Tommaso Campanella, Dialogo contro Luterani, p. 106

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faccino pur eglino quel che si voglino: gli altri poi
affermano tutti dannarsi, però che diede loro Iddio
la disgrazia efficace, e opera in essi male, acciò
s’empia l’inferno, perchè, aggiungono, peccando
Adamo, tutti abbiamo perso il libero arbitrio e
tutti i doni naturali, tanto gli eletti quanto i rifiutati;
ma Iddio operò da sè negli uni il bene,
e negli altri il male proibito dalla legge per poter
poi nel giudizio condannar questi e quei salvare.
Talchè solo Adamo peccò per volontà libera, volendo
così Iddio. Ma Calvino accorgendosi che
concedendo la libertà d’Adamo per la quale peccò,
ne segue che noi ancora per la libertà pecchiamo,
e consentiamo al bene, (laonde contra lui si conferma
il dogma del libero arbitrio, e che Iddio
non sia cagione in noi operativa così del male,
come del bene, quasi negando la libertà d’Adamo
nè si confidando in tutto negarla per non contradire
espressamente alla sacra Scrittura e a tutti
i Padri e a Lutero stesso) la va osservando con
mille sottigliezze, come dicevate voi al marchese,
che facevano in Cosenza dove fu Vicerè, quei
litiganti che avevano mala causa da difendere.
Dunque, secondo Calvino, non avendo gli uomini
libertà d’oprar bene, nè dandoli granzia bastante
a salvarsi, e predicandoli nella sua legge che facciano
bene se vogliono la salute, sèguita che Iddio
gode di ponerli nel trabocchetto per farli cascare,
dicendo loro che s’aiutano dove non ponno, e
che volino senza averli date l’ali. Pensò confermare
questa opinione Calvino con l’autorità di
Salomone, dicente Iddio aver fatto ogni cosa per
suo gusto e i tristi anco per lo mal giorno che
fece, si che per empir l’inferno in secreto goda
di predestinarli alla dannazione e questo, dicono,
aver inteso in Paolo che Dio fece per manifestar la
gloria sua i vasi d’ira e di giustizia e quei di
pietà e di misericordia. Quinci assertivamente
corrono a negar la libertà e affermare che Iddio
a capriccio in noi opera il male, perchè è scritto:

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