Tommaso Campanella, Poetica, p. 322
puerile, e di quattro spanne di mare, e di guadagno d’un
pomo, e di
pochissimo valore e generosità. Falso sarebbe
dunque che questo scrittore non sarebbe
poeta: non
Lucano nella Farsaglia, né Ennio nelli suoi Annali, né
Virgilio, né Esiodo nelle cose rustiche, né il Petrarca
nelli suoi amori, né Empedocle nella sua medicina, né
Solone nelle sue leggi, né
Lucrezio nella sua filosofia,
come pensano i Peripatetici, perché basta a costoro,
uomini
di felice giudizio, poeti architettonici, non vili
fabricatori e impostori
magni, per ritener nome di poeta
imitar bene con le voci significanti quello che eglino
delle cose conoscer dànno.
[V. Storia e poesia].
Se mi si oppone: – Che differenza è dunque tra li Commentarii
di Cesare e Lucano, tra l’istoria e il poema? –
rispondesi che la differenza
consiste principalmente nella
forma dell’elocuzione, altramente nessun poema sarebbe
in tutto poema, poiché sovente interpone l’istoria, e ha
ragione però l’istorico,
o delle cose umane o delle cose
naturali, parlando, come Plinio, con le cose naturali e
communi, propriamente significanti di quello che dicono.
Dipingere la poesia con
traslati e figurati, con epiteti alti
e risonanti, che fanno numero e piacevolezza al
gusto
accomodate, il che non fa l’istorico, perché delinea solamente
quello che
narra. Però, volendo l’istorico dir del
tempo della primavera, scriveva così: «Quando
il sole
viene al segno del Tauro, per esser vicino e più dritto
alla terra nostra,
radoppia il calore e questo, entrando
nella concavità di quella, la transmuta pian
piano in
erbe, fiori e frutti», e va discorrendo; il poeta dirà:
Quando il pianeta che distingue l’ore
ad albergar col Tauro si
ritorna,
cade virtù dall’infiammate corna,
che veste il mondo di novel
colore…,.
e quel che [segue], dove il Petrarca, non delineando, ma
colorando e
figurando la primavera, si mostra poeta,