Tommaso Campanella, Poetica, p. 349

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per il gusto corrotto di tal sceleratezza, se è tanto stolido
che ne goda, resta odiato da tutti e tale che facilmente
si procacciarà rovina.

Pertanto invero migliore fu Scipione, che non Alessandro,
perché quel fu ammaestrato da Ciro di Senofonte
a ben vivere e virtuosamente guerreggiare, e questi dall’Iliade
di Omero ad essere sdegnoso senza fine, sùbito
e temerario in molte imprese, perché si legge quegli
Senofonte e questi Omero aver tenuto in mano; e Dante,
volendo ciò mostrare, insegna che il libro dell’amore di
Lancellotto fusse stato ruffiano e però cagione della morte
della signora Francesca col cognato, così dicendo:

Un giorno leggevamo per diletto
di Lancellotto, come amor lo strinse:
soli eravamo e senza alcun sospetto;
però più fiate gli occhi ci sospinse
quella lettura e scoloricci il viso;
ma un sol punto fu quel che ci vinse,
quando leggemmo il desiato viso
esser baciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,
la bocca mi baciò tutto tremante:
Galeotto fu il libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante;

e più sopra aveva detto:

Amor condusse noi ad una morte.

Or, se il libro di Lancellotto ha fatto due cognati,
con leggi cristiane avvinti, insieme congiungere, ed
essere ammazzati, e andare all’Inferno, che farà Omero,
che gli adultèri di Venere, di Teti e di Giove e quel
nefando vizio del medesimo con Ganimede e altri
simili racconta? Perché invero, se li dèi ciò fanno, non
è dubbio che più lo dobbiamo far noi, essendo noi
obligati ad imitare li dèi.

Tornando dunque al nostro proposito, dico che il
poema filosofico è vero poema e tiene il secondo luogo
appresso il sagro, né m’importa ch’ei non sia favoloso,

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