Tommaso Campanella, Scelta d'alcune poesie filosofiche, n. 29

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madrigale 3


Bella ogni cosa è dove serve e quando,
e brutta dov'è inutile o mal serve,
e più s'annoia; e pur l'altrui bruttezze
bello è vedere, e guerra in mar che ferve,
perché tua sorte o virtù vai notando,
impàri a spese altrui mire prodezze.

Brutto è, s'augura a noi male o rimembra,
vedere infermi, povertà ed asprezze.

Il bianco, che del nero è ognor più bello,
più brutto è nel capello,
ché addita testé avello;
pur bello appar, se prudenza rassembra.

Belle in Socrate son le strane membra,
note d'ingegno nuovo; ma in Aglauro
sarìan laide. E negli occhi il color giallo,
di morbo indicio, è brutto; e bel nell'auro,
ch'ivi dinota finezza e non fallo.

Commento dell'Autore

Mostra le maniere della bellezza in tutte cose per sé o per altri; e come ella stessa è brutta o bella, secondo è segno di bene o di male, a chi però è segno: onde veder guerre in terra e naufragi in mare è bello, perché rappresenta il mal di cui noi siamo esenti; e non aver male è bene; e pur mostra la virtù di travaglianti, ed a noi la nostra fortuna buona. Onde [a] veder gli mali de' nemici ci paion belli più; e quel che ci ricorda il nostro male è brutto, come il veder infermità, povertà, ecc. La bianchezza è bella per sé; ma perché ci ricorda ne' capegli la vecchiaia e la morte, è brutta; ma non, se ci mostra la prudenza del vecchio. Però le brutte membra di Socrate e di filosofi paion belle a chi considera quelle come segnali di stravagante ingegno; ed in una ninfa sarebbono brutte. Così il colore giallo nell'oro è bello e nell'occhio è brutto, perché qui morbo, là finezza dinota.

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