Tommaso Campanella, Dialogo contro Luterani, p. 151

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il maestro lo dirupano sendo il male contrario al
male anche, non che al bene. Dunque perchè è
sciolta da Lutero l’unità, l’un non crede all’altro,
e ciascuno pare farsi grande, quando una
nuova opinione trova. Intanto che ci fu un Polacco
che voleva credere ad una religione a cui
nessun altro credesse, e quanto vedeva che alcun
altro riscontrasse con lui, si lagnava grandemente
onde non la communicava, acciò non avesse
compagnia nella credenza, come che Cristo per lui
solo fosse morto.

Ger. Bei figli certo ha generato l’evangelio di
Lutero e degni solo del diavolo che niente ama
se non se stesso.

Giac. Dunque i nostri prencipi se non metteranno
l’unità della monarchia nella persona del
papa capo della Chiesa universale del mondo, il
quale sopisce le differenze loro nell’operazione
e nelle precedenze de’ stati, come si mostra esser
necessario nel libro della Monarchia di quell’amico
e se niente vacillaranno in questo i governanti
del cristianesimo, subito incorrebbono in
peggiori scompigli che in settentrione e massime
in Italia e Spagna dove li cervelli sono più acuti.

Ger. M’ammiro come Carlo quinto abbia lasciato
predicare questo luterano, e come la Chiesa al
principio non provvide con efficacia.
Giul. Non vedete che per questo peccato gli
si ribellò la Fiandra, Brabanzia e parte di Borgogna
per mezzo di queste stesse sette?

Giac. Troppo è vero che al peccato segue tosto
la penitenza. Per mezzo suo stesso doveva egli
farlo brugiare nella dieta d’agosto (come il Cardinal
Gaetano li persuadeva), perchè con infedeli
particolarmente capi di gran mali al principio
quando possano toglierci fede, osservare non si
dee che il giuramento è vano, come anco Cicerone
dice “una promessa nella quale Dio si chiama
per testimonio si dee stimare che Dio non venga
quando è invocato a cosa permiciosa contra la

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