Tommaso Campanella, Scelta d'alcune poesie filosofiche, n. 28

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madrigale 9


Però, dovunque Amor del suo ben scorge
segnale alcun, che Bellezza appelliamo,
pria che lasci pensar s'ivi s'asconda
il ben che 'l serva, accorre; e qui pecchiamo,
ché fuor di tempo e luogo, o più o men porge
l'idea vitale, o in terra non feconda;
dove pur, preparata al gran fin, gioia
sentendo, in più error grande si profonda,
ch'ella d'Amor sia oggetto e fin sovrano,
non saggio e ésca e mezzano
del viver sempre. Ah insano
pensier, che ogni viltà produce e noia!
Né cieca legge smorza tanta foia,
ma il gran Saper, d'Amor viste ir l'antenne
al non morir: il che fra noi mancando,
all'alto volo gli veste le penne
d'eternità, ch'andiam quaggiù cercando.

Commento dell'Autore

Come Amor, seguendo la bellezza, segnale del bene che ci conserva, senza far giudicio del male in quello nascosto tra 'l bene caduco, corre a quello; e qui si pecca, perché si getta il seme fuor di tempo, o di luogo, o del vaso in cui si fa la generazione. E, perché si sente pur gioia, che la Natura prepose a questo atto per ésca, viene a cader in error più grande, perché stima esser fin d'Amore la bellezza, la quale è mezzo, saggio ed ésca al vero fine, che è il bene della conservazione. Né può la legge umana dissuadergli questo gusto vano senza frutto di prole, che ci immortala. Ma il Senno, vedendo che Amor tende all'immortalità, ci china l'ale poi per arrivar ad eternarsi in un altro modo e con verità, la quale in queste ombre del viver per successione noi andiamo cercando.

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