Tommaso Campanella, Dialogo contro Luterani, p. 138

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signori, tutte sorte di settari bandì dal suo stato.
Di più dove c’è questa licenza della scrittura,
farne ciò che mi piace, tutti gli uomini morendo
stanno in dubbio di quel che deeno credere, e pochi
se ne salvano de’ cattolici e nullo de’ settani.
E quando i morienti avessero certezza d’una credenza
gliela tolgono, perchè il padre nell’infermità
gli addurrà un ministro calvinista e il fratello
ch’è un luterano, la sorella è un’anabatista,
la nora un greco, il cugino un scita, l’avo un
cattolico, ciascuno de’ suoi volendo che nella morte
tenga quella fede ch’ei si crede salvarlo, talchè il
povero ammalato è irresoluto nella medicina dell’anima
e muore incerto, sicchè neanche le medicine
del corpo gli giovano e questo viene per la
diversa credenza. In Litranio molto spesso, quasi
sempre, accade questo travaglio a gli ammalati
e altrove, ben sovente. Quindi si vede quanto meglio
si governa la Chiesa Romana che lascia la
scrittura nell’antica traduzione, acciochè ognuno
non se ne faccia maestro e fa esporre secondo la
conformità cattolica de’ predicanti religiosi, si che
ognuno intende conforme importa alla salute
d’una maniera, sendo un Cristo e una fede viva.
Considerate, Signor Marchese, che gusto avrete se
il Signor Mario e gli altri vostri figli credessero
altramente che voi e ciascuno di loro adducesse
il suo teologo diverso dall’altro nella vostra morte
e i vostri paggi e staffieri, cuochi e altri disputassero
della fede e ciascun di loro esponesse a
suo modo quel che si canta in Chiesa.
Ger. Quando ciò vedessi, sarei disperato. Assai
bene dunque farò seguendo la mia chiesa e quel
che nei sacri concilii per uomini sapienti e santi
si determina. Quel che si ha da credere nelli
punti occulti e il vicario di Cristo il conferma, e
secondo quelle opinioni dà a dichiarare le cose
sacre, del che ne sono certissimi, perchè sempre
ho inteso che l’unità conserva le repubbliche e
che gli Apostoli avevano un’anima e un cuore

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