Tommaso Campanella, Poetica, p. 338

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e utili; e l’Ariosto parlò con più documenti e utilità, ma
men delicato; il Tasso poi arrecò tutte le belle parole e
l’infilzò con l’ago, ma concetti communi e rubbati, e pochi
precetti, e giovamento assai meno degli altri; laonde
nella poetica poco conto delle parole dico che si deve
avere, perché quelle vanno e vengono in reputazione
come le foglie alle piante – e che il vero poeta era quello
che ammaestrava e diceva cose grandissime e profetiche
in bene de’ lettori:

... neque enim concludere versum
dixeris esse satis, neque, si quis scribat uti nos
sermoni propria, putes hunc esse poëtam.

Ma quale sarà? Dicelo poi in una satira dottamente,
e invero queste condizioni sono di profeta amante del
vero Iddio e del prossimo, intendente del governo del
mondo e di tutto, sendo la poesia fiore d’ogni scienza. Le
parole belle poco vagliono per allettare, come poi diremo,
talché Dante sia il nostro poeta, avendo più degli
altri queste condizioni, e il Petrarca, perché parla dell’amore
castamente, il quale è necessario a tutti i giovani
ne’ primi anni; ma più savio è ne’ Trionfi e nella Canzone
d’Italia
, che ci ammaestra a ravvedersi donde è nata
la rovina del nostro paese, sebbene i concetti sono di
Dante: ma di ciò diremo nell’elocuzione.


[XI. I generi poetici].

Si distingue la poesia, che finge e dipinge le cose, dalle
cose stesse e modi di favellare, perché tratta di cose utili
e reali, come fece Empedocle, Pitagora, Parmenide e Lucrezio,
che descrissero la filosofia in verso, e noi novellamente
l’abbiamo rinovata: quella di Pitagora in un poema
e la nostra in un altro. Si chiamerà poema filosofico,
per più cagioni ritrovato da’ savii: una, per far lungo
tempo vivere l’operazione, essendo che i poeti più d’ogni
altri schivano l’ingiuria del tempo, perché, essendo
dolci, ognuno se li tiene e legge, onde sono in più abbondanza,
talché, perdendosene altri, altri ne rimangono;
secondariamente perché, sendo descritte invero orazioni

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