Tommaso Campanella, Poetica, p. 327
molto possibili cose; come sono poi altre di fatto vere,
come quella di
Cristo: «Nisi granum frumenti cadens in
terra mortuum fuerit, ipsum
solum remanet; si autem mortuum
fuerit, multum fructum affert»; e queste sono
più
persuasive e commode a tutti, onde non si poteva con
miglior parabola
mostrare, che il prendere morte per
dir il vero non è morire, ma raddoppiare assai la
vita,
che con questa, degna veramente del Signor Iddio.
All’incontro poi vi do per regola, che tutte quelle favole
si devono fuggire, che
corrompono li buoni costumi
e insegnano la falsità, poiché Platone anche disse nel
primo delle Leggi che altre favole sono vere, altre sono
false, il che Eusebio espone a nostro modo e lauda gli
antichi Ebrei, che l’utili
favole, composte da profeti
savi e verdadieri, con la Scrittura davano a leggere alli
giovini, e le false e disutili, composte da profeti cortigiani
adulatori di
Iezabelle, che mentivano per divozione,
proibivano alla gioventù; de’ quali profeti,
che noi
chiamiamo oggi, ne sono quasi infiniti, altri proibiti, altri
degni
d’esser proibiti. Dunque Omero [non] è degno
d’esser ricevuto, perché, sebbene ha detto
belle
favole, come quelle delle figlie di Giove e di Meleagro,
apportate da Fenice
ad Achille acciò si riconciliasse con
Agamennone, e di cui san Tomaso loda la favola
del nettare e ambrosia – e alcun’altre sono belle, e particolarmente
nell’Odissea, per l’esempio della pazienza,
prudenza e virtù d’Ulisse,
laudato assai da san Basilio
in un libro che insegna i suoi giovini come si debbano
leggere
i Gentili – nulladimeno, perché ne aggiunge tante
scelerate in oltre le
dedotte: quella di Ganimede,
dell’adulterio di Marte e di Venere, se non tra empi,
come fu Giuliano Apostata, che lo teneva per suo evangelio,
e perché con l’esempio
delli dèi stessi al male ci
dispone e distrugge tutto quello che fabbrica la
legislatura,
senza la quale nessuna compagnia d’uomini può
vivere bene.