Tommaso Campanella, Poetica, p. 321
[IV. Dovere del poeta]
Però conseglio voi, se avete da esser buoni poeti, attender
primieramente alle
scienze filosofiche, particolarmente
morali, e all’istoria, più che ad ogni altra cosa,
ché indi facilmente ne caverete le vere imitazioni, né
sempre soggiacerete alle
favole della Grecia, ma con
maggior autorità del nostro paese, come Cicerone e Varrone
scrive, ne tratterete dell’altre nove e più atte a
persuadere, secondo la credenza
e costume de’ nostri
tempi. Quindi biasmar mi lece grandemente Aristotile,
il
quale imaginossi che ogni poema dovesse esser
favoloso e principalmente consistesse
nelle favole, quando
in vero quelle sono ritrovate dove mancasse la verità
o
l’audienza grata, come dicemmo; laonde sarebbe pazzia
di Lucano andar fingendo novi
gesti di Cesare e di
Pompeo, secondo che allora bastavano e forse soverchiavano
a
dipingere per eterna imitazione due òmini di
gran valore, senno e fortuna, a fine
tragico pervenuti. Se
fossero false le questioni di questi grandi uomini, Lucano
sarebbe poeta secondo i Peripatetici; or dunque inferiscono,
verità essendo vere,
ch’ei non sia. Se Cesare e
Pompeo [non] sono degni di poema divino, che eterni
la
loro forma in beneficio di chi indi impara a vivere,
certo neanco i famosi eroi saranno
degni di tanto onore,
e invano si lagnava Alessandro, ch’egli non avesse altro
Omero, che le sua azioni in bei versi narrasse, li
quali prolungano più che la
prosa e conservano la fama
e ’l buon e ’l mal nome, come diremo qui con ragioni
ed
esperienze.
Così ancora, se alcuno descrivesse la navigazione del
Colombo come principale
soggetto, e quella di Magallano,
del Cortese e del Drago d’Inghilterra per episodio
interponesse, essendo ella tanto maravigliosa per la novità
della terra e di
costumi e di nuovi popoli, e per il
grand’ardire e generoso pensiero del duce, non
bisognarebbe
punto finger cose nuove, come fa Valerio
Flacco e li Greci in
descriver quella di Giasone con tante
favole maravigliose, la quale a petto delli
nostri è cosa