Tommaso Campanella, Scelta d'alcune poesie filosofiche, n. 37

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37
D'Italia

sonetto


La gran donna, ch'a Cesare comparse
sul Rubicon, temendo a sé rovina
dall'introdotta gente pellegrina,
onde 'l suo imperio pria crescer apparse,
sta con le membra sue lacere e sparse
e co' crin mozzi, in servitù meschina.

Né già si vede per l'onor di Dina
Simeone o Levi più vergognarse.

Or, se Gierusalemme a Nazarette
non ricorre, o ad Atene, ove ragione,
o celeste o terrestre, prima stette,
non fiorirà chi 'l primo onor le done;
ché ogni Erode è straniero, e mal promette
serbar il seme della redenzione.

Commento dell'Autore

Questo sonetto è fatto perché l'intendano pochi; né io voglio dichiararlo. L'istoria di questa donna, che comparse a Cesare in visione, passando il Rubicon, fiume di Cesena, per venir contra il senato, è Italia col capo suo, Roma. L'istoria di Dina sverginata da Sichem e vendicata da Simeon e Levi, figliuoli di Giacob, che dinotano il sacerdozio e 'l popular dominio, sta nel Genesi, ed oggi ecc. «Gierusalem» vuol dire vision di pace, e Roma è suo figurato. «Nazaret» vuoi dir fiore, e «Atene» similmente. Qui legit intelligat. Vide Dante, in Paradiso, canto IX. Erode, perché finse serbar il seme ecc.

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