Tommaso Campanella, Dialogo contro Luterani, p. 115

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potevano, e che era bisogno, facendosi cristiani,
ricevere la legge di Mosè e circoncidersi, e altri
Ebrei dicendo che le promesse erano fatte ad
Abramo e ad essi da lui discendenti; però non
veramente Cristo essere il Messia, ma i Gentili
dover secondo la legge non goder i beneficii come
loro godevano nelle cose sacre. Disputando dice
San Paolo contra tal razza d’uomini per non metterli
in disperazione e dire loro che di ciò la
ragione è molto celata, e che non dovevano andarla
cercando con ostinazione e contenzione, ma
con umiltà; però dice che la parola è promessa
di Dio non manca, sendo figli d’Abramo tutti
gl’imitatori suoi. E poi dice che la ragione non
si sa perchè i Gentili siano proposti, secondo che
innanzi che nascessero; Iddio giustamente disse
d’Esaù che servirà a Jacob, e poi porta un altro
passo più oscuro, dove Iddio pare ingiusto, cioè
[pare che] ami Giacob e Esaù odii; a ciò dà la
resoluzione poi quando mostra che Dio è giusto
e non ingiusto che danni gli uomini a capriccio
possa dolcemente mostrare a quelli cortiggiani
delicati la causa del loro proponimento, poichè
porta questo peso solo per elezione divina; gli uomini
salvarsi fa un’altra questione: dunque Dio
è ingiusto, risponde non perchè disse Moisè ch’ei
ben sapeva di chi doveva aver misericordia e chi
si era degno, perchè di quoi che adororno il vitello
altri furono castigati da’ leviti, altri non perchè
altri per malizia, altri per ignoranza e imitanti
han peccato, e de’ primi non fa remissione come
de’ secondi. Poi soggiunge l’Apostolo accrescendo
l’ambiguità che la misericordia di Dio è potissima
causa della salute e elezione, non l’opere perchè
Esaù, benchè corrente e volente la benedizione
non la ricevè ma sebbene Giacob per misericordia.
Nè per queste parole dice Teofilato esclude la libertà,
ma argomentando in favor della grazia,
metti innanzi la misericordia di Dio, solo tacendo
il tacer nostro, com’è uso d’argomentanti. Nondimeno

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