Tommaso Campanella, Scelta d'alcune poesie filosofiche, n. 83

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83
Della possanza dell'uomo


Gloria a colui che 'l tutto sape e puote!
O arte mia, nipote - al Primo Senno,
fa' qualche cenno - di su' immagin bella,
ch'uomo s'appella.

Uomo s'appella chi di fango nacque,
senza ingegno soggiacque, - inerme, ignudo:
patrigno crudo - a lui parve il Primo Ente,
d'altri parente.1

D'altri parente, a' cui nati die' forza
bastante, industria, scorza, - pelo e squame.
Vincon la fame, - han corso, artiglio e corno
contra ogni scorno.

Ma ad ogni scorno l'uomo cede e plora;
del suo saper vien l'ora - troppo tarda;
ma sì gagliarda, - che del basso mondo
par dio secondo.2

E, dio secondo, miracol del primo,
egli comanda all'imo, - e 'n ciel sormonta
senz'ali, e conta - i suoi moti e misure
e le nature.3

Sa le nature delle stelle e 'l nome,
perch'altra ha le chiome - ed altra è calva;
chi strugge o salva - e pur quando l'eclisse
a lor venisse,4
quando venisse all'aria, all'acqua, all'humo.
Il vento e 'l mar ha domo, - e 'l terren globbo
con legno gobbo - accerchia, vince e vede,
merca e fa prede.

Merca e fa prede; a lui poca è una terra.

Tuona, qual Giove, in guerra - un nato inerme;
porta sue inferme - membra e sottogiace
cavallo audace.

Cavallo audace e possente elefante;
piega il leon innante - a lui il ginocchio;
già tirò il cocchio - del roman guerriero:
ardir ben fiero!
Ogni ardir fiero ed ogni astuzia abbatte,
con lor s'orna e combatte, - s'arma e corre.5

Giardino, torre - e gran città compone
e leggi pone.
Ei leggi pone, come un dio. Egli astuto
ha dato al cuoio muto - ed alle carte
di parlar arte; - e che i tempi distingua
dà al rame lingua.6

Dà al rame lingua, perch'ha divina alma.
La scimia e l'orso han palma, - e non sì industre,
che 'l fuoco illustre - maneggiasse; ei solo
si alzò a tal volo.7

S'alzò a tal volo, e dal pianeta il tolse;
con questo i monti sciolse, - ammazza il ferro,
accende un cerro, - e se ne scalda, e cuoce
vivanda atroce;8
vivanda atroce d'animai che guasta.

Latte ed acqua non basta, - ogn'erba e seme
per lui; ma preme - l'uve e ne fa vino,
liquor divino.

Liquor divino, che gli animi allegra.

Con sale ed oglio intègra - il cibo, e sana.

Fa alla sua tana - giorno quando è notte:
oh, leggi rotte!
Oh, leggi rotte! ch'un sol verme sia
re, epilogo, armonia, - fin d'ogni cosa.

O virtù ascosa, - di tua gloria propia(a)
pur gli fai copia.

Pur gli fai copia, se altri avviva il morto;
passa altri, e non è assorto, - l'Eritreo:
canta Eliseo - il futuro; Elia sen vola
alla tua scuola:
alla tua scuola Paolo ascende, e truova
con manifesta pruova - Cristo a destra
della maestra - Potestade immensa.9

Pensa, uomo, pensa!
Pensa, uomo, pensa; giubila ed esalta
la Prima Cagion alta; - quella osserva,
perch'a te serva - ogn'altra sua fattura,
seco ti unisca gentil fede pura,
e 'l tuo canto del lor vada in più altura.10

Commento dell'Autore

1 L'uomo, fatto ad immagine di Dio, nasce senza senno e senza forza e senza vesti e senza arme, le quali son concedute alle bestie dalla natura. Dunque, par figliastro di Dio; e gli altri, figli

2 Ma poi, quando mette senno, diventa dio del mondo.

3 E mostra la sua divinità in comandar a tutte cose terrene e marine, e di più ascendere in cielo con la matematica, e saper le nature e moti e misure delle cose celesti.

4 La divinatoria è segno della divinità umana.

5 L'uomo vince l'astuzia e la forza degli animali solo col senno.

6 Il far parlare le carte, scrivendo, e gli orologi fu pur segno d'ingegno divino.

7 Dice che l'uomo non facci ciò per la mano ch' e' ha, ma per lo senno; poiché le scimie ed orsi hanno mano, e pure non trattano il fuoco. E questa arte è propria del senno solo, per segno che l'uomo non ha l'anima dal fuoco, ma più divina.

8 Mangiar carne è pasto fiero, disse Pitagora.

9 Fare miracoli è proprio di Dio; e pure ciò ha concesso all'uomo; e così l'andare in Cielo.

10 Finalmente dice all'uomo che conosca la propria nobiltà, e che s'unisca a Dio, se vuole essere signore di tutte le cose create, sendo amico d'esso vero Signore. E però dobbiamo lodarlo più che le altre creature, perché siamo di loro più nobili ecc.

Note di GLP

(a) L'originale reca: propria (Scelta 1622, 113).

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