Tommaso Campanella, Dialogo contro Luterani, p. 136

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Ger. Oh quanto vorrei che adesso tutti i prencipi
italiani ci ascoltassero, acciò meglio si guardassero,
benchè faccino prudentemente di questa
peste che per il passato; non senza ragione l’offizio
con questi empii si dice santo nella Chiesa
Romana.
Giul. In questo ci è anche da dire con il nostro
Politico, perchè i settarii leggono in chiesa la sacra
scrittura in volgare che tutti intendono e cantano
insieme, e sanno perciò i loro dogmi e quel che
i Dottori celesti hanno scritto, onde meglio de’
nostri possono la verità comprendere e in loro
minor ignoranza regnar pote.

Giac. Si deve sapere che la conoscenza delle cose
è tanto amica al nostro animo che, dopo la capacità
benchè trista sia, ne godiamo non per natura
della cosa saputa, ma del sapere che ci fa ammirabili
appo gli altri e ci grada al bene, e al mal
conoscere, de’ quali per natura l’uno ci è mostrato
d’abbracciare, l’altro schifare. Però quando uno
s’appicca vogliamo vederlo per il sapere che piace,
benchè la cosa saputa ci rechi noia, perchè ci rappresenta
la nostra correzione. “Altro diletto che
imparar non trovo” diceva il Petrarca, volgarizzando
Lutero. Quinciè che i popoli settentrionali,
imparando nella chiesa i salmi, e evangelii, che
tutti come frati cantano, pare loro divenir dotti
e di ciò si compiacciono semplicemente, credendo
a’ ministri che a modo di Lutero e Calvino l’espongono,
e quando lor pare sapere e avere qualche
credito acquistato, nuove opinioni formano e
più grassa bottega facendosi, imitando i loro autori.
Dippiù sono tradotte le scritture sacre della
loro lingua in modo cha paiono rispondere alla
loro opinione, e per dove mancassero, sempre vi
fanno una postilla a canto, e tanto sono avvezzi
a falsificare che uno di loro ha Platone tradotto
e postillato in maniera che par Calvinista in senso
della libertà e dell’oprare, il quale, come sapete,
alienissimo è nelli dialoghi della repubblica e delle

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