Tommaso Campanella, Scelta d'alcune poesie filosofiche, n. 5

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Anima immortale


Di cervel dentro un pugno io sto, e divoro (a)
tanto, che quanti libri tiene il mondo
non saziâr l'appetito mio profondo:
quanto ho mangiato, e del digiun pur moro.(b)

D'un gran mondo Aristarco, e Metrodoro
di più cibommi, e più di fame abbondo;
disiando e sentendo, giro in tondo;
e quanto intendo più, tanto più ignoro.

Dunque immagin sono io del Padre immenso,
che gli enti, come il mar li pesci, cinge,
e sol è oggetto dell'amante senso;
cui il sillogismo è stral, che al segno attinge;
l'autorità è man d'altri; donde penso
sol certo e lieto chi s'illuia e incinge.

Commento dell'Autore

In questo sonetto parla l'anima, e riconosce se stessa immortale ed infinita, per non saziarsi mai di sapere e volere. Onde conosce non dalli elementi, ma da Dio infinito essa procedere; a cui s'arriva col sillogismo, come per strale allo scopo, perché dal simile effetto alla causa si va lontanamente; s'arriva con l'autorità, come per mano d'altri si tocca un oggetto, ancora che questo sapere sia lontano e di poco gusto. Ma solo chi s'illuia, cioè chi si fa lui, cioè Dio, e chi s'incinge, cioè s'impregna di Dio, vien certo della divinità e lieto conoscitore e beato: perché è penetrante e penetrato da quella. «Illuiare» e «incingersi» son vocaboli di Dante, mirabili a questo proposito.

Note di GLP

(a) Correzone autografa di: Dentro un pugno di cervel sto, e divoro (Scelta 1622, 6).

(b) Si ripristina l'originale (Scelta 1622, 6), laddove Firpo rivede: quanto ho mangiato! e del digiun pur moro. (Scritti letterari, 17).

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