Tommaso Campanella, Dialogo contro Luterani, p. 98
Giac. Già s’è detto benissimo contra la licenza
della conscienza in proemio generale. Adesso parlo
a chi vuol permettere una sola di queste religioni
novelle, presupponendole quell’inconveniente che
dissi nel principio seguire a’ mutatori spesso spesso,
perchè è comune a tutti, e molto proprio a chi
muta, il male che a lui reca diletto o utile per
timore di
perdere maggior bene, o d’acquistare
maggior male, e che quando potesse, o credesse
schivar questi scomodi
seguenti, farebbe ciò che
gli è in piacere.
Giul.È vero: a questo guardò Terenzio quando
disse “malo coactus qui suum officium facit, dum
id rescitum
incredit tantisper cunctet, si sperat
fore clam cursus ad ingenium redit.”
Giac. Di grazie non parlate latino, benchè ben
diciate, perchè adesso si discorre
fra politici che
schivano ogni favella, altro che la loro, dove hanno
autorità; vedete che volete rispondere, ma
in altro
tempo, vi prego, differiate il vostro concetto.
Ger. Anch’io vi richieggio che lasciate finir
adesso questa cosa importante.
Giul. Non dico altro.
Giac. Dunque quella cosa si deve amare nella
politica, la quale
raffrena gli uomini dagli errori,
non solo in presenza d’altri, ma in occulto, ancora
quando non son visti, come
diceva il Terenzio
di Giulio.
Ger. È
buona, e necessaria assai questa legge
secreta per quanto veggio.
Giac. Di più si sa che i magistrati 5
son quasi
niente dalle leggi raffrenate, o da loro
pene, perchè
sendo eglino guardiani vivi non ponno bene
dalle leggi esser guardati, le quali son cose morte;
laonde quando sono malvagi e temono di render
conto, agirano il popolo con la grossa esca della
plebe con
promesse e con denari, e si governano
in guerra, si fanno schiavi i soldati con i stipendij
e bottini, e li
mettono in parte della loro furbaria,
e rubbanento, e fattosi gran sequela, si fan tiranni
5
Nell’esemplare su cui si basa la trascrizione a’ magistratiè corretto in i
magistrati (vedi scheda all’edizione digitale).