e terra madre il nome
struggon de' figli e i lor composti infermi;
così Dio non sol pare che s'affermi
che del mal nostro pietade nol punga,
ma ch'egli sembri il tutto; onde ne goda
trarci di vita in vita con sua loda,
che fuor del cerchio suo mai non si giunga. -
O pur, che in Dio fosse divario dolce,
dissi ragion men soda,
come in Vertunno è, che 'l nostro soffolce.

Commento dell'Autore

Dice ch'e' solea immaginarsi che Dio fa come noi a' vermi nati dentro il corpo nostro; che gli uccidiamo e non sentiamo i prieghi loro; o come il sole e la terra uccidono gli secondi enti da lor generati. E che Dio sia il tutto, e gode che dentro a lui si mutino senza annullarsi le cose, ma passano sempre in vario essere vitale ecc. O che Dio pure si mutasse, ma con dolcezza, come si favoleggia di Vertunno e Proteo, e che dal suo mutamento dolce nasce il nostro mutamento; e così l'affanno per conseguenza a noi, sendo noi parti, e non il tutto.

Precedente Successiva

Schede storico-bibliografiche