Tommaso Campanella, Poetica, p. 346

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tra i nostri, e ognuno che ha fatto inni ecclesiastici, come
Ambrogio, Gregorio, il Mantuano e altri; ci è ancora la
tragedia di Cristo Nostro Signore fatta da Gregorio
Nazianzeno, le rime di Prudenzio, Sannazzaro De
partu Virginis
e quelle rappresentazioni, che si fanno la
settimana santa per molti luoghi d’Italia in belli versi,
le quali, [se] non sono secondo le regole di Aristotile
bugiarde e finte, non importa, e basta che elleno conseguiscano
il fine di commuovere a lagrimare e a penitenza
ché anco Omero dice che, piangendo, Achille:

Cunctos lacrimarum accendit amore.

Or con che gusto noi, rammemorando Cristo, dovemo
piangere! Similmente si fanno le dette rappresentazioni
per imparare con gusto la vita di Cristo Nostro Signore,
e li stupendi gesti e azioni fatte con santi suoi, acciò
indi s’impari ad imitarlo e nutrire la pietà ne’ cuori
umani, la quale è invero anima della politica. Vedete
poi che tanto giovano queste cose vere, che nulla giovarebbero
essendo false, anzi nuocerebbero: essendo per
questo i Greci avvezzi a schernire la loro religione, erano
infidi e bugiardi e fraudolenti, onde Cicerone dice:
«Iusiurandi sacramentum numquam Graecia coluit»; ora,
che cosa di stabile poteva essere ne’ loro contratti e
amicizie? E Torquato Tasso benissimo dice:

La fede greca a chi non è palese?

perché sempre hanno ingannato i loro amici, e però
saviamente introduce che per l’invidia, che la Grecia
ebbe alla gloria de’ Latini, e per la poca fede che serbò
a Goffredo, a Pietro Eremita e al Re di Francia e alla
Chiesa romana, Dio permise che vada a servire infideli
con suo gran scorno e danno. Non vi curate dunque,
fratelli, di far poemi a modo delle regole d’Aristotile e
d’Omero, ma più tosto immitare Esiodo e Orfeo e Lino e,
tra’ nostri, Dante, lo cui poema invero è sagro, onde egli
dice:

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