Tommaso Campanella, Scelta d'alcune poesie filosofiche, n. 2

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A' poeti


In superbia il valor, la santitate
passò in ipocrisia, le gentilezze
in cerimonie, e 'l senno in sottigliezze,
l'amor in zelo, e 'n liscio la beltate,
mercé vostra, poeti, che cantate
finti eroi, infami ardor, bugie e sciocchezze,
non le virtù, gli arcani e le grandezze
di Dio, come facea la prisca etate.

Son più stupende di Natura l'opre
che 'l finger vostro, e più dolci a cantarsi,
onde ogni inganno e verità si scuopre.

Quella favola sol dèe approvarsi,
che di menzogne l'istoria non cuopre
e fa le genti contra i vizi armarsi.

Commento dell'Autore

Come scrisse l'autore nella sua Poetica, i poeti moderni hanno con le bugie perniciose contrafatto le virtù, ed ornato i vizi colla veste di quelle. E grida lor contro, che tornino al prisco poetare. E perché pensano che le favole sono degne di cantarsi per l'ammirazione, dice che più mirabili sono l'opere di Natura. E qui condanna Aristotile, che fece la favola essenziale al poeta: poiché questa si deve fingere solo dove si teme dir il vero per conto de' tiranni, come Natan parlò in favola a David; o, a chi non vuol sapere il vero, si propone con gusto di favole burlesche o mirabili; o a chi non può capirlo, si parla con parabole grosse, come Esopo e Socrate usâro, e più il santo Vangelo. Talché l'autore lauda quella favola solo che non falsifica l'istoria, come è quella di Dido in Virgilio bruttissima; ed ammonisce la gente contra i vizi proprii o strani, e l'accende alla virtù. Laonde questo ultimo verso dicea nel primo esemplare: «E fa le genti di virtù infiammarsi».

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