Tommaso Campanella, Poetica, p. 369

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maggior prodezze e tenessero a vergogna l’opere vilissime.
Questo punto essere molto necessario disse Platone
negli eserciti, e l’osservò la regina Isabella in Spagna,
quando acquistò il regno di Granata. Nel Testamento
Vecchio n’è esempio Debbora e Giuditta, e appresso Cornelio
Tacito molte regine inglesi e germane; e più dice
la santa Chiesa, che nella guerra della pazienza del martirio,
dove si vince e si dà legge morendo, elegge le donne
inferme per confondere gli uomini forti.

Diletta ancora dipingere un parasito, qual fu Tersite,
qual viveva con arte buffonesca, loquace, mendace, traditore
spesso del suo padrone per il ventre, acciò si conosca
quanto è nocevole tenere appresso di sé simili
uomini; e non ne cavo i Seiani di Tiberio Cesare da
questo numero, né Macrino e altri sì fatti. I nostri poeti,
come il Boiardo e l’Ariosto, hanno introdotto Brunello,
uomo vile, traditore, empio, astuto parlatore, che
si diletta d’ogni furbaria, ladro eziandio de’ suoi, molto
sottile: ma con diverso fine, perché il Boiardo lo fa diventare
re di Tingitana per aver servito ne’ tradimenti e
in portar lettere occulte ad Agramante, per dar ad intendere
che appresso i re barbari spesso simili uomini
diventano grandi; ma per levar tal mal esempio, l’Ariosto
lo fece appiccare da una magnanima donna:
fine conveniente ad uomini sì viziosi. Virgilio
poi introdusse Sinone e il Tasso Vafrino, più simili
fra sé.

Con altri poi di maggior valore che i predetti, mettere
anco astrologi e negromanti far fine contrario al suo
pensiero, per avvilire queste sciocche arti; ma quando
da uomini saggi e profetici sono avvisati e non vogliono
astenersi, avvenirli tutto quello che li fu predetto, per
insegnare li uomini ad obbedire li sacerdoti e profeti e
i padri loro savi, come Omero ne dà belli esempi.

Introdurre dispute filosofiche, qual fu tra Cesare e i
sacerdoti dell’Egitto intorno all’origine del Nilo e alla
inondazione in Lucano, e lamenti amorosi di donne ad
uomini, quali sono quelli ne l’Ariosto, più belli che in
altro, e in Virgilio; il Tasso nostro, imitatore fu piacevole,

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