Tommaso Campanella, Scelta d'alcune poesie filosofiche, n. 29

Precedente Successiva

29
madrigale 2


Bellezza dunque è l'evidente segno
del bene, o proprio all'ente in cui risiede,
o di ben ch'indi può avvenire a cui
par bello, o d'ambi; e d'altri può far fede.

Ecco, la luce del celeste regno,
beltà semplice e viva, mostra a nui
gran valor, che ci avviva e giova a tanti:
sol brutta all'ombra, bel degli enti bui.

Di serpi e draghi il fischio e la bravura
e la varia pittura
a noi ci fan paura,
gli rendon brutti, e tra lor belli e santi.

L'umiltà di cavalli e di elefanti,
segnal di servitù e di poco ardire,
fa brutta a loro, ma a noi bella vista
del poter nostro e ben di lor servire.

L'altrui virtù al tiranno è brutta e trista.

Commento dell'Autore

Che bellezza sia segno del bene che sta dentro il bello, o del bene ch'ad altri può recare, o di tutta e due, come quella della luce; o del bene strano, come la ferita è segno del valor del feritore. E però questa bellezza non è se non rispettiva, come le serpi sono belle alle serpi, a noi brutte; e gli cavalli mansueti a sé fanno male, perché si rendono nostri schiavi, ed a loro debbono esser brutti, ma a noi belli per lo bene ed utile, che ne caviamo, e perché conoschiamo il nostro valor sopra loro. E così al tiranno par brutta la virtù altrui, in quanto è segno della propria rovina; ché gli virtuosi s'oppongono a loro, non gli viziosi; ma questi lor paion belli, perché gli conservano in dominio. Sol brutta all'ombra: la luce par bella a' nostri spiriti, che sono di natura lucidi, ma alla terra par brutta ed alle tenebre, le quali sono bellezza alla terra ed alle cose buie, cioè oscure.

Precedente Successiva

Schede storico-bibliografiche