Tommaso Campanella, Poetica, p. 362

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duce tra tutti i Greci il primo, a cui, come a
più savio e più potente di tutti, fu dato lo scettro, come
a Gottifredo dagli Europei. Però meglio il Tasso fa partire
sdegnato Rinaldo, non per la dappocaggine di Goffredo,
né per sua bestialità, ma più per cavalleresca occasione,
né fa che con parole vili sia richiamato e pregato
da Goffredo, ma destramente da’ suoi parenti esser trattata
la pace con onore dell’una parte e dell’altra.

Dicevamo che deve esser forte il capitano, e perché
spesso dove è la forza inclina la fortuna, come dice Livio,
bisogna farlo fortunato, come fu Scipione e Ciro,
dipinto favolosamente da Senofonte, e Cesare, che, dovunque
correva nell’esercito suo, con la sola presenza,
per il buon concetto che avevano della sua virtù e fortuna,
tutti i suoi si rinfrancavano e i nemici si abbattevano;
finalmente deve esser magnanimo e aspirare a
cose grandi, alla quale [magnanimità] segue la liberalità
e clemenza e lo schifare d’ogni impresa vile, ma sopra
tutto con quella virtù eroica di:

Parcere subiectis et debellare superbos.

Però sarebbe biasimevole Enea di Virgilio se, venendo
a singolar battaglia con Turno e doppo abbattutolo, la
chiesta in grazia vita li denegasse, senonché la conservazione
de’ suoi, che era instabile mentre viveva Turno,
e la giustizia, ché doveva vendicare la morte di Pallante,
la cui persona egli rappresentava per l’imposizione
del centorino di colui, e [il mandato] del padre Evandro,
lo rendesse scusabile, come ei disse al supplicante per la
vita: – Ma io non:

Pallas te hoc vulnere, Pallas… –

Ma assai meglio Cesare per dire a Domizio, tanto di
sé malmerito, che gli domandava la morte come per disperazione
doppo che gli venne in mano, così rispondendo
Cesare:

– Vive, licet nolis, et nostro munere – dixit –
cerne diem. [Victis iam] spes [bona] partibus esto
exemplum[que] mei; vel, si libet, arma retempta
et nihil hac venia, si viceris ipse...;


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