Tommaso Campanella, Scelta d'alcune poesie filosofiche, n. 31

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madrigale 8


Ma noi, finiti, anzi in prigion, prendiamo
di fuor, da chi ci batte le pareti,
ov'entra per vie strette, il saper corto
e falso, onde voi, falsi amor, nasceti.

Quinci aer, terra e sol morti stimiamo,
chi han libero il sentir, non, qual noi, morto;
e però amiam chi in carcere ci serba,
e chi ci rende al cielo odiamo a torto.

Burle, onde 'l Fato i nostri e i solar fuochi
ritiene in stretti luochi,
quanto è uopo a' suoi giuochi.

Mai non si muore. Godi, alma superba!
L'obblio d'antica ti fa sempr'acerba.

Oh, felice colui, che sciolto e puro
senso ha, per giudicar di tutte vite!
Che, unito a Dio, per tutto va sicuro,
senza temer di morte, né di Dite.

Commento dell'Autore

Altamente séguita a dar la differenza tra noi e Dio, dicendo che noi siamo finiti e non infiniti, carcerati nel corpo e non liberi: però, non come Dio da sé, ma prendiamo il sapere dalle cose che battono le mura del nostro carcere, ove ci entra per stretta via de' sensi. Tutte le mura sono il tatto; gli altri sensi sono forami. E che di questo saper corto e falso nasce amor corto di cose poco buone, e falso ancora, ed un giudicio, che non abbia sapere chi non sta carcerato come noi; onde stimiamo insensati il cielo e la terra. E questo è una burla, che ci fa il Fato, perché non vogliamo morire fin quando pare a lui per ben del tutto. Poi parla all'anima superba, che sta lieta che non si muore; e pone la felicità in chi sa giudicare tutte le vite, ed a Dio s'unisce, e seco tutto vede, può ed ama, e s'assicura dalla morte e dall'inferno, accostatosi al'immortale Sommo Bene.

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