Tommaso Campanella, Dialogo contro Luterani, p. 103

Precedente Successiva


Giac. Dico adunque che ci è differenza grande
fra la chiesa romana e li settarii, perchè ho letto
ne’ teologi (i quali comentano la sacra scrittura,
se ben mi ricordo, perchè io la leggevo più tosto
per conformare la nostra filosofia a lei, che per
venire a disputa tale), che Iddio vuole tutti salvi
e che venne a morire per tutti, e che non odia
ab initio quel che ab initio creò, ma a tutti convenevolmente
perdona, e dissimula i peccati, aspettandoci
a penitenza, nè si diletta nella perdizione
de’ cattivi; che però gli uomini e gli angeli
furono creati buoni e in grazia e originale
innocenza largita loro, secondo conveniva a’ suoi
effetti, dal sommo bene; ma che avendo l’uomo
doppo l’angelo peccato, e però perduto quella primiera
giustizia che il senso alla ragione e questa
a Dominedio sottometterìa, restò nudo di quella
grazia prima, se bene ne’ naturali doni, come
nella ragione e libertà sua peccar potea; e quell’errore
fu in noi comune per natura, che dal
suo capo venghiamo, non solo per imitazione,
vuol Pelagio, transfuso e propaginato; e che ancora
se l’innocenza non fusse perduta a noi pervenuta
fora, si che tutti i navigli de gli artefici
buoni ben fatti, perchè si rompono, al fuoco si
destinano e se libero arbitrio avessero, per cui si
frangessero per giustizia e ragione al fuoco gettar
si devono, così noi per mal uso della grazia
d’Adamo liberamente peccatore, alla dannazione
apparteniamo; ma Dominedio conoscendo che al
medesimo artefice tocca a rifare quel che nelle
sue opere ruina, benchè noi per la libertà che ci
rendeva inescusabili nol meritassimo, mosso a
pietà predestinò nell’istesso tempo che antividea
tutte queste cose, il suo figliuolo, sua virtù e suo
senno ad incarnarsi e morire per sodisfare al merito
de nostri mali. Talchè il peccato, cioè quello
di Adamo e per la natura che ci restò sfrenata
doppo che partì quella giustizia, che la concupiscibile
alla ragionevole e questa a Iddio s’opponeva,

Precedente Successiva