Tommaso Campanella, Dialogo contro Luterani, p. 127
la giustizia e però anche ogni tiranno si
pensa esser giusto quando molti uomini fa morire,
sicchè è
passato in bocca de’ popoli particolarmente
di Napoli il giustificare per far morire,
nè più per santificare e
divinamente inanimire
s’intende omai l’accidente alla natura speciale.
Ger. Basta, basta, conosco bene che gli uomini
hanno mutato li nomi per coprir le
furbarie.
Giul. Così diceva Catone quando
dipingeva
la corruzione del suo secolo. Molto tempo è che
noi perduta abbiamo delle virtù, perchè il dar la
roba strana si dice liberalità, l’audacia di far ogni
misfatto fortezza, simonia. Ahi quante mutazioni
ci
sono al tempo d’oggi!
Ger. Altre fiate si darà
questo; rispondete, Giacomo,
a quelli che dicono solo bastarci la fede a
giustificarci.
Giac. Cominciarò dall’ultimo, dicendo che noi
non
debilitiamo il beneficio della grazia e meriti
di Cristo aggiungendo le nostre opere, ma l’argomentiamo
perchè
dicemo che questa grazia ci muove
l’anima e illumina dimodochè ci fa operare
come Cristo operò bene, quando
l’accettiamo, e Cristo
disse che chi a Lui crede da senno, farà l’opere
che Lui faceva e maggiori, perchè
quantunque
Dio con noi operasse la nostra giustificazione, di
Santo Agostino si dice maggiore quest’opera per
rispetto nostro, che possiamo ostare con la libertà
a non farsi, ma l’altre cose cioè Dio creare il
mondo,
non ci essendo ostacolo si dice minore
della giustificazione dell’empio: ecco dunque che
la grazia non consiste in
rimettere le nostre iniquità,
come s’usa nella Curia della Vicaria, ma
in mutare noi in meglio, si che operiamo ad
imitazione
di Cristo dentro, e fuori della nostra anima,
e questi sono i danni grandi più di quello de’
Luterani; dice San Pietro e Paolo che siamo conformi
a Cristo, e consorti della divina natura internamente,
donde poi nascono le buone opere
esterne, che Dio corona. Che non basta solo questa