Tommaso Campanella, Poetica, p. 353

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potrà usare li traslati, come dicemmo, non potendosi
elle nominare con altre voci, che con quelle delle cose
umane da noi a loro trasportate, come appare per tutta
la sacra Scrittura. Averà il medesimo poeta arrecato gran
gusto, quando dalla proprietà delle cose ne caverà le
parole rappresentati appieno, che ci paia toccarle mentre
le leggiamo: e quivi è maggior forza che ne’ traslati,
come si vedrà quanto diremo per che ragioni piacciono
le metafore. Si darà a questo poema il suo principio,
mezzo e fine, l’unità dal tempo, dall’oggetto e testura
delle cose, come si vede in quel di Dante e nel dialogo
del Timeo di Platone. Non dico altro a questo poeta,
ché, essendo più degli altri dotto, ha bisogno di regole
più brevi e poche.


[XIV. Il poema eroico].

Però è vicino al sagro e segue il poema eroico, [che]
deve prima proporsi la materia grave che ha da trattare,
la quale sarà una guerra d’una città o nazione contro
un’altra, mossa da giuste cause tanto umano quanto
divine, oppure l’imprese de’ grandi, come del Giappone,
del Colombo, di Cesare con Pompeo, ecc.; la qual materia
quando è vera, non bisogna favoleggiar troppo, s’è
mirabile, grave e degna, dalla quale se ne cavi un’instruzione
di repubblica militare o in mare o in terra, e d’insegnare
ad imitare un buon principe, un buon soldato,
un buon maestro di campo, una giustizia di vittoria, una
rovina di chi si fida alla forza senza ingegno o fortuna,
e simili, come si vedrà; e perché più muovono le cose
vere e gli esempi veri, delle favolose, precederà il poeta
eroico verdadiero al favoloso, perché cerca più arte che
nel fingere, onde [con] maggior gusto sentiamo un parasito
imitar in commedia un uomo zoppo o balbo, che
noi conosciamo, e lo veggiamo trasformare a punto come
egli è, che quando vediamo imitare e contrafare uno,
che non abbiamo visto, e meno quando è finto. Talché
rappresentare il vero più muove e più insegna, perché
non si piglia a burla il documento; onde, quando il

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