Tommaso Campanella, Poetica, p. 352

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la poetica conforme a Dio e non ad Omero,
di cui la Sibilla profetò che sarà il primo che venderà
le bugie, adulazioni e impietà, come mi ricordo aver
letto ne’ frammenti delle Sibille; e invero di ciò n’è
testimonio Isocrate, che innanzi a lui dice esser stati
poeti sagri, sentenziosi e ammaestratori del popolo e de’
prìncipi, tutto il contrario d’Omero, il quale, sotto le
belle parolette e delicate figure e leggiadre maniere
di favellare al volgo infermo, confonde l’impietà con la
pietà, il bene con il male, la virtù con il vizio, e mette a
rovina senza riguardo ogni cosa, perché egli è stato cantainbianco,
e per tirare la plebe goffa, come fanno i nostri
ciarlatani e il Cieco da Forlì, cantava sulle piazze simili
novelle, delle quali tanto ne godeva la vana Grecia, che
se ne fe’ poema. Onde cosa fanciullesca e da plebeo è
pensare che sia poeta il ciarlatano, e metterlo in protezione
de’ dèi, che sia da Dio inspirato a favellare, e dire che il
vero dicitore non ci sia, e privarne di questo nome Pittagora
ed Empedocle.

Torno dunque al filosofo poetante, dandoli solo per
regola, acciò questi schizzosi non lo fuggissero, che, se
introduce a parlar seco una divinità e insegnarlo della
filosofia, ovvero altre persone immitate nel modo de’ dialoghi
di Platone e di Dante, averebbe più del poetico
volgare, come speriamo far noi, bisognando al gusto
del mondo mostrare d’accomodarci e ingannarlo d’amoroso
inganno. Saranno le persone divine in questo
poema mantenitrici delle migliori e più vere opinioni,
come conviene a persone celestiali; l’ammaestrato farà
l’opposizioni degli altri filosofi e non sarà importuno
nell’interrogare né sofisto, massimamente nelle cose
divine, dove alla seconda o terza obbiezione cederà,
come le cose del Cielo non possono essere ben capite
dalla terra; deve servirsi de’ versi continuati e gravi,
rispondenti agli eroi; l’elocuzione sarà schietta, senza
figure e traslati e voci peregrine, se non dove uopo sarà
e la discrezione, maestra del vero, non ci averà fatti
esenti. Parlando di cose alte e divine e del corso del Senno
Eterno in governare la natura e le sue cose e di simili,

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