Tommaso Campanella, Scelta d'alcune poesie filosofiche, n. 74

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madrigale 8


Sì come il ferro, di natura impuro,
sempre s'arruggia e 'l fabbro invita all'opra,
così le cose, dal niente nate,
tornan sempre al niente; e Dio sta sopra,
ché non s'annullin, ma di quel che fûro
in altro essere e vita sien recate.

S'e' fregia nostra colpa e nullitate,
Dio ringraziar debbiam, non lamentarci;
ed io, vie più che gli altri, che son meno,
onde di guai mi truovo sempre pieno.
Ma, se de' panni lini(a) i vecchi squarci
carta facciam, che noi di morte rape
d'eternitade al seno,
che fia di me, se Dio di noi più sape?

Commento dell'Autore

Séguita a mostrare che Dio si serve della nostra mutazione e nientità a mostrare altre ricchezze d'essere; e che non possiamo lamentarci di lui se siamo travagliati e muoiamo, perché questo viene dal nostro non essere, non dal suo essere. E poi dice che, sendo egli partecipe di molto niente, come gli guai mostrano, non deve lagnarsi. Alfine si conforta che, se de' stracciati panni si fa da noi carta per scrivere ed eternarsi in scrittura, tanto più Dio de' suoi maltrattamenti e stracciato corpo potrà fare cosa immortale, e glorificarlo in fama ed in vita celeste ecc., perché sarebbe sciocco, non sapendosi servire del male in bene più che noi ecc.

Note di GLP

(a) Si ripristina l'originale (Scelta 1622, 85) rispetto all'edizione Firpo che, seguito anche dagli editori più recenti, reca: pannilini (Scritti letterari, 158).

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