Tommaso Campanella, Poetica, p. 345
io non intendo dar regola a questi poeti come debbiano
scrivere, perché
parlano con la regola di Dio, che l’inspira,
onde David disse: «Quoniam non cognovi litteraturam,
introibo in potentias Domini et momorabor nominis
tui
solius», perché [non] imparò egli regola da questi, che
fan mestiere di
lettere, ma da Dio: ogni sua rima a Dio
è indrizzata e però eccede ogn’altro poeta in
diversità
di sensi, come notò san Gregorio, e in dir bene del bene
e male del
male; e ciò che fa il vero poeta lo fa in Dio,
che lo guida, come si scorge dai suoi
versi.
Lascio stare che questi poeti scrivono con il senso dell’antivedere,
come disse san
Pietro a Simon Mago, e
con accortezza, il che gli altri non fanno se non per
coniettura. La Chiesa poi disse a’ poeti cristiani, che si
prenda Dio per regola,
e non gli dà altra regola, e poi
i loro versi fa cantare in chiesa, che è l’accademia
di Dio,
donde ciascuno impara a vivere. Onde si vede che assai
più bene dicono
questi poeti quando scrivono con
questo spirito, che con spirito disputante e
litterato;
però san Tomasso mai scrisse maglio che negl’Inni del
Sacramento e nella Seguenza della messa, con dottrina,
con verità, con piacevolezza, con facilità e con muovere
gli animi: il che non
avviene negli altri suoi scritti.
Si deve dunque annotare che il poeta ha ben nome di
fingere, può essere con bugia e
con verità, e con utile
e disutile, essendo nome che significa il medesimo che
comporre in uno molte cose e rappresentare un fine,
onde l’uomo si dice fimmento
di Dio; così le composizioni
nostre ricevono questo nome, come ogni altra cosa
composta da ogni artefice.
[XII. Il poema sacro].
Dunque il poema sacro tiene il primo luogo, del quale
non bisogna che si dubiti che
ci sia, sendo ello principale
del poeta soggetto, dal quale ebbero origine tutti
gli altri soggetti poetici. Abbiamo detto, che questi
poeti parlino dell’azioni
divine e de’ santi suoi e le cose
future, e nominato quali poeti sono tra gli Ebrei e
quali