Tommaso Campanella, Poetica, p. 335

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spassi e menzogne, che dà loro l’astuto tiranno per allettarsegli;
però dice Salomone: «Ubi non est propheta dissipabitur
populus
», perché il poeta che ammaestra il principe
secondo Dio è profeta, e mentre che i popoli vivono secondo
Dio, non temono i tiranni. Però santamente la
Chiesa romana proibisce Giovanni della Casa, l’Aretino,
il Bernia, il Franco, per non dissipare il gregge suo, e
Osea diceva che il popolo di Dio andò in cattività, «quia
non habuit scientiam
», non seppe governarsi secondo Iddio,
non obbedì a’ buoni profeti, ma a’ profeti della corte
de’ tiranni, che facevano ammazzare i buoni e davano
l’ignoranza per sapienza. Si vede ciò nell’altre repubbliche,
che sempre i tiranni nutrivano i poeti pedanteschi e
aborrivano i veri profeti, come Iezabelle Ieroboam; Filippo,
padre di Alessando, si lodava con Aristotile, Demostene
ed Eschine, e con tutti quelli che hanno autorità
appresso il popolo; e ne’ tempi nostri il Sassonia
con Lutero; e Antioco, campione dell’Anticristo, fece
una scuola in Gierusalem di tali pedanti, che tirano il
popolo dalle cose grandi alle minuzzarie delle parole e
dalle favole utili alle vane e mendaci, per opponerla alla
scuola di Dio; e avevano gli Ebrei per li buoni profeti
quelli i quali insegnano il vero, e ogni vero è del tiranno
nemico: però riverisce quei poeti, che adulano a lui e
al popolo dànno utili documenti a mantenere la tirannide.
Onde Cristo, a’ Farisei, falsi poeti, opponendosi,
con le parabole, attissimo mezzo, instruisce il popolo e
insegnò a noi poetare in questa maniera santa, perché
l’uomo bene animato verso il popolo e pubblico ha Dio
sempre seco e il caldo della verità, che l’instiga a dire
cose ammirabili, onde potrà vantarsi e dire:

Est deus in nobis, sunt et commercia coeli;

ma guai a chi abusa questo dono, come fece Balaam e
Sedechia.

Doveva certo Omero ridurre la poetica a’ suoi princìpi
buoni di Teognide e Focilide ed Esiodo e Orfeo, perché
tutte le cose buone, che sovente a’ princìpi suoi non
si riducono, si adulterano e guastano, e non applaudere

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