Tommaso Campanella, Dialogo contro Luterani, p. 89
nè altre simili da noi per salvarci: ma chi
credesse che Cristo morì e operò per noi fusse
salvo, ma
da noi nulla opera meritoria poter pervenire;
e tanto fu tenace in questo che per non
esser convinto di falsità
manifesta, quel che appo
tutti gli uomini è certissimo, negò, cioè la libertà
nostra del voler bene, e d’oprar
bene e male.
Quinci negò i meriti de’ santi e che eglino per
noi intercedino, e vedendo che questo errore è
troppo pubblico, non potendosi rifiutare tutte le
scritture, dove gli Apostoli e Profeti si legge per
aver
pregato, disse che in questa vita pregar possono
ma non in cielo, perchè non sanno li nostri
bisogni. A queste
cose aggiunse che l’uomo non
debba farsi coscienza di sceleraggini, ma solo creda
senza dubbio alcuno; il che,
dice poi, non può
fare se non chi è da Dio eletto, insegnando che
Dio così predestini gli uomini all’inferno, come
alla salute per mostrarsi pio e giusto insieme. Finalmente
levò via le messe, negò la sostanza di
Cristo nel
Sacramento dell’altare, altre volte lo
concedette, tolse i digiuni, l’astinenza, il dir l’offizio
divino, il farsi
religioso e religiosa claustrale,
diede moglie a’ sacerdoti che toccano il corpo del
Signore. Egli fece vedere per
santità di spirito
ogni sua carnal voglia e operazione e chiamò il
mondo alla disubbidienza a’ prencipi, se non
fusse
stato necessario mantenersi col duca di Sassonia;
pure molti di questa setta si sono ribellati per
tali
opinioni ad altri prencipi, e questo duca per
guadagnar l’entrate e rendite de’ vescovadi, monasteri
e ospedali
contro i quali questa setta predicava,
la permise e favorì maggiormente per
alienar gli animi de’ suoi dal papa
amico con
Carlo Quinto (il che convenì a Padre comune)
suo nemico, con cui venendo a guerra accompagnato
da
altri prencipi settarii perdè la vita e lo
stato a guisa di Geroboam e Giuliano Apostata,
e de simili fautori di
cotali impietà. A Lutero poi
seguirono i discepoli, i quali non quietandosi nei