Tommaso Campanella, Dialogo contro Luterani, p. 175

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farli perdonare del tutto, perchè la giustizia ebbe
il luogo suo: di più che avendo fatto al figliuolo
di Dio buona compagnia nella morte, di quel che
non potè purgare in quel dolore, gli fu da Cristo
perdonato e rimesso per indulgenza plenaria, volendoci
ancora Dio dare un esempio grande che
mai disperassimo della salute d’alcuno, perchè è
tanto benigno che sempre perdona. Talchè di
questo se ne cava più tosto dell’indulgenza che
s’escluda il purgatorio. Di più gioca a’ prencipi
questa credenza per meritarsi imital Dio in tal
punto, perché ad un servo rubello perdonano gli
errori, ma non subito gli ammettano a’ primi gradi
di corte, se buona emenda non fanno prima. Ci
sono anco penitenti gravi a’ quali mai si perdona
nella repubblica: come l’offesa maestà, l’ammazzare,
assassinare, altri non gravi che con la penitenza
dell’esilio, di carcere o di denari si cancellano
per l’esempio degli altri e per freno del
peccante. Così devono essere per ben nostro e del
pubblico che Dio faccia: a’ peccati mortali non
perdona mai, se innanzi la morte non si pente e
emenda, a’ venali sì, quantunque in questo mondo
non ci avesse pensato; i quali Platone appella peccati
sanabili e i primi insanabili, onde conosce
che ci si deve il purgatorio e l’inferno perchè
non è ragione che le colpe lievi all’inferno ci
dannino, o al paradiso entrar con esse, chi non
può entrar in lui cosa macchiata dice in Giovanni.
Ci resta dunque che vi sia da purgarle dopo la
morte. Però Nostro Signore disse: C’è un peccato
che nè in questo secolo nè in l’altro si rimette,
dove espressa cognizione si dà che nell’altra vita
i peccati si perdonano non che in questa; ciò non
può essere all’inferno, dunque nel purgatorio,
come disse anco San Paolo che l’opre fatte in
fede che al fuoco non resisteranno, fian cagione,
che l’operante sarà cruciato e spurgato per il
fuoco. E era tanto certo il purgatorio a tempo di
Cristo e degli Apostoli [che] tutti i Santi antichi

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