Tommaso Campanella, Poetica, p. 332
Chiesa
proibisce tali predicanti per non andare a rovinare
– come Cicerone: «Libertate concionum collapsam esse
Graeciam» – e questi poeti empi detesta e
interdice, tanto
più viene desiderio al popolo e governanti stessi di leggerli
e
ascoltarli, tanto è corrotto il mondo d’oggi, appunto
come profetò san Paolo: «Erit enim tempus, cum sanam
doctrinam non sustinebunt, sed ad sua
desideria coacervabunt
sibi magistros prudentes, et a veritate quidem auditum
avertent et ad fabulas autem convertentur», e Dante lo annotò
che era
venuto:
Per apparer ciascun s’ingegna e face
su’ invenzioni, e
quelle son trascorse
da’ predicanti, e l’Evangel si tace.
Un dice che la luna si
ritorse
nella passion di Cristo e d’interpose,
perché il lume del sol già non si
sporse;
ed altri che la luce si nascose
da sé, però agl’Ispani e non agl’Indi
come a’ Giudei, tal eclisse rispose.
Non ha Fiorenza tanti Lapi e Bindi,
quante sì fatte favole per anno
in pergamo si gridan quinci e quindi.
È vero dunque per san Paolo e per l’esperienza di Dante,
che gli oratori
benissimamente fingono, e più che li
poeti forse, né pure si appellano poeti, come né
Luciano,
né il Franco, che han fatto dialoghi di personaggi finti e
ben imitati.
Dunque al poeta resta solo l’elocuzione di proprio, [e]
di poter fingere più spesso e
più sicuramente, se ciò dagli
altri non gli fusse usurpato, o di quella il numero,
perché
le metafore, li sinonimi e l’epiteti e li molti apparati di
parole li hanno
usurpato i detti parabolani delle piazze;
ma in ciò sono molto [più] singolari degli
altri, ché dicono
le cose non come sono dentro in verità, ma come di
fuori
appaiono, perché, se uno descrive l’occaso del sole,
diria: – Il sole si nasconde sotto
il nostro orizzonte –, ma
il poeta potrà dire: – Il sole, macchiato da’ nostri diurni
peccati, che ha visto, va a lavarsi nell’oceano –, ovvero: