Tommaso Campanella, Scelta d'alcune poesie filosofiche, n. 30

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madrigale 6


Ricchezze, sangue, onor, figli e vassalli
per ben dà il Fato; e pur rovina a molti
son al nome, alla patria ed al composto;
e fan gli animi ansiosi, vili e stolti.

Del corpo i ben, che 'l ciel per meglio dàlli,
sanità, robustezza e beltà, tosto
si perdon anche, o perdon chi l'abusa,
quando il ben grande al piccolo è posposto.

Fra tutti beni le virtù dell'alma
ottengono la palma;
onde in corso ed in calma
regge gli altri, e di mal mai non si accusa.

D'esser virtute ogni potenza è esclusa
senza il senno, di lor guida e misura;
né il suo senno tien l'ente che ha l'idea,
specifica bontà, in più e manco impura;
onde è a sé malo e strutto, e non si bea.

Commento dell'Autore

Propone che gli beni di fortuna spesso sono mali, e struggono invece di conservare; ma quegli del corpo sono migliori, ma pure sono soggetti all'abuso. Quegli dell'anima sono ottimi, ché reggon gli altri e non sono soggetti ad abuso. Poi dice che la virtù non solo è facoltà, ma senno insieme; ed altrove dice senno ed amore, perché far bene senza volerlo fare, non è atto di virtù. Poi dice: quello ente che ha la natura impura, più o men della sua idea declinante, non ha il suo senno vero, e per sé è strutto ed inetto a conservarsi bene; il che chiama «bearsi». Ed altrove disse, che col senso della legge si bea chi ha il suo impuro.

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